Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 19-07-2011) 28-07-2011, n. 30213

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- P.A., condannato in primo grado (sentenza Corte di Assise Lecce 16.12.2008) alla pena dell’ergastolo per i reati di concorso in omicidio pluriaggravato di natura mafiosa in persona di L.G. ed in detenzione e porto illegali di armi da sparo, commessi ad Amsterdam nel novembre 2001, formulava – in pendenza del giudizio di appello – istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di fase e massimi ( artt. 303 e 304 c.p.p.) della custodia cautelare, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3. Il P. sollecitava il computo della durata della custodia carceraria applicatagli per il predetto fatto omicidiario con ordinanza cautelare emessa il 13.4.2007 dal g.i.p. del Tribunale di Lecce a decorrere dalla data di esecuzione dell’anteriore ordinanza cautelare carceraria emessa nei suoi confronti dal g.i.p. del Tribunale di Lecce il 10.4.2003 (eseguita il 14.4.2003) per i reati di associazione mafiosa (adesione alla "frangia" della consorteria Sacra Corona Unita facente capo a C.F.), di associazione criminosa dedita al traffico di stupefacenti e di concorso in detenzione e cessione illecite continuate di cocaina ed eroina, reati commessi a Lecce e altrove dal 2000 al marzo 2003 ed "in permanenza" per i fatti associativi.

Istanza invocante l’istituto della retrodatazione della custodia cautelare, dal momento che – da un lato – l’omicidio contestato con la seconda ordinanza, commesso anteriormente all’esecuzione della prima ordinanza cautelare, doveva considerarsi avvinto da connessione qualificata ( art. 12 c.p.p., lett. b) con i fatti reato oggetto della prima ordinanza custodiale (l’omicidio costituendo indice dell’adesione del P. al sodalizio mafioso di riferimento, attuato nel quadro di una unitaria determinazione criminosa ai sensi dell’art. 81 c.p., comma 2) e che – da un altro lato – gli elementi indiziari surroganti la seconda contestazione (omicidio L.) erano desumibili dagli atti del primo procedimento già al momento di emissione dell’ordinanza cautelare del 2003. 2.- Con ordinanza resa in data 11.2.2011 la Corte di Assise di Appello di Lecce ha respinto l’istanza di scarcerazione ex art. 297 c.p.p., comma 3, deducendo che, pacifica risultando l’anteriore commissione dei reati di cui alla seconda ordinanza del 2007 rispetto a quelli contestati con la prima ordinanza cautelare in separato procedimento penale: a) non è ravvisabile connessione qualificata tra le due serie di fatti criminosi oggetto dei due provvedimenti coercitivi sotto il peculiare profilo della continuazione criminosa;

b) prima della emissione dell’ordinanza custodiale del 2003 e della successiva connessa richiesta di rinvio a giudizio in data 24.2.2004 non erano disponibili congrui dati indiziari legittimanti l’emissione del secondo provvedimento cautelare del 2007. Anche facendo leva sulla sentenza resa in primo grado sull’omicidio L. (seconda contestazione cautelare) il 16.12.2008, i giudici di merito di secondo grado hanno osservato che le decisive dichiarazioni confessorie sull’evento omicidiario sono state rilasciate dal C.F., indottosi alla collaborazione giudiziaria, soltanto nel corso del 2005 con completezza di dettagli e circostanze relative alle modalità esecutive del delitto e ai soggetti allo stesso partecipanti, incluso il P..

3.- Adito dall’appello dell’imputato ai sensi dell’art. 310 c.p.p., il Tribunale distrettuale di Lecce con l’ordinanza del 15.3.2011, richiamata in epigrafe, ha rigettato il gravame, escludendo l’esistenza di situazioni riconducibili all’art. 297 c.p.p., comma 3.

I giudici di appello, svolta una premessa metodologica e interpretativa alla luce della ricostruzione dell’istituto della retrodatazione cautelare conseguente alla sentenza della Corte Costituzione n. 408 del 2005 e alle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte (22.3.2005 n. 21957, Rahulia; 19.12.2006 n. 14535/07, Librato), hanno formulato i seguenti coordinati rilievi.

– Il reato di omicidio di L.G. (con i connessi reati in materia di armi) è temporalmente collocabile prima dei reati associativi e dei reati di detenzione e cessione di droga contestati al P. con la prima ordinanza cautelare in un separato procedimento penale.

