Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-07-2011) 28-07-2011, n. 30073

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. C.R. proponeva richiesta di riesame avverso l’ordinanza emessa in data 1/2/2011 dal G.i.p. presso il Tribunale di Parma, con la quale era stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere, applicata perchè ritenuto gravemente indiziato dei delitti descritti, rispettivamente di tentata violenza sessuale (capo A:

artt. 56 e 609 bis c.p.), lesioni personali (capo B: art. 582, art. 61, n. 2 e art. 61, n. 5), tentato omicidio (capo C: artt. 56 e 575 c.p., art. 61 c.p., n. 5) in danno di O.L..

I fatti relativi alle imputazioni contestate all’indagato risalivano al giorno (OMISSIS) e erano emersi a seguito della denuncia-querela sporta dalla persona offesa O.L.. Quest’ultima in data 8/3/2010 si presentava presso gli uffici della Questura di Parma in compagnia di una amica e connazionale (OMISSIS), B.A., denunciando che la sera precedente, dopo aver accettato l’invito a mangiare una pizza di un conoscente di professione muratore, C. R., quest’ultimo la conduceva in auto in luogo isolato e qui tentava di usarle violenza sessuale, provando a slacciarle i pantaloni e invitandola ad avere con lui un rapporto sessuale; quindi la malmenava violentemente con forti pugni, a seguito del suo rifiuto, inseguendola in un campo dove la donna cercava di scappare, dopo essere riuscita ad uscire dall’auto, e aggredendola ancora nel campo, dove la faceva cadere e le stringeva la gola con forza, facendola quasi svenire e gridandole "ti ammazzo", desistendo dalla presa solo a seguito di reazione della vittima che afferrava con forza i testicoli dell’uomo riuscendo così a liberarsi.

Le medesime dichiarazioni, con aggiunta di altri e più specifici particolari, quale il ricevimento di alcune telefonate da parte dell’aggressore sia nei giorni precedenti che in quelli successivi all’aggressione, venivano formalizzate dalla vittima il giorno (OMISSIS) con la presentazione di denuncia-querela.

In tale frangente la vittima riconosceva altresì in album fotografico mostratole, la fotografia raffigurante C.R. come la persona che la aveva aggredita.

Nel verbale di P.G. che raccoglieva le prime dichiarazioni della vittima si dava atto che essa appariva con volto tumefatto, accusava dolore alle braccia e ginocchia e appariva fortemente provata. Veniva perciò invitata a recarsi al Pronto Soccorso, dove essa, una volta giunta, veniva ricoverata in osservazione per alcuni giorni, con rilascio di certificato medico che accertava la presenza delle lesioni dettagliatamente descritte nel referto stesso.

Venivano poi raccolte le dichiarazioni di due amiche della persona offesa, alle quali quest’ultima aveva narrato l’accaduto con descrizione di particolari del tutto corrispondenti alla versione resa alla Polizia.

2. C.R., in sede di interrogatorio di garanzia, forniva una spiegazione del tutto diversa della vicenda. Dichiarava di aver prestato la somma di Euro 3000 a O.L. alla quale telefonava spesso per sollecitarne la restituzione. La sera del (OMISSIS) non aveva affatto aggredito la donna; si era invece verificato che verso le ore 23, 30 tornando a casa, vide O. L. in bicicletta, la fermò per chiederle indietro i soldi ed inavvertitamente la fece cadere dalla bicicletta; fu così che la O. si infortunò. 3. Con ordinanza del 23 febbraio 2011 il tribunale di Bologna accoglieva il ricorso per riesame limitatamente all’imputazione di tentato omicidio; lo rigettava nel resto.

Riteneva il tribunale che le dichiarazioni dell’indagato erano assolutamente inverosimili, non senza considerare che lo stesso aveva ammesso, al momento della notifica dell’ordinanza di custodia cautelare, di aver picchiato quella sera O.L., precisando "non così forte come era scritto sull’ordinanza di custodia cautelare".

Il tribunale riteneva che esistessero gravi indizi in relazione alle fattispecie di reato contestate ai capi A) e B), mentre non sussistevano indizi sufficienti in merito al reato ascritto al capo C).

La violenza sessuale tentata e le lesioni – secondo il tribunale – erano sorrette da evidenti elementi indiziari consistenti nelle puntuali dichiarazioni della parte offesa. Secondo la narrazione di quest’ultima l’indagato la portò in zona isolata in auto, le chiese di avere un rapporto sessuale e al rifiuto della donna si scatenò contro di lei con schiaffi e pugni, evidentemente finalizzati a convincerla al rapporto sessuale, come dimostrava il fatto che l’uomo, mentre la teneva ferma per i capelli e la picchiava, le metteva le mani nelle parti intime, le urlava di togliersi i pantaloni e cercava di aprirglieli, riuscendo ad abbassare la cerniera. Le lesioni provocate dalla suddetta aggressione risultavano provate senza alcun dubbio dal certificato medico prodotto in atti.

