Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-07-2011) 28-07-2011, n. 30072 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Belluno dichiarò D.D.D., quale esecutore dei lavori, responsabile del reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. a), per avere realizzato opere difformi dal permesso di costruire, ed in particolare realizzato il fabbricato residenziale a schiera ad una distanza di circa cm 30 dal fabbricato esistente sul fondo finitimo, mentre il permesso di costruire prevedeva la costruzione in aderenza e lo strumento urbanistico prevedeva in alternativa la distanza di 10 metri, condannandolo alla pena dell’ammenda ritenuta di giustizia. Il giudice assolse invece i due proprietari C.C. e Ca.Ma. perchè gli stessi avevano comprato l’immobile il 2 febbraio 2006 e cioè quando il reato era già stato commesso. Osservò poi che non poteva ritenersi maturata la prescrizione perchè gli attuali proprietari, dopo l’acquisto, avevano fatto ancora eseguire opere interne ed esterne ed il reato edilizio permane sino alla ultimazione di tutte le opere.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) motivi attinenti all’elemento oggettivo del reato.

1.1) violazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 15, comma 2.

Osserva che si trattava in ipotesi di un abuso edilizio per sottrazione, ossia per mancata costruzione fino a raggiungere l’aderenza tra i fabbricati e non per aggiunta, sicchè il reato non poteva perfezionarsi prima della scadenza del termine per completare i lavori, ossia per chiudere lo spazio di 30 cm tra i due fabbricati.

Nè nella specie poteva ritenersi che l’opera fosse stata completata monca.

1.2) violazione del D.M. 16 gennaio 1996, punto C.4.2. Osserva che la normativa antisismica proibisce la costruzione con i muri dei fabbricati attaccati e impone che i muri siano discosti da quelli della fabbrica precedente.

1.3) mancanza di motivazione in ordine alla relazione di ATP redatta dal geom. D.B. nel processo civile, dalla quale appunto risulta che, essendo in zona sismica, i due muri non potevano essere costruiti a contatto, ma si doveva solo sigillare lo spazio intermurale.

2) motivi attinenti all’elemento soggettivo del reato.

2.1) violazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. a), e artt. 42 e 43 cod. pen.; mancanza di motivazione sullo elemento soggettivo del reato. Lamenta che il giudice ha ritenuto che quella dell’esecutore sia una sorta di responsabilità oggettiva, senza valutare se il suo comportamento fosse stato colposo. In realtà egli aveva eccepito che il mancato completamento delle opere era dovuto al conflitto insorto tra i due vicini e dalla conseguente espressa volontà dei due proprietari di non chiudere l’intercapedine. Tale volontà è stata accertata anche dal giudice. Egli quindi non poteva completare i lavori contro la volontà del committente.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Innanzitutto, invero, la sentenza impugnata è manifestamente illogica nella parte in cui ha assolto per non aver commesso il fatto i due proprietari dell’immobile affermando che essi lo avevano acquistato il 2 febbraio 2006 e che a quella data il reato era già stato commesso (già prima del 31 ottobre 2005, data della segnalazione del vicino) e poche righe prima ha invece affermano (per escludere la prescrizione nei confronti dell’attuale ricorrente) che il reato non si era ancora consumato nell’ottobre 2005 perchè i nuovi proprietari avevano fatto eseguire opere esterne ed interne, così determinando la permanenza del reato fino al 27.1.2007. E’ infatti evidente che se il reato si era già consumato per i proprietari si era anche consumato per l’appaltatore esecutore, mentre se permaneva per l’appaltatore a causa di altre opere fatte eseguire dei proprietari, permaneva anche nei confronti di costoro.

In ogni modo, la sentenza impugnata è mancante di motivazione innanzitutto sulla sussistenza dello elemento oggettivo del reato. La difesa aveva infatti eccepito – anche sulla base dell’accertamento tecnico preventivo eseguito nella causa civile tra i due confinanti – che, in forza delle norme regolamentari in materia antisismica ( D.M. 16 gennaio 1996, recante Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche, All. 1, punto C.4.2), due edifici strutturalmente autonomi non possono essere costruiti a contatto, ma deve essere lasciato tra gli stessi un giunto tecnico o intercapedine di dimensione variabile, che deve poi essere sigillato per evitare infiltrazioni. Pertanto, secondo la difesa, il permesso di costruire, nella parte in cui autorizzava la costruzione in aderenza, doveva essere interpretato sistematicamente ed in modo coerente con la normativa antisismica, nel senso che era autorizzata la costruzione fino alla distanza minima prevista dalle norme antisismiche con la realizzazione del giunto tecnico o intercapedine, e non certo che era imposta la costruzione a contatto (vietata dalle norme di regolamento) a pena, altrimenti, di realizzare una costruzione abusiva perchè difforme dal permesso. Di conseguenza, poichè il muro dell’edificio era stato costruito in aderenza, ma non a contatto, con quello confinante, erano stati pienamente rispettati sia il permesso di costruire sia le norme regolamentari. La difesa aveva anche prodotto l’ATP dal quale sarebbe risultato che era stato regolarmente realizzato il giunto tecnico e che si doveva soltanto procedere alla chiusura della intercapedine per completare l’opera. Quindi, non vi era stato nessun abuso per aggiunta ma solo il mancato completamento delle opere, che non era riconducibile alla responsabilità dell’appaltatore ma solo a quelle dei committenti che le avevano fermate, senza contare che le opere ben potevano essere completate fino al termine dei lavori.

Ora, tutte queste specifiche ed articolate eccezioni non sono state prese in considerazione dal giudice e su di esse la sentenza impugnata manca di una adeguata motivazione.

L’imputato aveva anche eccepito la mancanza dell’elemento soggettivo del reato deducendo, sulla base della documentazione relativa alla causa civile tra i due proprietari confinanti, che non poteva ravvisarsi alcun suo comportamento colposo nel mancato completamento dei lavori, avendo dovuto interromperli a causa della espressa, specifica e motivata volontà dei nuovi proprietari committenti di non concludere le opere fino alla risoluzione della controversia con il vicino. Egli quindi non poteva assumersi la responsabilità di sigillare l’intercapedine contro la espressa volontà dei proprietari committenti invadendo così, sua sponte, la proprietà del vicino col quale verteva la lite.

Anche su queste eccezioni la sentenza impugnata è priva di motivazione, così finendo per ritenere il ricorrente responsabile sulla base di una sorta di responsabilità oggettiva.

La sentenza impugnata deve quindi essere annullata per mancanza di motivazione con rinvio al tribunale di Belluno per nuovo giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Belluno per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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