– La quaestio facti relativa alla configurabilità di connessione qualificata tra i reati contemplati dalle due ordinanze cautelari va risolta negativamente, non potendosi ravvisare tra gli stessi un unitario programma criminoso ex art. 81 cpv. c.p.. Pur riconoscendosi che in taluni casi possa configurarsi la continuazione tra reati associativi e specifici reati-fine del progetto criminoso associativo, nel caso di specie non può supporsi che, all’atto della sua adesione al gruppo mafioso della S.C.U. diretto da C. F., il P. si sia raffigurato come esito prevedibile della sua partecipazione criminosa anche l’uccisione di possibili antagonisti opponentisi al disegno egemonico del C..

– Esclusa la continuazione e – dunque – la connessione qualificata tra i due fatti e dovendosi prendere in considerazione, secondo l’indirizzo interpretativo di questa Corte regolatrice, non la data del rinvio a giudizio per i fatti oggetti del primo titolo custodiale, ma la data di esecuzione di quella prima misura cautelare, gli elementi su cui è basata la seconda ordinanza cautelare del 28.11.2007 non possono reputarsi già conosciuti dall’organo dell’accusa alla data del 10.4.2003, poichè gli stessi si sono resi pienamente disponibili e decifrabili soltanto in momenti successivi. In quel momento erano acquisite dichiarazioni rilevanti per dedurre l’oggettiva consumazione della uccisione del L., ma non la ricostruzione modale del delitto e l’identità dei suoi autori. In particolare i collaboranti C.F. e D.S. P. hanno offerto esaurienti dati conoscitivi sull’episodio criminoso in epoca successiva all’emissione della prima ordinanza cautelare; il collaborante V. si è limitato a riferire il 17.6.2002 di avere indirettamente appresso dell’essere il C. responsabile dell’omicidio del L. senza ulteriori particolari.

4.- Per la cassazione della descritta ordinanza dei giudici dell’appello cautelare il difensore di P.A. ha proposto ricorso, deducendo due motivi di censura.

1. Erronea applicazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3 in riferimento all’art. 81 c.p., comma 2. Impropriamente il Tribunale di Lecce ha ritenuto non ravvisabile un rapporto di continuazione criminosa tra la partecipazione all’omicidio di L.G. e l’adesione del P. alla associazione mafiosa del C. e alla collegata associazione dedita al narcotraffico. La nozione di medesimezza del disegno criminoso rilevante per gli effetti di cui all’art. 81 c.p., comma 2 non è definita da una specifica e dettagliata rappresentazione volitiva dell’agente di tutti i fatti che possano attuare lo scopo dell’aggregato criminale. A tal fine deve ritenersi che l’associazione abbia messo in conto nel proprio disegno criminale anche l’eventualità di "eliminare" quanti potessero contrastare l’espansione e il radicamento territoriale del gruppo mafioso.

Sicchè l’omicidio del L., che si opponeva alla primazia del C., si inscriveva prevedibilmente nell’originario progetto associativo criminoso. Con l’effetto che tra i reati associativi di cui alla prima ordinanza e l’omicidio del L. sussiste un rapporto di continuazione ex art. 81 cpv. c.p. e che i reati contestati con le due ordinanze cautelari sono avvinti da connessione ed. qualificata ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3. 2. Carenza di motivazione in ordine alla preesistenza ex actis di indizi di colpevolezza nei confronti del P. in ordine alla sua partecipazione all’omicidio L. rispetto alla data di emissione del primo provvedimento restrittivo.

I giudici di appello hanno operato una lettura riduttiva e parziale delle indicazioni dichiarative di più collaboratori di giustizia, che già in quel momento segnalavano l’affidabile coinvolgimento del P. nell’attività preparatoria ed esecutiva dell’omicidio.

Tali elementi di conoscenza erano in ogni caso noti al medesimo ufficio giudiziario inquirente (Procura della Repubblica di Lecce) prima della richiesta di rinvio a giudizio per i reati considerati dalla prima ordinanza custodiale dell’aprile 2003, come deve in via indiretta evincersi dal fatto che il procedimento penale per l’omicidio L. è stato iscritto nel registro delle notizie di reato (mod. 21 noti) fin dal 2003. A tal fine è sufficiente osservare, tra l’altro, che il c.d.g. C.F. fin dal suo interrogatorio del 6.8.2003 attesta la presenza (cioè la partecipazione al delitto) del P. all’omicidio compiuto in Olanda nel 2001. 5.- Il ricorso di P.A. deve essere rigettato per l’infondatezza delle argomentazioni giuridico-processuali che sostengono le configurate ragioni di censura. Conclusione cui questa Corte perviene sia alla stregua di fatti e dati processuali illustrati nello stesso ricorso (sequenziale diacronia dei due separati procedimenti e dati probatori asseritamente emersi nel primo procedimento), sia alla stregua della idoneità e sufficienza valutativa dell’analisi di quegli stessi fatti operata dal giudice dell’appello cautelare. Analisi che si rivela immune dagli ipotizzati vizi di violazione della disciplina dettata dall’art. 297 c.p.p., comma 3 e di insufficienza e illogicità motivazionali apprezzabili nell’odierno giudizio di legittimità. 1. Dato atto – per mera completezza storica – che la regiudicanda collegata ai fatti reato ascritti al P. con la prima ordinanza cautelare è stata definita con sentenza di condanna (alla pena di otto anni di reclusione) passata in giudicato il 16.1.2007, non è inutile richiamare i referenti applicativi dell’istituto della retrodatazione dei termini di custodia cautelare quali puntualizzati dagli interventi interpretativi della Corte Costituzionale (sentenza n. 408 del 2005) e da questa S.C. (Cass. S.U., 22.3.2005 n. 21957, Rahulia; Cass. S.U. 19.12.2006 n. 14535, Librato).

– Nel caso di emissione nei confronti di un indagato o imputato di più ordinanze che dispongono la stessa misura cautelare per fatti diversi, commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologia, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con la successiva o le successive ordinanze, opera in modo automatico, cioè indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti – al momento dell’emissione della prima ordinanza – l’esistenza dei fatti reato oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure.

– Allorchè nei confronti di un indagato o imputato sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali sussiste una connessione qualificata opera la retrodatazione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3 anche rispetto ai fatti oggetto di un diverso procedimento, se questi erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti reato oggetto della prima ordinanza.

– Nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura per fatti diversi, tra i quali non sussiste la connessione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, i termini delle misure disposte con le ordinanze successive decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se al momento dell’emissione di questa erano desumibili dagli atti gli elementi giustificanti le ordinanze successive, purchè le misure cautelari non siano state adottate in procedimenti diversi.

2. Calando tali canoni valutativi nell’analisi della odierna regiudicanda cautelare, deve constatarsi che il Tribunale di Lecce ha idoneamente motivato la riconducibilità della posizione del ricorrente P. alla terza casistica, appena illustrata, del succedersi di ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi relative a fatti reato non avvinti da connessione qualificata e tali, per ciò, da imporre una verifica ex art. 297 c.p.p., comma 3 della presenza degli elementi legittimanti la seconda ordinanza custodiale al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare (10.4.2003) e non già al momento della richiesta di rinvio a giudizio (24.2.2004) per i reati contestati con quella prima ordinanza.

Il nodo centrale della disamina della posizione processuale del P. è, quindi, costituito dalla verifica della sussistenza o meno di connessione ed. qualificata tra i due reati oggetto delle due ordinanze cautelari, vale a dire dell’essere gli stessi legati o non da continuazione criminosa siccome espressione di un medesimo progetto illecito.