Invece, circa la configurabilità del delitto di tentato omicidio contestato al capo C), riteneva il tribunale che non sussistessero elementi indiziari sufficienti per ritenere la sussistenza della volontà omicida e di atti diretti in modo non equivoco a commettere omicidio della persona offesa.

In merito alle esigenze cautelari, osservava il tribunale che la personalità dell’indagato e la gravità del fatto inducevano a ritenere tale misura l’unica idonea a comprimere il pericolo di reiterazione del reato. Invero la violenza dimostrata dall’aggressore, la totale mancanza di remore e di ripensamento durante il compimento dell’azione, che si era protratta per un tempo notevole, dato l’inseguimento della vittima e la reiterata aggressione di essa nel campo, configuravano modalità particolarmente gravi del reato e connotavano una personalità assolutamente incapace di dominarsi.

3. Avverso questa pronuncia l’indagato propone ricorso per cassazione con due motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’art. 273 c.p.p.. In particolare la difesa dell’indagato sostiene che gli elementi probatori raccolti dall’accusa in merito al capo A non sono gravi precisi e concordanti tali da dover mantenere la custodia cautelare in carcere. Evidenzia che le dichiarazioni rese dalle amiche della parte offesa sono ininfluenti in quanto nulla aggiungono rispetto a ciò che è stato raccontato da quest’ultima in quanto sono persone informate dei fatti de relato. Ribadisce che la vicenda della 7 marzo 2010 sarebbe avvenuta in termini del tutto diversi da quelli narrati dalla parte offesa. Quella sera l’indagato ebbe ad incontrare la parte offesa che procedeva in bicicletta e approfittando dall’incontro casuale l’aveva fermata per rammentarle un debito di Euro 3000 da lei contratto alcuni mesi prima. Nel fare ciò involontariamente la faceva cadere dalla bicicletta; ciò che giustificava le lesioni da lei subite.

Negava quindi l’aggressione di tipo sessuale.

Col secondo motivo il ricorrente censura l’ordinanza impugnata nella parte in cui il collegio ha ritenuto la sussistenza delle esigenze cautelari. Evidenzia da una parte che egli è residente da alcuni anni in Italia con una regolare carta di soggiorno. D’altra parte sottolinea che la misura cautelare è stata adottata a distanza di circa un anno dai fatti laddove un lasso di tempo significativo affievolisce le esigenze cautela cautelari.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Quanto ai gravi indizi di colpevolezza il tribunale ha motivato dettagliatamente facendo riferimento sia alle dichiarazioni della parte offesa sia a quelle delle amiche di quest’ultima le quali hanno fornito un indiretto riscontro nella narrazione dei fatti di offerta dalla parte offesa. Le stesse dichiarazioni dell’indagato, che ha ammesso il "contatto" con la vittima, pur ricostruendo diversamente la vicenda di cui è processo, offrono una parziale conferma della attendibilità della O..

In proposito questa Corte (ex plurimis: Cass., sez. 4, 21 giugno 2005 – 10 agosto 2005, n. 30422) ha più volte affermato che ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, ben può tenersi conto delle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale può essere, anche esclusivamente, fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata. E ciò vale, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l’accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o all’altra tesi.

2.2. Anche il secondo motivo è infondato in quanto l’ordinanza impugnata motiva parimenti sia in ordine alla personalità dell’indagato, il cui carattere violento nei confronti delle donne il tribunale ha rinvenuto nelle dichiarazione di altre donne sentite in sede di indagini preliminari, sia in ordine alla circostanza del non breve lasso di tempo tra l’episodio di aggressione sessuale e l’applicazione della misura cautelare. Infatti l’art. 274 c.p.p. prevede che le esigenze cautelari sussistono anche quando, per la personalità della persona sottoposta alle indagini, desunta da comportamenti o atti concreti, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti della stessa specie di quello per cui si procede, sempre che si tratti di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni; e tale è il delitto di violenza sessuale. Il maggior lasso di tempo tra il fatto addebitato all’indagato e l’adozione della misura cautelare custodiale richiede sì una più attenta verifica delle esigenze cautelari; ma si tratta di un (doveroso) apprezzamento di merito che il tribunale, in sede di riesame, ha compiuto e che non è di per sè censurabile in sede di legittimità. 3. Pertanto il ricorso nel suo complesso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.P.R. n. 196 del 2003, art. 52.

La Corte dispone inoltre che la copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario competente a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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