Cons. Stato Sez. VI, Sent., 09-08-2011, n. 4745 Università

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

le stesse parti ai sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo;

1. Il Prof. C. T., con il ricorso n. 638 del 2010 proposto al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia – Romagna, ha chiesto l’annullamento: dei decreti del Rettore dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, n. 357 del 2010, di rigetto dell’istanza del ricorrente del 22 febbraio 2010 di ricusazione nei confronti dei professori L. F. e M. C., componenti della commissione giudicatrice per la procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di Professore universitario di ruolo di prima fascia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della predetta Università; n. 428 del 2010, di nomina nella commissione suddetta del Prof. L. F.; n. 609 del 2010 di rigetto dell’istanza presentata dal ricorrente, il 27 maggio 2010, di ricusazione del Prof. L. F., componente della commissione giudicatrice suddetta; di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso.

Il Tribunale amministrativo, con la sentenza n. 363 del 2011, ha respinto il ricorso, con compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

Nella sentenza si afferma, in sintesi, che l’istanza di ricusazione di un componente di una commissione di concorso, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c. (caso di "controversia pendente o grave inimicizia") non può essere di applicazione automatica, ma deve necessariamente prefigurare oltre che gravi e concreti elementi nei confronti del ricusato, anche obbiettive circostanze di reciproca conflittualità personale tra il predetto componente e il candidato istante. Non assume perciò rilevanza sufficiente, nella specie, l’iniziativa unilaterale del ricorrente consistente nella domanda di risarcimento del danno conseguente ad un giudizio professionale reso dal ricusato quale componente della commissione giudicatrice in altro precedente concorso (bandito nel 2008) e percepito come diffamatorio dal ricorrente, essendo stato peraltro escluso, in sede giurisdizionale, il carattere diffamatorio e spregiativo del giudizio espresso nella circostanza dal Prof. F. e dalla Commissione giudicatrice nel suo complesso. In caso contrario si avrebbe un meccanismo di distorsione del motivo "lite pendente", con una interpretazione della norma, nel senso del suo automatismo applicativo, tale da indurre il rischio di un uso strumentale della stessa.

2. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.

Nell’appello si richiama che il ricorrente con citazione davanti al giudice civile, ha chiesto la condanna di tutti i componenti della commissione di cui al bando di concorso del 2008 (inclusi i professori F. e Caputi) al risarcimento dei danni dovuti ad effetto del giudizio diffamatorio del ricorrente espresso nella procedura nel cui ambito ha operato la detta commissione e che, intervenuta la sentenza di primo grado, il ricorrente ha proposto appello avverso di essa.

Si deduce anzitutto che, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c., il giudice (e per analogia il commissario di concorso) ha l’obbligo di astenersi (potendo altresì essere ricusato ex art. 53 c.p.c), per il solo fatto della sussistenza di lite pendente con una delle parti (per analogia, con uno dei candidati), non avendo alcun rilievo la natura o i presupposti di fatto della controversia; è perciò la mera pendenza del giudizio che, di per sé, impone al commissario l’obbligo di astenersi e, correlativamente, al candidato di ricusarlo, senza alcuna possibilità di sindacato sul merito delle vicende alla base del contenzioso tra le parti. Nella specie il primo giudice avrebbe dovuto quindi limitarsi a verificare l’effettiva pendenza del giudizio civile instaurato dal ricorrente nei confronti del Prof. F., con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

3. Alla camera di consiglio del 29 luglio 2011 il Collegio, in sede di esame della domanda cautelare, riscontrati i presupposti per l’applicazione dell’art. 60 del codice del processo amministrativo, ha ritenuto di definire la controversia nel merito con sentenza in forma semplificata.

4. La censura dedotta in appello, sintetizzata nel precedente punto 2, è infatti manifestamente fondata.

Gli articoli 51, comma 1, n. 3, e 52 c.p.c. dispongono, rispettivamente, che "Il giudice ha l’obbligo di astenersi…3) se egli stesso…ha causa pendente…con una delle parti…" e che "Nei casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi, ciascuna parte può proporne la ricusazione..".

Da ciò si evince con chiarezza che la detta normativa (per pacifica giurisprudenza applicabile per analogia in ogni fattispecie di esercizio della funzione pubblica) individua come causa sufficiente, per l’astensione e la richiesta di ricusazione del giudice, il solo fatto oggettivo della pendenza di una lite fra il giudice stesso ed una delle parti, senza necessità di verifica di elementi ulteriori. Nella specie risulta che i provvedimenti impugnati in primo grado sono stati adottati in pendenza del termine per la proposizione dell’appello civile da parte del ricorrente, quindi proposto e deciso con sentenza n. 1829 del 2011, pronunciata (come risultante il biglietto di cancelleria in data 22 aprile 2011), nei confronti, tra altri convenuti, dei Professori F. e Caputi, emergendo con ciò, di conseguenza, la pendenza, all’atto dei detti provvedimenti, di una lite fra essi e il ricorrente.

Si configura così, nella specie, la sussistenza della circostanza oggettivamente sufficiente, ai sensi della normativa citata del c.p.c. con riguardo alla prevista fattispecie sulla ricusazione del componente della commissione giudicatrice soggetto di una lite pendente con il candidato.

5. Per quanto considerato l’appello è fondato e deve essere perciò accolto.

Sussistono motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello in epigrafe, n. 5160 del 2011 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso originario e annulla i provvedimenti impugnati.

Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio, ferma restando la statuizione sulle spese di cui all’ordinanza n. 5425 del 2010.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *