Cass. pen., sez. IV 16-07-2007 (02-07-2007), n. 28158 Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti – Mancanza del titolo abilitativo – Riduzione dei costi di gestione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ordinanza in data 12 aprile 2005 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo respingeva la richiesta di misura interdittiva (sospensione dall’esercizio di pubblico servizio) presentata dal pubblico ministero nei confronti di C.P. per il delitto di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 53 bis.
Il pubblico ministero aveva addebitato al C. (capo Settore della discarica di (OMISSIS) dell’A.M.I.A.), in concorso con P. A. (direttore del Dipartimento Impianti), G.L. (coordinatore Gestione Discariche) e P.P. (direttore del Dipartimento Raccolte), il delitto anzidetto per avere gestito abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti.
In particolare, l’indagato, secondo l’impostazione accusatoria, aveva:
– organizzato reiterate operazioni di smaltimento (in particolare, stoccaggio mediante rete di drenaggio e raccolta in apposite vasche e silos; ricircolo nella discarica mediante rilancio sui rifiuti o mediante introduzione nel pozzo della vasca in esercizio; dispersione di liquami con contaminazione di sottosuolo e falde acquifere) del percolato prodotto in discarica, omettendo il conferimento del rifiuto nei siti autorizzati, all’esclusivo scopo di ridurre i costi di gestione della discarica di (OMISSIS) e di conseguire così i premi di produttività aziendale;
– abbandonato rifiuti solidi ingombranti (elettrodomestici) presso la discarica, sito non autorizzato e non idoneo alla ricezione (anche in tal caso allo scopo di ottenere i premi di produttività aziendale).
2. L’ordinanza veniva appellata dal pubblico ministero, ma il Tribunale della libertà la confermava.
3. La Corte di Cassazione, sezione 3^ penale, tuttavia, con sentenza in data 10 novembre 2005, annullava il provvedimento del Tribunale, ritenendo omessa la motivazione in relazione:
– alle difformità, qualitative o quantitative, esistenti tra le attività effettivamente eseguite e le attività autorizzate con provvedimento prefettizio del 20 maggio 2002;
– ai parametri utilizzati per determinare l’ingente quantità dei rifiuti solidi ingombranti;
– al dolo specifico integrante il reato, rappresentato dallo scopo di conseguire un ingiusto profitto (che non deve avere carattere necessariamente patrimoniale, potendo essere costituito da vantaggi di altra natura, quale "il rafforzamento … della posizione apicale nell’ambito della struttura dirigenziale dell’A.M.I.A., con conseguente vantaggio personale, immediato e futuro").
4. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale della libertà, quale giudice del rinvio, ribadiva il rigetto dell’appello del pubblico ministero.
4.1. Osservava che l’attività era regolata dalla citata autorizzazione prefettizia del 20 maggio 2002 che prevedeva il divieto di ricircolo in discarica del percolato (che avrebbe dovuto essere smaltito presso idoneo impianto di depurazione debitamente autorizzato), ma consentiva, in considerazione del fatto che il percolato prodotto nelle vasche della discarica era stato classificato come rifiuto speciale non pericoloso, la messa in riserva del medesimo "nei limiti indicati dall’ordinanza del vice Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque n. 348 del 10 maggio 2002 che autorizza lo stoccaggio del rifiuto liquido secondo le previsioni di progetto".
Orbene – rilevava il Tribunale – nella gestione del liquame si era fatto ricorso sia allo stoccaggio (mediante rete di drenaggio e raccolta in apposite vasche e in silos), in conformità con quanto previsto dall’autorizzazione anzidetta, sia al rilancio del percolato per irrorazione o iniezione.
La complessiva gestione del percolato aveva, dunque, implicato soltanto una parziale violazione dell’autorizzazione.
Trattandosi, pertanto, di mera violazione delle prescrizioni imposte dall’autorizzazione, ancorchè produttiva di danni ambientali da contaminazione, la condotta non era riconducibile al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis, ma al quarto comma dell’art. 51 del medesimo decreto che punisce, a titolo contravvenzionale, lo smaltimento illecito "nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni nonchè nelle ipotesi di inosservanza dei requisiti e delle condizioni richiesti dalle iscrizioni o comunicazioni". L’ambito applicativo dell’art. 53 bis – osservava il Tribunale – era stato indicato nella stessa sentenza di annullamento, secondo la quale nella nozione di condotta abusiva devono essere ricompresse le condotte clandestine e quelle aventi ad oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, nonchè "tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui si esplicano, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente autorità amministrativa".
Nel caso in esame non vi era stato, dunque, smaltimento abusivo perchè l’A.M.I.A. era stata autorizzata alla gestione del percolato secondo la procedura dello stoccaggio e della messa in riserva, con il solo divieto di ricircolo.
L’attività dell’imputato, pertanto, non era "totalmente difforme" o "non giuridicamente riconducibile al titolo abilitativo". 4.2. Rilevava, poi, il Tribunale, con riguardo all’abbandono dei rifiuti solidi ingombranti (frigoriferi), che la verifica dell’ingente quantità era, sulla base degli elementi forniti dal pubblico ministero, concretamente impossibile.
All’infuori di alcune fotografie scattate durante il sopralluogo e riproducenti qualche frigorifero, non erano stati forniti elementi utili a determinare la quantità degli elettrodomestici abbandonati.
