Cons. Stato Sez. III, Sent., 09-08-2011, n. 4753 Finanza regionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente notificato e depositato, l’odierna appellante, nella sua qualità di società che gestisce la Casa di Cura Fabia Mater, impugnava dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, la delibera della Regione Lazio n. 143 del 22 marzo 2006, avente ad oggetto "Ripartizione nei livelli di assistenza del fondo sanitario regionale 2006. Finanziamento del livello assistenziale ospedaliero per l’anno e definizione del sistema di remunerazione delle prestazioni ospedaliere dei soggetti erogatori pubblici e privati per l’anno 2006. Finanziamento e definizione del sistema di remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e delle attività di assistenza riabilitativa territoriale", chiedendone l’annullamento, con ogni conseguente statuizione.

Con l’impugnata delibera la Regione ha previsto in particolare, per quanto qui interessa, la classificazione dei soggetti erogatori, pubblici e privati accreditati, in base a determinati requisiti di cui all’allegato 2 della delibera stessa, in quattro classi (A, B, C e D), rilevanti ai fini della determinazione della tariffa di remunerazione delle prestazioni ospedaliere dalle stesse rese in regime di accreditamento; la remunerazione delle prestazioni erogate solo fino al limite del budget assegnato a ciascun soggetto erogatore sulla base della produzione dell’anno 20042005; mentre, per le prestazioni rese in eccesso, è prevista, solo per i DRG della classe A, B e C, la remunerazione entro il limite di superamento del volume delle prestazioni del 2% e purtuttavia è fatto obbligo ai soggetti erogatori di programmare la propria attività in modo da garantire la continuità assistenziale per l’intero arco dell’anno.

Avverso il predetto provvedimento la ricorrente deduceva nove motivi di ricorso, denunciando vizii di violazione di legge e di eccesso di potere sotto svariati profili.

Si costituiva in giudizio la Regione Lazio, sostenendo l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

Si costituiva, altresì, l’ASL Roma C, eccependo il difetto di legittimazione passiva ed insistendo per il rigetto del ricorso.

Il T.A.R. del Lazio, sez. III, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava il ricorso, dichiarando, altresì, il difetto di legittimazione passiva della ASL Roma C e compensando le spese di giudizio.

Con il ricorso qui all’esame l’originaria ricorrente ha proposto appello avverso la prefata sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendone la riforma, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

Si è costituita in giudizio la Regione Lazio, che, con successiva memoria depositata in data 4 maggio 2011, insiste per il rigetto del ricorso.

Anche l’appellante ha depositato memoria in data 20 aprile 2011, richiamando i motivi di ricorso già esposti nell’atto introduttivo ed insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.

L’ASL Roma C non si è costituita in giudizio.

Alla pubblica udienza del 20 maggio 2011 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. – E’ controversa nel presente giudizio la legittimità della delibera G.R. 22 marzo 2006, n. 143, impugnata a mezzo del ricorso di primo grado, con la quale la Regione Lazio ha disciplinato il sistema di remunerazione delle prestazioni di ricovero per acuti.

La delibera – come si legge negli allegati 1 e 2 – si basa su uno studio eseguito dalla Agenzia sanità pubblica sulla rilevazione dei costi di ricovero ospedaliero per "acuti" relativo al periodo 20032005, che ha evidenziato "consistenti differenze nei costi di produzione tra le diverse strutture attribuibili sostanzialmente alla diversa complessità strutturale e organizzativa".

Di conseguenza, il sistema di classificazione di tutte le strutture sanitarie pubbliche e private è stato basato sui seguenti "requisiti":

– ospedali che svolgono istituzionalmente attività di didattica o di ricerca;

– ospedali che dispongono di almeno 50 posti letto afferenti ad almeno tre alte specialità (ai sensi del D.M. 29 gennaio 1992 "Elenco delle alte specialità e fissazione dei requisiti necessari alle strutture sanitarie per l’esercizio delle attività di alta specialità");

– ospedali che dispongono di oltre 450 posti letto.

Tenendo presenti questi requisiti le strutture ospedaliere accreditate per acuti sono state classificate in quattro classi:

– classe A: strutture ospedaliere di ricovero per acuti che possiedono almeno due dei requisiti indicati;

– classe B: strutture ospedaliere di ricovero per acuti che possiedono almeno uno dei requisiti indicati ovvero siano monospecialistici con riferimento a una delle alte specialità ex D.M. 29 gennaio 1992 ovvero strutture pubbliche di riferimento provinciale;

– classe C strutture ospedaliere di ricovero per acuti che non possiedono alcuno dei requisiti indicati ma dispongono di almeno 120 posti letto ovvero pur avendo meno di 120 posti letto svolgano istituzionalmente attività di didattica e di ricerca ovvero siano monospecialistici ovvero sede di pronto soccorso ovvero 2° livello per assistenza perinatale;

– classe D: altre strutture.

Le strutture classificate in classe C sono remunerate in base alla "tariffa base regionale" (allegato 1bis alla delibera); le strutture classificate in classe A sono remunerate in base alla tariffa regionale incrementata del 5%; le strutture classificate in classe B sono remunerate in base alla tariffa regionale incrementata del 3%; le strutture classificate in classe D sono remunerate in base alla tariffa regionale diminuita del 5%.

La remunerazione delle prestazioni erogate spetta solo fino al limite del budget assegnato a ciascun soggetto erogatore sulla base della produzione dell’anno 20042005; per le prestazioni eccedenti, è prevista la remunerazione entro il limite di superamento del volume delle prestazioni del 2%, ma solo per le DRG classificate in classe A, B e C; è comunque fatto obbligo ai soggetti erogatori di programmare la propria attività in modo da garantire la continuità assistenziale per l’intero arco dell’anno.

La struttura gestita dall’odierna appellante è stata inserita nella classe D e le è stato assegnato un budget pari a euro 11.051.219,00=.

2. – In rito, va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità delle memorie di parte appellante e di parte appellata depositate rispettivamente in data 20 aprile 2011 e 4 maggio 2011 (nessuna delle quali qualificabile come memoria di replica), per violazione del termine perentorio, di cui all’art. 54 c.p.a., cui è possibile derogare, da parte del Collegio, solo su richiesta di parte, nella fattispecie non formulata.

3. – Ciò premesso, può procedersi all’esame delle censure dedotte con il ricorso in appello avverso le statuizioni della sentenza T.A.R. che ha respinto il ricorso di primo grado, con la precisazione che il primo motivo di appello, con il quale si deducono difetto assoluto di istruttoria e travisamento dei fatti e dei presupposti in ordine alla asserita "confusa somministrazione e trasfusione" da parte del Giudice di prime cure di concetti deduttivi da un settore (quello della specialistica) all’altro (quello ospedaliero delle Case di Cura), non è suscettibile di autonoma delibazione, rilevando la relativa censura eventualmente solo in sede di esame delle argomentazioni di diritto poste dal T.A.R. a base delle statuizioni reiettive dei singoli motivi di primo grado.

4. – Il secondo motivo – con cui è dedotta la violazione dell’articolo 13 della legge regionale 3 marzo 2003, n. 4 – è infondato.

Quanto, anzitutto, all’inconferenza del richiamo operato dalla ricorrente all’art. 13 della legge regionale n. 4 del 2003, sostanzialmente affermata dal T.A.R. laddove rileva che "la legge regionale n. 4 del 2003 e, in particolare, l’art. 13 detta le disposizioni in materia di accreditamento istituzionale e, pertanto, non è ancora attuabile in relazione all’accreditamento provvisorio di cui gode la struttura ricorrente", vale anzitutto sottolineare che nessuna censura specifica è svolta con l’atto di appello avverso tale specifica, e dirimente, statuizione.

