Cons. Stato Sez. III, Sent., 09-08-2011, n. 4721 Sanità e igiene

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. F. Srl, con sede in Casavatore (Napoli), ha chiesto alla Regione Campania l’"accreditamento istituzionale" per le attività di riabilitazione e di recupero funzionale ossia fisiokinesiterapia (FKT).

L’accreditamento è stato concesso. Tale provvedimento è stato impugnato (insieme a vari altri atti connessi, preparatori, etc.) davanti al T.A.R. Campania da altri soggetti che svolgono analoghe attività nonché da associazioni di categoria delle strutture accreditate. Sono state dedotte molteplici censure integrate con due consecutivi atti di motivi aggiunti.

2. Con sentenza n. 4905/2009 il T.A.R. Campania (sede di Napoli, sezione I) ha accolto in parte qua il ricorso, annullando gli atti del procedimento che hanno condotto all’accreditamento istituzionale di F. s.r.l. e i provvedimenti conseguenziali.

La sentenza è stata appellata, con distinti ricorsi, da F. s.r.l. e dalla Regione Campania. Il Consiglio di Stato, sezione V, con decisione n. 7074/2010, ha riunito gli appelli ed ha confermato interamente la sentenza del T.A.R..

3. F. s.r.l. propone ora un ricorso per revocazione della suddetta sentenza del Consiglio di Stato, asserendo che essa è viziata da errori di fatto.

Per resistere al ricorso per revocazione si sono costituiti unitariamente i nove soggetti già ricorrenti in primo grado, e cioè due associazioni di categoria e sette strutture sanitarie private accreditate. Una di queste ultime (Centro S. s.p.a.) nell’imminenza della discussione ha revocato il mandato ai difensori dichiarando di non avere più interesse alla controversia.

Si è costituita altresì la Regione Campania, con atto di mera forma con il quale chiede che la domanda di revocazione venga accolta.

All’esito dell’udienza odierna il ricorso è passato in decisione.

4. Il Collegio ricorda che la revocazione non è un ulteriore grado di giudizio, ossia lo strumento per sottoporre a critica la sentenza, individuare i suoi eventuali errori di giudizio e correggerli.

Si tratta, invece, di uno strumento straordinario, cui è possibile ricorrere in fattispecie eccezionali, tassativamente definite dalla legge.

Nel caso in esame, la ricorrente invoca l’ipotesi dell’"errore di fatto", asserendo che nella sentenza della V Sezione vi sarebbero, appunto, alcuni errori di fatto.

Ma per farsi luogo alla revocazione non è sufficiente che vi sia stato un errore di fatto. La disposizione cui si fa riferimento è l’art. 395, n. 4, del codice di procedura civile, che è del seguente tenore:

"(la revocazione è ammessa) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare".

5. Ora, nel caso in esame, secondo la parte ricorrente la sentenza della V Sezione sarebbe viziata perché basata sul presupposto di fatto che "la struttura (F.) non fosse autorizzata all’attività ambulatoriale di riabilitazione, ritenendola invece autorizzata solo per l’attività di recupero e rieducazione funzionale (FKT)"; presupposto, secondo la ricorrente, errato in quanto (a suo dire) essa era autorizzata (anche) per la riabilitazione. Segue una dettagliata esposizione degli elementi da cui risulterebbe provata l’esistenza di quella autorizzazione.

Il Collegio osserva che è vero che la sentenza assume, fra l’altro, che F. fosse autorizzata solo per l’attività di FKT e non anche per quella di riabilitazione.

Ma questo era appunto uno dei punti controversi sui quali il giudice era chiamato a pronunciarsi.

Ed invero, nella sentenza di primo grado si legge fra l’altro: "… i ricorrenti proponevano motivi aggiunti di impugnazione, in particolare contestando come la F. s.r.l., benché titolare di autorizzazione all’esercizio per prestazioni di sola FKT, avesse ottenuto il rilascio dell’attestato di accreditamento anche per l’attività di riabilitazione". E più avanti: "… i ricorrenti notificavano ulteriori motivi aggiunti… con i quali ribadivano… che l’accreditamento istituzionale era stato richiesto per l’attività di riabilitazione, laddove la F. s.r.l. era titolare di autorizzazione per la sola attività di FKT".

Sin qui, il contenuto della materia del contendere quale risulta dall’esposizione che ne fa la sentenza del T.A.R.. Nella stessa sentenza poi si legge nella motivazione in diritto: "Nel caso della F. s.r.l. relativamente all’attività di riabilitazione deve ritenersi che il centro fosse privo della prescritta autorizzazione". Segue una analitica disamina delle ragioni sulle quali i giudici di primo grado basavano il loro convincimento.

Nella sentenza n. 7074/2010 della V Sezione, nella parte in cui si elencano i motivi d’impugnazione dedotti dalle parti appellanti (F. e Regione), si legge fra l’altro: "(le appellanti deducono che) contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., la ricorrente (F.) doveva ritenersi in possesso anche dell’autorizzazione per l’attività riabilitativa".

6. Non è compito di questo Collegio pronunciarsi sulla fondatezza delle conclusioni cui prima il T.A.R. e poi il Consiglio di Stato sono giunti al riguardo.

Ai fini del giudizio di revocazione, si deve solamente prendere atto che si trattava di una questione esplicitamente dibattuta fra le parti già in primo grado e motivatamente risolta da quel Giudice – e poi nuovamente dibattuta in secondo grado in quanto specificamente introdotta con un apposito motivo di appello.

Tanto basta per ritenere che la fattispecie esula dalla previsione dell’art. 395, n. 4, c.p.c., il quale, come si è visto, richiede che l’asserito errore di fatto sia caduto su un punto che non abbia formato oggetto di controversia.

7. A parte ciò, manca anche un altro estremo essenziale dell’ipotesi di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c..

Quest’ultimo richiede invero che l’errore consista nell’avere ignorato una verità (concernente un fatto positivo o negativo) la quale emerga "incontestabilmente" dagli atti di causa. Com’è noto, secondo l’espressione gergale corrente deve trattarsi di un "abbaglio dei sensi" in cui sia occorso il Giudice. In questo caso, anche a voler supporre che vi sia stato un errore di giudizio, il fatto stesso che la questione sia stata ampiamente dibattuta in entrambi i gradi del giudizio – e risolta dai giudici in senso contrario a quello voluto dall’attuale ricorrente – dimostra che non si trattava di una "verità incontestabile".

Questo motivo di revocazione risulta dunque inammissibile.

8. Ci si deve dare tuttavia carico di una ulteriore prospettazione della parte ricorrente, la quale sembra far riferimento (sempre a proposito della stessa questione di fatto) ad una diversa ipotesi dell’art. 395 c.p.c.; e cioè quella del "dolo" delle controparti. Non è chiaro tuttavia se questo argomento sia introdotto a guisa di un autonomo capo d’impugnazione, ovvero solo per rafforzare la tesi dell’errore di fatto.

In ogni caso, il supposto "dolo" imputato alle controparti consisterebbe nell’aver impiegato argomentazioni capziose e tendenziose, che avrebbero fuorviato il Giudice nella lettura e nell’interpretazione di documenti la cui integrità ed autenticità, peraltro, non sono mai state messe in dubbio.

Ad avviso di questo Collegio, anche a voler tutto concedere alla prospettazione fatta dalla parte ricorrente, non si integrerebbe comunque la fattispecie del "dolo" nel senso previsto dall’art. 395 c.p.c..

Ed invero, anche supponendo che le argomentazioni delle controparti fossero tendenziose, che i Giudici ne siano stati fuorviati, e che per effetto di ciò siano state adottate decisioni errate, è certo che tutto è stato dibattuto apertamente, in ben due gradi di giudizio; sicché l’attuale ricorrente aveva il modo di controargomentare nonché, se del caso, di produrre ulteriori documenti ovvero chiederne l’acquisizione. D’altra parte, per quanto tendenziose fossero le difese degli avversari, ciò non impediva ai Giudici di leggere ed interpretare autonomamente gli atti.

In conclusione, neppure sotto questo profilo si ravvisa un motivo di revocazione.

9. Con una distinta prospettazione, la ricorrente sostiene che la sentenza della V Sezione sia inficiata da un errore di fatto nella parte in cui ha ritenuto "che la Regione non avesse preventivamente verificato la compatibilità della nuova struttura con il fabbisogno territoriale, da individuarsi nei "programmi delle attività territoriali"; e che così facendo, avrebbe disatteso le aspettative di quelle strutture già esistenti, che confidano nella prosecuzione della loro attività".

Anche in questo caso, la questione rispetto alla quale il Giudice sarebbe caduto in errore di fatto (dato e non concesso che si tratti di errore, e che si possa definire "di fatto") tocca aspetti intorno ai quali si è discusso per due gradi di giudizio.

Manca, peraltro, un ulteriore requisito che deve possedere il (supposto) errore di fatto per assurgere a motivo di revocazione: e cioè che si tratti di errore caduto su un punto decisivo della controversia.

Va ricordato che il punto centrale del giudizio del T.A.R., e poi di quello del Consiglio di Stato, è stato quello della questione dell’"ordine cronologico" nell’esame delle domande di accreditamento istituzionale. Di fatto era accaduto che la Regione avesse esaminato (e accolto) la domanda di F., attenendosi all’ordine cronologico di presentazione delle domande e trascurando di dare invece priorità alle strutture già in possesso di accreditamento provvisorio (come le imprese ricorrenti in primo grado) rispetto a quelle di nuova formazione (come F.). I giudici di primo e di secondo grado hanno ritenuto che alle strutture già provvisoriamente accreditate spettasse priorità rispetto a quelle mancanti di detto titolo.

Rispetto a tale problema, la questione sulla quale i Giudici sarebbero caduti in errore di fatto appare logicamente ininfluente.

10. In conclusione, mancano i presupposti per la domanda di revocazione, e il ricorso va dichiarato inammissibile.

La parte ricorrente dovrà rifondere le spese di questo grado di giudizio alle controparti private; essendosi queste costituite e difese unitariamente, è irrilevante a questi fini che una (sola) di esse abbia poi dichiarato di non avere più interesse alla decisione. Le spese vanno invece compensate nei confronti della Regione, che si è costituita al solo fine di manifestare adesione al ricorso di F., senza null’altro aggiungere.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) dichiara inammissibile la domanda di revocazione. Condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese legali in favore delle controparti private, liquidandole comlessivamente e unitariamente in Euro 5.000, oltre gli accessori di legge. Spese compensate nei confronti della Regione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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