4.3. Concludeva il Tribunale, con riferimento al dolo richiesto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 53 bis, rilevando che dagli atti non emergevano elementi idonei ad affermare che l’indagato avesse rafforzato o, quantomeno, agito per rafforzare la sua posizione apicale o per conseguire altro vantaggio non patrimoniale (il pubblico ministero contestava, in verità, il conseguimento di premi di produttività aziendale).
Sul punto la condotta dell’indagato si prestava ad una lettura ambivalente: o aveva agito per il perseguimento di un fine personale ovvero le condotte erano finalizzate ad "ovviare all’endemica insufficienza delle ordinarie modalità di smaltimento".
Lettura quest’ultima rafforzata dal contenuto delle conversazioni intercettate dalle quali era emerso come la sospensione dal servizio di raccolta differenziata ed il mancato rinnovo della convenzione fossero imputabili all’esaurimento delle risorse finanziarie.
5. Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, chiedendone l’annullamento.
Denuncia "errore di diritto e contraddittorietà della motivazione".
Il provvedimento impugnato recepirebbe pedissequamente quanto affermato dal giudice per le indagini preliminari e dallo stesso Tribunale della libertà nell’ordinanza annullata.
Non sarebbe dato comprendere inoltre su quali basi (attesa la sistematicità delle condotte degli indagati e "l’avvelenamento di uno dei pozzi limitrofi"), ancora una volta, il Tribunale, nonostante il contrario dictum della Suprema Corte, avesse potuto ritenere che ci si trovava al cospetto di una mera violazione delle prescrizioni autorizzative.
Senza contare – aggiunge il ricorrente – che i reati di cui agli artt. 51 e 53 bis possono concorrere.
Non condivisibile sarebbe, poi, la delineata distinzione tra illegittimo e abusivo smaltimento di rifiuti.
6. In data 10 febbraio 2007, il difensore dell’indagato ha depositato memoria difensiva con cui rimarca l’ineccepibilità della decisione impugnata sia nella descrizione dei fatti, sia nella loro qualificazione giuridica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
7. Deve anzi tutto premettersi che il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 è stato espressamente abrogato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 264, comma 1, lett. i), meglio conosciuto come Testo unico in materia ambientale.
Attualmente la materia dei rifiuti risulta regolata dalle norme contenute nella parte 4^ del Testo unico (artt. 177 ss.), le quali, peraltro, si pongono in linea di continuità con le disposizioni del citato D.Lgs. n. 22 del 1997. 8. Ciò premesso, il ricorso merita accoglimento.
E’ dato inequivocabile che l’attività di smaltimento del percolato non sia stata autorizzata.
E’, pertanto, da escludersi che ci si trovi in presenza della mera inosservanza di prescrizioni contenute in un’autorizzazione (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 4, ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256).
Come si è visto (v. supra. 4.1), l’autorizzazione concerneva esclusivamente la messa in riserva del percolato (ed anche in relazione ad essa era, comunque, necessario verificare se fossero stati in concreto osservati i limiti indicati dall’ordinanza del vice Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque n. 348 del 10 maggio 2002).
In altre parole, l’A.M.I.A. era tenuta a portare il percolato per lo smaltimento in altre discariche debitamente autorizzate (con inevitabile aumento dei costi di gestione).
Detta attività di smaltimento non autorizzata e dannosa per l’ambiente non integra, peraltro, semplicemente la contravvenzione di cui al citato art. 51, comma 1.
Essa presenta, invero, caratteristiche fattuali tali da imporne la riconduzione alla fattispecie delittuosa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis (ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260).
Quest’ultima disposizione punisce, invero, chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, gestisca abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate.
La mancanza del titolo abilitativo è certamente uno degli elementi essenziali della fattispecie delittuosa, la cui tipicità è caratterizzata da altri non meno significativi elementi.
Anzitutto, la condotta plurisussistente, a rammentare che non rileva a questo titolo l’isolata operazione di gestione; l’organizzazione dell’attività; l’ingente quantità dell’oggetto materiale della medesima, utile a ricordare che la norma incriminatrice è posta anche a tutela della pubblica incolumità; il dolo specifico rappresentato dal fine di conseguire un ingiusto profitto.
E non è dubbio che, seppur in termini indiziari, detti elementi sussistano nel caso in esame, almeno con riferimento al percolato e fermo restando che, in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico, è arduo contestare che non agisca a fini di profitto il soggetto in posizione apicale che commetta un reato che assicura un’immediata riduzione di costi all’ente.
Si aggiunga che la possibilità di riuscire a gestire i rifiuti in una situazione di "croniche inefficienze" costituisce titolo di merito per chi vi riesce agendo nella piena legalità e valutando le risorse disponibili.
In relazione all’ipotizzato abbandono di frigoriferi, sembra, invece, da escludere (ma sul punto è opportuno un adeguato approfondimento da parte del giudice di rinvio) che sia stata dimostrata, seppur per indizi, la sussistenza della quantità ingente di rifiuti.
Non sembra, in altre parole, sussistere, in relazione a detti rifiuti, gravi indizi del reato di cui all’art. 53 bis che – come si è detto – tra gli elementi costitutivi annovera l’ingente quantitativo di rifiuti abusivamente gestiti (cfr. Cass. 6^ 18 marzo 2004, p.m. in c. Ostuni).
9. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale della libertà di Palermo.
P.Q.M.
annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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