Quanto, comunque, più in generale, alla contestata disposta classificazione dei soggetti erogatori ai soli fini tariffari, occorre ricordare che l’art. 8quinquies, secondo comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 prevede che "la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale… (indicando, tra l’altro) il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, distinto per tipologie e per modalità di assistenza… (nonché) il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari…"

Il comma 9 dell’art. 2 della legge n. 549/1995 ha poi stabilito che, in sede di prima applicazione del sistema di remunerazione, le Regioni fissano il livello massimo delle tariffe da corrispondere nel proprio territorio ai soggetti erogatori entro un intervallo di variazione compreso tra il valore delle tariffe individuate dal Ministero della Sanità con proprio decreto "ed una riduzione di tale valore non superiore al 20%, fatti salvi i livelli inferiori individuati in base alla puntuale applicazione dei criteri di cui all’art. 3 del decreto del Ministero della Sanità 15 aprile 1994".

L’art. 32, comma 8, della legge n. 449 del 1997, ha ancora disposto che "le regioni… individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presidi sanitari ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della legge 23/12/1996, n. 662".

È dunque assegnata alla Regione la potestà di fissare in via autoritativa i limiti massimi di spesa sostenibile per le singole istituzioni sanitarie o "per gruppi di istituzioni".

Orbene, se attraverso varie fasi della evoluzione della legislazione sanitaria dell’ultimo quindicennio si è progressivamente imposto il principio della programmazione allo scopo di realizzare il contenimento della spesa pubblica e la razionalizzazione del sistema sanitario e se in questo modo si è temperato il regime concorrenziale attraverso la previsione in particolare di poteri di programmazione proprii delle Regioni e della stipula di appositi "accordi contrattuali" tra le USL competenti e le strutture interessate per la definizione di obiettivi, volume massimo e corrispettivo delle prestazioni erogabili (Corte cost., 26 maggio 2005, n. 200), per quanto in specie riguarda la determinazione di quest’ultimo la normafonte in materia (applicabile ratione temporis alla controversia in esame) deve essere individuata nell’art. 8sexies, comma 5, del D. Lgs. n. 502/1992 (introdotto dall’art. 8 del D. Lgs. n. 229/1999 e pienamente vigente anche per il periodo preso a riferimento nell’atto impugnato), che così stabiliva: "Il Ministro della sanità, sentita l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 120, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con apposito decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l’unità di prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate, in base ai costi standard di produzione e di quote standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di strutture accreditate, preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità della assistenza. Lo stesso decreto stabilisce i criteri generali in base ai quali le regioni, adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attività, verificati in sede di accreditamento delle strutture stesse" (in attuazione di quanto disposto dal presente comma vedasi poi il D.M. 21 novembre 2005).

Pertanto, già il comma 1 dell’art. 3 del D.M. 15 aprile 1994 (cui fa espresso riferimento l’Allegato 1 della deliberazione impugnata) si occupa di "fissazione" delle tariffe, parametrate a "costo standard di produzione e costi generali, in quota percentuale rispetto ai costi standard di produzione"; a sua volta il comma 6 del medesimo art. 3 nel recare, già nel 1994, disposizioni specifiche per l’"aggiornamento", ne contemplava gli specifici (diversi) parametri ("innovazioni tecnologiche e variazione dei costi delle prestazioni rilevate"); con gli stessi criterii il D.M. 14 dicembre 1994 (la cui specifica metodologia pure è richiamata espressamente nel citato Allegato 1) determinava le tariffe delle prestazioni di assistenza ospedaliera; ancora, il comma 6 del citato art. 8sexies prevede la periodica revisione del sistema di remunerazione delle tariffe in considerazione dei seguenti parametri:

"definizione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza e delle relative previsioni di spesa, dell’innovazione tecnologica e organizzativa, nonché dell’andamento del costo dei principali fattori produttivi"; infine, ogni "eventuale" (cfr. art. 1, comma 170, quarto periodo, della legge n. 311/2004) incremento di costo (tariffe) deve tener conto dei principali fattori produttivi.

Se tutto questo è vero, se ne deduce che coerentemente con il complessivo (e complesso) quadro di riferimento normativo le caratteristiche organizzative delle singole strutture pubbliche e private erogatrici delle prestazioni di cui si tratta sono state assunte, dall’analisi economica regionale posta a base del provvedimento oggetto del giudizio, come elementi di analisi delle oggettive differenze nei costi di produzione.

Altrettanto logicamente, oltre che in piena conformità al quadro stesso, il contestato provvedimento ha individuato le caratteristiche delle strutture che possono influenzare il costo di produzione (determinato in conformità ai criterii desumibili dal già richiamato D.M. 15 aprile 1994), influenzato, secondo i criterii medesimi, dalla diversa complessità strutturale ed organizzativa delle singole strutture ben al di là del semplicistico richiamo operato dall’appellante al concetto delle economie di scala.

In sostanza, la complessità organizzativa (come risultante dal non contestato combinarsi dei requisiti all’uopo individuati nella controversa deliberazione) può assumere (anzi, in definitiva, deve assumere) un ruolo essenziale e rilevante nell’individuazione dei corrispettivi, tale da rendere legittimo, in materia di determinazione delle tariffe, che le regioni procedano a classificare le strutture erogatrici in distinte categorie ai soli fini tariffari, ai sensi dei decreti ministeriali 14 febbraio 1994 e 30 giugno 1997 (i cui criterii e la cui metodologia sono come s’è visto espressamente richiamati nell’Allegato 1 della deliberazione di cui si tratta) e non anche per la differenziazione delle prestazioni erogabili, Ed invero la diversa complessità strutturale ed organizzativa dei soggetti erogatori determina consistenti differenze di costi di produzione, dei quali occorre tenere conto ai fini della determinazione del corrispettivo dovuto ai singoli erogatori (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2001, n. 1570; da ultimo, Cons. St., V, 25 agosto 2008, n. 4077).

5. – Parimenti infondato è il terzo motivo di appello, con il quale la deliberazione regionale impugnata viene censurata nella parte in cui stabilisce le modalità di remunerazione delle strutture ove queste superino il tetto individuale di spesa predefinito.

Va premesso anzitutto in proposito che il soggetto accreditato, a differenza delle strutture pubbliche, non ha l’obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto preventivato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2003, n. 2253) e che tale principio non risulta intaccato dalla prescrizione di "continuità assistenziale per l’intero arco dell’anno" recata dalla deliberazione in considerazione (ch’è da interpretarsi nel senso di indicare una modalità organizzativa volta a far sì che le strutture sanitarie private programmino il proprio budget di prestazioni in modo da spalmarlo congruamente nell’intero corso dell’anno al fine di evitarne l’anticipato esaurimento). Ciò posto, questo Consiglio ha già avuto modo di sottolineare l’importanza dell’obbiettivo della riduzione della spesa sanitaria, tale da giustificare anche la regressione del rimborso tariffario per le prestazioni sanitarie che eccedono il tetto massimo (Cons. St., V, n. 4077/2008, cit.).

Tale meccanismo, invero, costituendo espressione del potere autoritativo affidato alle regioni in materia, trova giustificazione concorrente nella possibilità che le imprese fruiscano di economie di scala e che effettuino opportune programmazioni delle rispettive attività e non deve essere accompagnato da specifica motivazione in ordine all’entità della percentuale in concreto applicata (cfr. Corte cost., 6 luglio 2007, n. 257; Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2006, n. 3239, che precisa che tale meccanismo vale anche se non contemplato in modo espresso da alcuna legge, purché non si applichi a rapporti esauriti o prestazioni già erogate).

Il limite complessivo di spesa per "volumi programmati", peraltro, è pienamente coerente con le norme di principio della legislazione statale che garantiscono ad ogni persona il diritto alla salute come "un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti", tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento (Corte cost., 20/11/2000, n. 509; 26/5/2005, n. 200); oltre che con l’obiettivo di "riduzione progressiva del tasso di ospedalizzazione dei ricoveri per acuti" esplicitamente indicato nella deliberazione in questione come obiettivo prioritario della programmazione da essa definita.

Insomma, l’acquisto delle prestazioni sanitarie da parte dell’amministrazione solo se ed in quanto programmate si presenta come coerente modalità di raggiungimento del veduto obiettivo e come frutto, da parte dell’amministrazione regionale, di una scelta discrezionale di politica sanitaria e di contenimento della spesa. Questa scelta, tenuto conto della ristrettezza delle risorse finanziarie dirette a soddisfare le esigenze del settore, non risulta viziata da intrinseca irragionevolezza.

Allo stesso modo non è ravvisabile alcuna illogicità nel diverso grado di remunerazione delle prestazioni rese entro il limite del 2% del superamento dei volumi programmati, diversificato non in relazione alle caratteristiche della struttura erogatrice, ma in funzione della complessità concreta delle prestazioni stesse, come risultante dall’articolazione per classi di DRG, così da privilegiare il massimo (e la copertura totale) di remunerazione prevista in relazione alla classe della struttura solo per i DRG più complessi, con uno strumento di intervento che, nel rispetto delle esigenze minime di carattere primario fondamentale coinvolgenti il nucleo minimo del diritto alla salute, opera tuttavia come limite alla pienezza della tutela sanitaria in relazione alle correlate esigenze finanziarie ed è mirato altresì non incongruamente ad assicurare nella misura più elevata compatibile con dette esigenze quella "garanzia delle prestazioni ad elevata complessità" posta tra gli obiettivi del sistema in considerazione.

6. – Improcedibile per cessazione della materia del contendere si rivela il quarto motivo di appello, con il quale si lamenta che il budget 2006 sia stato attribuito sulla base del tetto dell’anno precedente come fissato con delibera n. 731/05, senza tener conto dell’aggiornamento in melius operato sul tetto stesso con delibera n. 1034/05.

Dagli atti di causa risulta, infatti, che, con provvedimento del Direttore Generale della Regione Lazio – Dipartimento sociale prot. n. 63598 in data 28 maggio 2008, la remunerazione riconosciuta all’odierna appellante con DGR n. 731/05 è stata integralmente rivista; e che, con successivo provvedimento prot. n. 5600 in data 6 agosto 2008 del Direttore Generale di Laziosanità, si è proceduto alla conseguente rideterminazione dei budgets per gli anni successivi.

Tanto vale a soddisfare in pieno, per lo meno sul punto, la pretesa fatta valere col ricorso introduttivo.

7. – Con il quinto ed ultimo motivo di appello la ricorrente denuncia che la classificazione della Casa di cura Fabia Mater in classe "D", come operata con la ridetta deliberazione della Giunta regionale, sarebbe illegittima, in quanto tale struttura aveva già da tempo i requisiti per ottenere l’inserimento nella classe superiore, svolgendo attività di assistenza perinatale di secondo livello, che dà titolo all’inserimento in classe "C" in ragione di quanto previsto dall’Allegato 2 alla delibera stessa.

Il motivo è infondato.

E’ vero, infatti, che la classificazione in classe "C" è prevista dall’impugnata delibera anche per le strutture ospedaliere di ricovero per acuti che pur non disponendo di nessun altro dei requisiti previsti come a tal fine rilevanti dalla delibera siano di "secondo livello per l’assistenza perinatale". Ma tale qualificazione non poteva certo derivare alla ricorrente da un mero accertamento in fatto dei requisiti da essa posseduti, avendo la deliberazione in argomento sul punto natura ricognitiva dei "titoli" attestanti il possesso dei necessarii requisiti e non certo natura costitutiva dei titoli stessi.

Era dunque necessario, ai fini del possesso del requisito utile alla classificazione in "C", un apposito provvedimento regionale di formale riconoscimento del secondo livello di assistenza perinatale. Di fatto, tale provvedimento è intervenuto solo in data 8 giugno 2007 (determinazione regionale n. 2039), e non poteva certo esplicare effetti alla data di adozione del provvedimento impugnato (22 marzo 2006).

E’ quindi incontestabile l’appartenenza dell’odierna appellante, almeno sino all’8 giugno 2007 (data alla quale si realizzava il presupposto per la modificazione de futuro della classificazione tariffaria e del relativo budget), alla classe "D" delle quattro classi di ospedali individuate con la deliberazione della Giunta Regionale 22 marzo 2006, n. 143.

8. – In conclusione, il ricorso in appello dev’essere in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile per cessazione della materia del contendere.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, in parte lo respinge ed in parte lo dichiara improcedibile per cessazione della materia del contendere e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese legali del grado in favore della Regione Lazio, liquidandole complessivamente in Euro 3.000, oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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