Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-12-2011, n. 27668

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 6/10/1997, la Curatela del Fallimento di L.D.S. e L.I.A. s.d.f. e di entrambi in proprio conveniva in giudizio P. P. esponendo: che con atto del notaio De Bellis di Potenza del 20/2/89, era stata costituita ex L. n. 584 del 1977 un’Associazione Temporanea di Impresa tra il L., titolare dell’impresa omonima, ed il P., amministratore della Pietrafesa Pasquale s.n.c., in relazione alla licitazione privata per lavori di consolidamento della chiesa madre di (OMISSIS) indetta dal Provveditorato delle OO.PP. di Potenza, con l’impresa L. come capogruppo munita di mandato collettivo con rappresentanza; che, aggiudicatasi l’ATI i lavori in oggetto, il L., nella qualità, con atto notaio Di Lizia del 23/10/1992, aveva nominato e costituito suo procuratore speciale il P., affinchè con riferimento all’atto costitutivo dell’ATI, ritirasse in nome e per conto suo le somme maturate in relazione all’aggiudicazione ed all’esecuzione dei lavori, per il complessivo importo di L. 208.558.720, e contestualmente il P. aveva depositato fiduciariamente presso il notaio Di Lizia due assegni di c/c dell’importo complessivo di L. 70.000.000 a garanzia del pagamento, in favore del L., di una somma equivalente, allorquando il primo avesse incassato l’importo predetto di L. 208.558.720; che in forza di detta procura, il P. aveva incassato lo stesso giorno (OMISSIS) la somma di L. 189.712.000 a titolo di secondo s.a.l.; che dopo qualche mese era intervenuto il fallimento della società L..

Tanto premesso, il Fallimento chiedeva la declaratoria di inefficacia L. Fall., ex art. 67, della procura speciale all’incasso del (OMISSIS), stipulata tra il L. ed il P., con la conseguente restituzione della somma di L. 189.712.000, oltre interessi, e con vittoria di spese.

Il P. si costituiva e contestava la fondatezza della domanda attorea; eccepiva che i lavori erano stati eseguiti esclusivamente dalla sua impresa, che il L. aveva indebitamente incassato l’importo dei lavori di cui alle fatture nn. (OMISSIS), che il L. si era impegnato ad eseguire lavori per la somma corrispondente a quella incassata, di essere stato costretto a stipulare la procura speciale del 23/10/92, ignorando lo stato di decozione della società L., ed in via riconvenzionale chiedeva la ripetizione della somma di L. 190.247.159, anche ai sensi dell’art. 2041 c.c..

Il Tribunale accoglieva la domanda della Curatela, e dichiarava l’improponibilità della domanda riconvenzionaie.

La sentenza veniva appellata dal P.; si opponeva all’impugnazione il Fallimento.

La Corte d’appello, con sentenza 13/6-27/9/2006, ha respinto l’appello, e condannato l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

La Corte del merito, premesso che si trattava di revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, ha ritenuto che la procura costituisse mezzo anormale di pagamento tra l’impresa L. e la P., visto che con la stessa era stata trasferita al P. la legittimazione a ritirare presso gli Uffici competenti le somme maturate in merito all’aggiudicazione, legittimazione originariamente spettante alla L. in base all’atto costitutivo dell’ATI, e che con la coeva scrittura privata, le parti, nei rapporti interni, avevano stabilito la ripartizione degli importi ricavabili dall’esecuzione dei lavori, stabilendo che il P. avrebbe incassato la somma del secondo s.a.l. pari a L. 208.558.720, e che la L. avrebbe incassato 70 milioni di lire, come quota parte del detto importo.

Sussisteva altresì il requisito soggettivo in forza della presunzione iuris tantum, nonchè delle circostanze indiziarie, costituite dal peculiare rapporto economico ed affaristico tra le due imprese, sfociato nella costituzione dell’ATI, e dalla mancanza di giusta causa della procura sul piano fattuale e giuridico, mentre la difesa del P. si era limitata a contestare la concretezza ed effettività della conoscenza dello stato di insolvenza;

irrilevante era l’inquadramento giuridico della procura, se cessione di credito o mandato all’incasso o delegazione di pagamento, nè rilevante il richiamo alla L. Fall., art. 78, dovendosi distinguere tra mandato non ancora eseguito e mandato con effetti perfezionati, come nel caso.

Propone ricorso per cassazione il P., sulla base di quattro motivi; si difende con controricorso il Fallimento.