3. Il Tribunale di Lecce, legittimamente dissentendo dalle prospettazioni della difesa del ricorrente, ha reputato – all’esito di un percorso decisorio del tutto logico ed immune da discrasie ricompositive delle due ipotesi di accusa – di non poter ravvisare la concreta esistenza di un medesimo disegno criminoso fra i reati di aggregazione criminale di matrice mafiosa volta a conseguire il controllo territoriale del traffico di stupefacenti in area salentina e i reati fine in materia di stupefacenti, attribuiti al ricorrente con l’ordinanza del 10.4.2003, e l’omicidio di L.G. avvenuto in Olanda nel 2001 (ordinanza cautelare del 13.4.2007). Il Tribunale è giunto a tale conclusione, argomentando che dall’esame delle due ordinanze cautelari e dei corrispondenti atti processuali non vengono in luce elementi di natura storico-fattuale (è appena il caso di ricordare che la questione della continuazione è una tipica questione di fatto) che valgano a collegare l’evento omicidiario in una anticipata previsione, ancorchè eventuale, già insita nel disegno perfezionativo dei reati associativi. Non vi è dubbio che, come osserva il Tribunale, l’eliminazione anche fisica di avversari che ostacolino l’esistenza e l’attività del sodalizio criminoso costituisce una semplice "mera eventualità prevedibile", cioè possibile, che tuttavia raggiunge un minimo grado di concretezza soltanto allorchè divenga attuale la condotta oppositiva dell’avversario e si renda necessario procedere alla sua "neutralizzazione" (uccisione). Prima di un tale momento "non può parlarsi di un reato, sia pure genericamente delineato, ma solo di un reato ipotetico e virtuale". Di tal che nel caso di specie non può in alcun modo disquisirsi di una effettiva anticipata previsione della commissione dell’omicidio, inscrivibile in una unitaria progettualità antigiuridica sussumibile nella categoria della continuazione criminosa a norma dell’art. 81 c.p., comma 2. 4. Fondatamente il Tribunale, esclusa la continuazione criminosa tra le due serie di reati attribuiti al P., ha valutato la terza condizione della operatività della fattispecie di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, rapportandola alla verifica della desumibilità ex actis (nel primo procedimento) del quadro indiziario surrogante la seconda ordinanza restrittiva al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare e non già al momento del rinvio a giudizio disposto nel primo procedimento. In questa prospettiva ineccepibile si profila la dedotta non desumibilità anteriore dei dati probatori legittimanti la seconda ordinanza cautelare, avuto riguardo alla soltanto successiva elaborazione analitica dei dati investigativi raccolti attraverso l’incrociata sovrapposizione delle dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia, chiamanti in correità o in reità il P..

Senza indugiare in questa sede sui caratteri della nozione di anteriore "desumibilità dei fatti" ( art. 297 c.p.p., comma 3) e sulla sua non omologabilità al concetto di mera conoscenza (o conoscibilità) di semplici dati fattuali, che necessitano di un processo di valutazione inferenziale ai fini della loro efficacia rappresentativa di eventi penalmente rilevanti, può osservarsi come si renda improponibile una meccanicistica equazione tra disponibilità dei dati conclusivi delle indagini e conoscenza (desumibilità), coniugata ad una prognosi di serietà (se non di gravità) indiziaria per fini cautelari nell’esegesi dell’istituto della retrodatazione della custodia cautelare.

In tale prospettiva le emergenze fattuali (dichiarazioni di collaboratori), che secondo il ricorso avvalorerebbero la ridetta disponibilità di dati accusatori contro il P., quale concorrente nell’omicidio L., non possono essere prese in esame in questa sede. Vuoi perchè smentite dagli elementi informativi ricavabili dall’impugnata ordinanza cautelare di appello e (ancor prima) dall’ordinanza recettiva dell’istanza di scarcerazione del giudice di merito di secondo grado dell’omicidio L., laddove riportano i contenuti rappresentativi di quelle stesse dichiarazioni (ovviamente rapportate a momenti precedenti l’emissione del primo titolo custodiale). Vuoi perchè, correlativamente, gli enunciati descrittivi del ricorso, limitatisi a riprodurre l’estrapolazione di brani delle dichiarazioni, ipoteticamente "utili" alla tesi della retrodatazione della durata della custodia cautelare, di più collaboranti, non sono verificabili da questo giudice di legittimità, che non può essere istituito a giudice del peso probatorio di elementi storico-fattuali non estensibili nella loro interezza, proprio in ragione della natura del giudizio di legittimità, giudizio incentrato sulla motivazione del provvedimento impugnato e non sui fatti che sono all’origine di tale motivazione (Cfr., ex multis: Cass. sez. 4, 4.11.2009, n. 2724/10, Fracasso; rv 245921: "In tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di desumibilità degli atti va riferita al momento valutativo, che mette in rapporto un determinato dato con le altre risultanze investigative, senza che rilevi il parametro rigorosamente temporale, ossia relativo alla mera presenza in atti di quel dato").

Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria curerà, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, gli incombenti di comunicazione connessi allo stato di custodia carceraria del P..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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