Cons. Stato Sez. III, Sent., 09-08-2011, n. 4720 Associazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, l’odierna appellante impugnava, anche a mezzo di successivi motivi aggiunti, l’esclusione dalla gara indetta per l’affidamento della gestione del Centro di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.) di Roma – Ponte Galeria, nonché gli atti presupposti – ivi compresi i verbali della Commissione aggiudicatrice – e successivi, chiedendone l’annullamento.

In particolare, esponeva quanto segue:

– di aver presentato in data 2 marzo 2009 domanda di partecipazione alla gara di cui sopra;

– nel corso della prima seduta di gara, la Commissione aggiudicatrice riteneva di procedere alla sua esclusione dalla gara a causa di "carenze documentali", riguardanti la dichiarazione di cui al punto 10, comma 2, secondo capoverso, dell’Avviso pubblico "di non essere incorsi nei due anni precedenti la presente procedura nei provvedimenti previsti dall’art. 44, D. Lgs. 286/98 in relazione all’art. 43 dello stesso Decreto su l’immigrazione, per gravi comportamenti ed atti discriminatori", la dichiarazione prevista dal punto 10, comma 3, secondo capoverso dell’Avviso pubblico della "disponibilità di un numero di operatori almeno uguale a quello indicato nella scheda relativa alla dotazione minima di personale ex art. 5 del capitolato del presente appalto" nonché la dichiarazione prevista dall’art. 10, comma 3, terzo capoverso, dell’Avviso pubblico "circa il possesso di attrezzature tecniche e mezzi necessari all’espletamento dei servizi";

– appresi informalmente i motivi di esclusione, presentava istanza di riesame delle determinazioni della Commissione aggiudicatrice, chiedendo la riammissione nella procedura di gara;

– con la nota prot. n. 4473/2009 la Prefettura di Roma comunicava il decreto prefettizio, prot. n. 44259/09, di esclusione dalla gara, il quale risulta adottato "visto il parere, prot. n. 42045 del 18 maggio 2009 reso dall’Avvocatura Generale dello Stato, sottratto al diritto di accesso…..".

Ciò premesso, la disposta esclusione veniva contestata in quanto asseritamente adottata in violazione delle norme del bando, il quale, nell’enumerare i requisiti minimi che doveva possedere ciascun partecipante alla gara, non prevedeva secondo la ricorrente l’obbligo di attestare nella domanda di ammissione, a pena di esclusione, tutti i requisiti richiesti dalla legge di gara, ma soltanto alcuni di essi.

Si costituiva per resistere, tra gli altri, la società Cooperativa sociale odierna appellata, risultata aggiudicataria della gara, proponendo altresì ricorso incidentale, con il quale veniva contestata la possibilità per la ricorrente principale di essere ammessa alla gara, sotto il duplice profilo della incompatibilità della natura giuridica e dello status della ricorrente stessa con l’assunzione di un appalto di pubblici servizi e della intervenuta violazione da parte della stessa, in sede di gara, delle norme in materia di dichiarazione ed autocertificazione del rispetto della normativa a tutela del diritto al lavoro dei disabili.

Il T.A.R. accoglieva il primo motivo del ricorso incidentale, nella parte in cui era stata dedotta l’inammissibilità per incompatibilità della partecipazione della ricorrente alla gara.

La sentenza impugnata, in particolare, escludeva "la possibilità per la C.R.I. di sottostare a procedure di evidenza pubblica con altri soggetti", avendo essa sì "la capacità giuridica di assumere la veste di parte in un rapporto instaurato con un altro soggetto pubblico" (pag. 13 sent.), ma solo a mezzo delle "convenzioni" all’uopo previste dal suo statuto, nelle quali non può ritenersi che "possa rientrare anche l’appalto di servizi, potendo il rapporto convenzionale configurarsi in vari modi, ma non come appalto di servizi, postulante una natura imprenditoriale estranea alla Croce Rossa (che non ha scopo di lucro ed ignora il rischio d’impresa)": pag. 14 sent.

La C.R.I. ha proposto appello avverso l’indicata sentenza (che ritiene "erronea, immotivata ed ingiusta"), cui resistono tanto le Amministrazioni appellate quanto la ricorrente incidentale in primo grado.

Con memoria in data 7 marzo 2011 l’appellante ha replicato brevemente a quanto sostenuto da quest’ultima nella propria memoria di costituzione.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 20 maggio 2011.

Motivi della decisione

La Croce Rossa Italiana deduce che "le norme di legge da cui ha preso le mosse la sentenza del TAR in nessun modo consentivano la possibilità di giungere all’assurdo di limitare, in assenza anche di qualsivoglia norma contenente un espresso divieto, la capacità giuridica dell’Ente Croce Rossa, sino al punto di vietare, addirittura, la possibilità di partecipare a procedure di evidenza pubblica. Procedure, nella specie, finalizzate proprio all’affidamento di quei servizi alle persone in stato di disagio, che costituiscono il finbe statutario, se non la stessa ragione di esistenza della Croce Rossa" (pagg. 8 – 9 app.).

Tale divieto porterebbe secondo l’appellante a conclusioni assurde, atteso che "seguendo la tesi alla base della sentenza impugnata, la Croce Rossa non potrebbe mai più svolgere i servizi pubblici di assistenza a sé connaturati, né mediante affidamento diretto, perché precluso dalle norme comunitarie, né mediante procedure di evidenza pubblica, poiché ad esse precluse secondo la sentenza del Tar" (pag. 11 app.).

Il riferimento alle convenzioni contenuto nella normativa statutaria esprimerebbe "invero la necessità che l’affidamento di servizi pubblici di assistenza alla Croce Rossa sia oggetto di specifica disciplina pattizia, recepita appunto in convenzioni… che costituiscono semplicemente lo strumento contrattuale di regolazione dei rapporti tra pubblica amministrazione e soggetto od ente affidatario del servizio, e che si pongono a valle della procedura di selezione del soggetto affidatario del servizio" (ibidem).

Né, ad avviso dell’ente ricorrente, "la nozione di "operatore economico che offre servizi sul mercatò… può restringersi unicamente ai soggetti che perseguano un preminente scopo di lucro tramite una stabile organizzazione d’impresa", esistendo "anzi in materia un espresso divieto di introdurre, da parte dei singoli stati, condizioni particolari atte a porre una limitazione generale dell’accesso alle procedure di gara in base alla forma giuridica ed all’organizzazione interna degli operatori stessi" (pag. 13 app.).

Di qui "la conclusione che ogniqualvolta vi sia scambio di prestazioni corrispettive ci si trova di fronte ad una procedura che deve seguire le regole comunitarie (appalto) ed alla quale debbono poter partecipare anche quei soggetti che non perseguono finalità di lucro tramite una struttura imprenditoriale stabile" (pag. 18 app.).

Le vedute obiezioni alla sentenza impugnata formulate con l’atto d’appello si rivelano prive di fondamento, sì che lo stesso va respinto nei términi che séguono.

La natura giuridica dell’Associazione Italiana della Croce Rossa risulta definita dall’art. 1 del DPR n. 613 del 31/7/80 (Riordinamento della Croce Rossa Italiana), nel testo sostituito dall’art. 7 del D.L. 20 settembre 1995, n. 390, convertito dalla L. 20 novembre 1995, n. 490: "L’Associazione Italiana della Croce Rossa ha, ad ogni effetto di legge, qualificazione e natura di ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e, in quanto tale, è soggetta alla disciplina normativa e giuridica degli enti pubblici".

Natura, del resto, confermata dal controllo esercitato dalla Corte dei conti sulla gestione finanziaria dell’Ente, nelle forme di cui all’art. 12 della L. 21 marzo 1958, n. 259, così come previsto dall’ultimo comma dell’art. 7 del D.L. n. 390 cit.

Alla Croce Rossa deve dunque ritenersi pacificamente attribuita la natura di ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico (Cons. St., V, 10 maggio 1999, n. 554; da ultimo, IV, 24 marzo 2010, n. 1723).

Tanto comporta, ai sensi della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici, la sua natura, ai sensi dell’art. 1, n. 9, della direttiva 2004/18, di amministrazione aggiudicatrice, quale ente che soddisfa una funzione di interesse generale, avente carattere non industriale o commerciale.

Un organismo di questo tipo non esercita, a titolo principale, un’attività lucrativa sul mercato.

Orbene, il quarto "considerandò della direttiva 2004/18 evoca la possibilità, per un "organismo di diritto pubblico", di partecipare in qualità di offerente ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico.

Allo stesso modo, l’art. 1, n. 8, primo e secondo comma, di tale direttiva riconosce la qualità di "operatore economico" non soltanto ad ogni persona fisica o giuridica, ma anche, in modo esplicito, a ogni "ente pubblico", nonché ai raggruppamenti costituiti da tali enti, che offrono servizi sul mercato; e la nozione di "ente pubblico" può includere anche organismi che non perseguono un preminente scopo di lucro, che non hanno una struttura d’impresa e che non assicurano una presenza continua sul mercato.

Inoltre, l’art. 4 della medesima direttiva, intitolato "Operatori economici", al suo n. 1 vieta agli Stati membri di prevedere che i candidati o gli offerenti i quali, in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione che costituisce l’oggetto di un bando di gara siano respinti soltanto per il fatto che, secondo la normativa dello Stato membro in cui è aggiudicato l’appalto, essi dovrebbero essere o persone fisiche o persone giuridiche.

Tale disposizione non stabilisce neppure una distinzione tra i candidati o gli offerenti a seconda del fatto che essi abbiano uno status di diritto pubblico oppure di diritto privato.

Dalle considerazioni che precedono la Corte di Giustizia CE ha ricavato, com’è noto, il corollario che le disposizioni della direttiva 2004/18, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, nn. 2, lett. a), e 8, primo e secondo comma, che si riferiscono alla nozione di "operatore economico", devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quale appunto incontestatamente si configura nel nostro ordinamento la Croce Rossa Italiana, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi (Corte giustizia CE, sez. IV, 23 dicembre 2009).

La partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici non può dirsi dunque riservata ai soli prestatori che offrano servizi sul mercato in modo sistematico ed a titolo professionale, con esclusione dei soggetti, anche pubblici, che non perseguono un preminente scopo di lucro.

Occorre tuttavia in proposito ricordare che, come risulta dalla formulazione dell’art. 4, n. 1, della direttiva 2004/18, gli Stati membri hanno il potere di autorizzare o meno talune categorie di operatori a fornire certi tipi di prestazioni.

Gli Stati membri possono così in particolare disciplinare le attività di soggetti pubblici, non aventi finalità di lucro, che esercitino, come appunto accade per la Croce Rossa Italiana, attività e servizi sanitari e socioassistenziali.

In particolare, gli Stati membri possono autorizzare o non autorizzare tali soggetti ad operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari; dunque, solo se, e nei limiti in cui, siffatti soggetti siano autorizzati ad offrire taluni servizi sul mercato, la normativa nazionale che recepisce la direttiva 2004/18 nel diritto interno non può vietare a questi ultimi di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto la prestazione degli stessi servizii.

Un simile divieto può rinvenirsi, ad avviso del Collegio, per quanto riguarda le attività della Croce Rossa Italiana, nella limitazione ad essa posta dall’art. 5, comma 1, del già citato D.P.R. 31 luglio 1980, n. 613 e dall’art. 2, comma 1, lett. c) e d), del D.P.C.M. 6 maggio 2005, n. 97 (Approvazione del nuovo Statuto dell’Associazione Italiana della Croce Rossa), che prevedono lo svolgimento di attività o servizi attinenti alle sue finalità istituzionali per conto dello Stato, delle regioni e di altri enti pubblici attraverso lo strumento della convenzione.

Tale formulazione, invero, da un lato non può ritenersi comprensiva, come pretenderebbe l’appellante, di quel contratto a titolo oneroso, che, ai sensi dell’art. 1, n. 2, lett. a) della Direttiva 2004/18 (così come già ai sensi dell’art. 1, lett. a), della Direttiva 92/50), è l’appalto pubblico di servizi, alla cui stipula è finalizzata la gara per cui qui si controverte (e ciò perché, nel contesto ordinamentale della normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici – già peraltro vigente all’epoca di emanazione della indicata normativa nazionale recante la disciplina specifica della Croce Rossa Italiana – le definizioni dei singoli istituti devono ritenersi tassative e di stretta interpretazione); dall’altro la stessa deve anzi ritenersi esplicitamente escludente (e dunque espressione della volontà del legislatore nazionale di non autorizzare) la possibilità per la Croce Rossa Italiana di offrire sul mercato i servizi oggetto della sua attività istituzionale, dovendo il termine "convenzione" (utilizzato come s’è visto dal normatore statutario per regolamentarne l’attività negoziale) intendersi piuttosto riferito, secondo una interpretazione che tenga conto dell’intero contesto ordinamentale nel quale si inserisce la normativa in considerazione, ad una convenzione stipulata ex art. 15 della legge n. 241/1990, ai sensi del cui primo comma "… le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune".

In forza di detta previsione normativa, infatti, l’accordo tra le amministrazioni interessate può considerarsi lo strumento più adatto a garantire una forma di coordinamento per il soddisfacimento del pubblico interesse ed idonea a comporre in un quadro unitario gli interessi pubblici, di cui ciascuna amministrazione è portatrice.

Sulla base di tale considerazione risulta evidente la valenza generale (e dunque la chiara riferibilità ad esso della veduta previsione statutaria) rivestita dagli accordi organizzativi di cui al citato art. 15, in forza del quale gli enti pubblici possono "sempre" utilizzare lo strumento convenzionale per concludere tra loro accordi organizzativi volti a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, in particolare al fine di programmare e di realizzare, per quanto concerne in specie l’àmbito di attività proprio della Croce Rossa Italiana, servizi sanitari e socioassistenziali.

In proposito è stato infatti precisato che le "attività di interesse comune" ben possono riguardare, come nella specie, attività materiali da svolgere nell’espletamento di un pubblico servizio e direttamente in favore della collettività (cfr. CdS, VI, 8 aprile 2002, n. 1902).

In tale quadro, la comunione di interessi, che è alla base degli accordi di collaborazione tra amministrazioni previsti dall’art. 15 della legge 7 agosto 1990 n. 241, rende inapplicabili, per la conclusione degli accordi stessi, le regole sulla scelta del contraente risultanti dalle norme sulla contabilità di Stato e sui contratti pubblici (cfr. CdS, I, 17 aprile 1996, n. 3670).

La specifica normativa regolante l’attività dell’ente ne ammette pertanto l’accesso, ai fini della fornitura di servizi in favore della collettività, solo ad un siffatto sistema convenzionale con le altre PP.AA., con le cui attività detta fornitura possa integrarsi per la soddisfazione del bene comune (ch’è pur sempre uno dei criteri fondamentali che regolano l’azione amministrativa: cfr. CdS, V, 22 novembre 1996, n. 1396), così implicitamente ma chiaramente escludendo la sua partecipazione a procedure competitive esperite dalle stesse Amministrazioni ai fini della stipula, pur per l’acquisizione di analoghe prestazioni, di un contratto pubblico di appalto a titolo oneroso, in alcun modo configurabile, se non con un’approssimazione ed indeterminatezza intollerabili a fronte di una disciplina così dettagliatamente specifica, come rapporto convenzionale (Cons. St., V, 30 settembre 2009, n. 5891).

Quanto, poi, alla questione, pure introdotta con l’atto d’appello, della legittimità o meno, ai sensi della normativa comunitaria sugli appalti, del veduto istituto del convenzionamento diretto dato dalle norme statutarie alla Croce Rossa Italiana per l’esercizio delle sue attività istituzionali quale unica via di collaborazione con altre PP.AA., essa si rivela del tutto estranea all’oggetto del presente giudizio, nel quale si discute soltanto della possibilità o meno per l’ente stesso di partecipare a procedure di evidenza pubblica indette, appunto in alternativa al ricorso a detto istituto, ai fini della scelta del contraente per la stipula di un contratto d’appalto di servizi.

Valga comunque in proposito ricordare come di per sé l’accordo convenzionale ex art. 15 legge n. 241/1990 non escluda il possibile carattere oneroso per una o più delle parti (in relazione alla controprestazione erogata dall’autorità pubblica interessata a motivo dell’esecuzione delle prestazioni dei servizi, che costituiscono oggetto dell’accordo stesso e dei quali tale autorità sarà beneficiaria); e come, d’altro canto, la semplice esistenza, fra due enti pubblici, di un meccanismo di finanziamento riguardante servizi di tal genere (nella fattispecie servizi di trasporto d’urgenza infermi in ambulanza) "non implica che le prestazioni di servizi in questione rappresentino un’aggiudicazione di appalti pubblici che debba essere esaminata alla luce delle norme fondamentali del Trattato" (cfr. Corte Giustizia CE, sent. 18 dicembre 2007, causa C532/03).

In proposito, comunque, la eventuale originaria o sopravvenuta non conformità all’ordinamento dell’unico strumento di regolazione di rapporti con altri soggetti pubblici (la convenzione) previsto dalla normativa statutaria dell’ente, può (o, meglio, deve) essere unicamente motivo di valutazione da parte delle autorità preposte per una revisione della normativa speciale medesima; e giammai per un’indebita disapplicazione del divieto di autorizzazione ad offrire sul mercato i servizi della Croce Rossa, risultante allo stato dalla normativa medesima.

In sintesi: se lo statuto della C.R.I. consentisse a questo ente di assumere un appalto di servizi, presumibilmente si dovrebbe ritenere consentita (o anzi necessaria) anche la sua partecipazione alle relative gare di evidenza pubblica. Invece, lo statuto vigente della C.R.I., approvato con d.P.C.M. 6 maggio 2005, n. 97 (atto normativo di livello regolamentare, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge n. 400/1988) all’art. 2, comma 1, prevede un istituto diverso dal contratto di appalto quale strumento della collaborazione della C.R.I. con le pubbliche amministrazioni, per l’espletamento dei servizi sociali, assistenziali e sanitari. Ciò che lo statuto preclude, insomma, non è la partecipazione alle gare in sé e per sé, ma la stipulazione di contratti di appalto.

In conclusione, l’appello va respinto, con conseguente conferma, nei sensi di cui sopra, della sentenza appellata.

Quanto alle spese del grado, la quantomeno parziale novità delle questioni trattate ne giustifica l’integrale compensazione fra le parti.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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