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia vizio di violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, e di omessa e comunque insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza di circostanze indiziarie gravi, tali da dimostrare la scientia decoctionis da parte del P., mentre ha ignorato gli elementi, indici della probabilità, quasi certezza, della impossibilità del convenuto di conoscere lo stato di decozione della L.: ed invero, la costituzione dell’ATI era stata determinata dal solo fine di rispettare le condizioni della Amministrazione appaltante per la partecipazione alla gara e l’affidamento dei lavori; le imprese non avevano mai collaborato per esecuzione altri lavori; la P. aveva sede legale ed operava a (OMISSIS), mentre la L. aveva sede ed operava prevalentemente nel (OMISSIS); le due imprese non avevano organizzazione economica e contabile comune, avevano autonomia operativa ed il rapporto di associazione era temporaneo ed occasionale.

1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente motivazione, per non avere la Corte del merito motivato in relazione all’eccepita carenza del Fallimento dell’interesse ad agire L. Fall., ex art. 78, conseguente alla inefficacia sopravvenuta del mandato all’incasso dei crediti corrisposti dalla P.A., dopo la dichiarazione di fallimento della mandataria.

1.3.- Col terzo motivo, il P. denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, per avere la Corte del merito ritenuto la procura quale atto anormale di pagamento, mentre detto atto altro non rappresentava che una riduzione dei poteri originariamente affidati alla mandataria, che, pur restando unica interlocutrice della P.A., acconsentiva a che il P. incassasse autonomamente le somme spettanti per l’attività svolta.

1.4.- Con il quarto motivo, il ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente motivazione, per avere la Corte del merito ritenuto sintomatica la procura della conoscenza dello stato di insolvenza, mentre la somma incassata dal P. a titolo di secondo ed ultimo s.a.l., spettava legittimamente allo stesso per avere esclusivamente eseguito i lavori.

2.1.- Il ricorso va dichiarato inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

Va in primis rilevato che il ricorso è soggetto al disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto, con decorrenza dal 2/3/2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 (abrogazione efficace nei confronti di pronunce pubblicate o depositate successivamente alla data di entrata in vigore di detta legge), che dispone che, allorquando il ricorrente denunzi la sentenza impugnata per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo, a pena di inammissibilità, si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, che, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, "deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta-negativa o affermativa- che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame" (così la sentenza delle sezioni unite, n. 20360 del 2007, e in senso conforme, la successiva ordinanza 2658/08).

La norma, nel caso di impugnazione per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sempre a pena di inammissibilità, prevede che il ricorso debba contenere l’indicazione chiara del fatto controverso, in relazione al quale si assume la carenza o contraddittorietà della motivazione, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende la motivazione inidonea a giustificare la decisione, onere che deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine dello stesso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisce un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (così Cass. 27680/2009, Cass. 8897/2008).

Alla stregua dei detti principi, nel ricorso proposto dal P. va riscontrata la carenza del momento di sintesi, in relazione alle censure motivazionali, di cui al primo, secondo e quarto motivo.

Quanto alle censure di violazione e falsa applicazione di legge, di cui ai motivi primo, secondo, terzo e quarto, si deve rilevare che il ricorrente, anzichè formulare il quesito in relazione a ciascun motivo, ha articolato nell’ultima parte del ricorso tre quesiti di diritto.

E’ agevole rilevare che già per la non corrispondenza numerica tra censure e quesiti si prospetta la violazione della ratio dell’art. 366 bis c.p.c.; a volere peraltro operare il collegamento tra i quesiti e le censure allo scopo di verificare quale o quali quesiti rispecchino le censure proposte, da cui l’ammissibilità delle stesse ove si verifichi l’idoneo riscontro (e vedi in tal senso il principio affermato nella pronuncia delle S.U., 5624 del 2009), nella specie si deve rilevare, quanto al primo quesito ove si fa riferimento alla L. Fall., art. 78, che detto articolo è indicato nel secondo motivo, ove la parte ha fatto valere il vizio motivazionale e non di legge;

quanto al secondo quesito, che la formulazione è del tutto generica e non congruente con la decisione impugnata; quanto al terzo quesito, ricollegabile alla censura di cui al terzo motivo, che, oltre alla genericità della formulazione, in ogni caso v’è difetto di autosufficienza, per non avere la parte provveduto a riportare il testo della procura, nella parte che qui interessa.

2.2. – Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere al Fallimento le spese di lite, liquidate in complessivi 2500,00 Euro, oltre Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori nella misura di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *