Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 28-07-2011, n. 30070 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Perugia in data 12 Gennaio 2010 il ricorrente fu condannato a seguito di rito abbreviato alla pena di tre anni e otto mesi di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, in ordine al reato continuato inizialmente contestato ai capi A ( art. 572 c.p.), B ( artt. 609-bis e 609-quinquies c.p.) e C ( artt. 582 e 585 c.p.) e commesso fino al (OMISSIS); fu, invece, assolto dal reato di ricettazione contestato al capo D. Si legge nella sentenza di primo grado che in data 31 marzo 2009 la Sig.ra R., che presentava visibili lesioni personali ed era accompagnata da due assistenti sociali, ha denunciato che da tempo il proprio convivente maltrattava lei ed i figli minori e compiva su di lei atti sessuali violenti; tali condotte, legate ad abuso di alcool, avevano assunto rilevanza dopo la nascita della prima figlia (di 4 anni d’età). Si legge, poi, che al termine degli atti compiuti sulla base della richiesta del rito abbreviato condizionato il Giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto provate le condotte violente e vessatorie ed ha condannato l’imputato alla pena sopra ricordata.

A seguito di rituale impugnazione, la Corte di Appello di Perugia con la sentenza impugnata ha in parte accolto il motivo di appello concernente il reato di violenza sessuale, nel senso di escludere la sussistenza della circostanza aggravate prevista dall’art. 609- quinquies.

Riportati puntualmente alle pagine 5 e 6 i motivi di appello proposti, la Corte territoriale ha, innanzitutto, valutato la credibilità della persona offesa, principale fonte di prova, evidenziando alle pagine 6 e 7 una serie di elementi che confermano la veridicità del racconto in ordine ai punti essenziali del legame con l’imputato e delle condotte da lui tenute; in tale contesto la motivazione affronta le censure mosse dall’appellante alla prima sentenza con riguardo alle contraddizioni e alle mancate conferme delle dichiarazioni accusatorie, nonchè alle incoerenze emergenti dagli oggetti reperiti presso l’abitazione.

Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, viene esclusa la sussistenza degli estremi di applicazione dell’art. 609-quinquies c.p., attesa l’età di pochi mesi del minore che avrebbe assistito ai rapporti sessuali.

Propone ricorso il Sig. E.Y. a messo del Difensore, Avv. Vania Molini, lamentando in sintesi:

1. Errata applicazione dell’art. 572 c.p., difettando nel caso di specie il requisito della ripetizione e abitualità delle condotte contestate;

2. errata applicazione dell’art. 609-bis c.p. e art. 533 c.p.p., difettando in atti la prova delle condotte contestate, prova desunta unicamente dal non verosimile racconto della persona offesa;

3. vizio di motivazione in relazione al giudizio di attendibilità della persona offesa, difettando qualsiasi riscontro alle dichiarazioni accusatorie e risultando, al contrario, elementi di fatto contrari, aggressioni fisiche dichiarate dalla vittima) e quali la stabile attività lavorativa del ricorrente; a tale proposito, contrasta con al versione accusatoria il contenuto delle dichiarazioni testimoniali rese da B.L. e dalle Sig.re M..

Motivi della decisione

La lettura dei motivi di ricorso proposti dal Sig. E.Y. consente in primo luogo di apprezzare il fatto che essi ripropongono per la gran parte il contenuto dei motivi di appello esaminati dalla Corte territoriale e, come sopra ricordato, oggetto di specifiche risposte.

1. Questo fatto impone alla Corte di rilevare in prima battuta la genericità e non ammissibilità per manifesta infondatezza dei primi due motivi di ricorso, che ripongono le censure in fatto e in tema di valutazione della prova avanzate in sede di appello senza prendere in esame le specifiche considerazioni contenute alle pagine 5 -7 della motivazione della sentenza impugnata; si tratta di considerazioni che affrontano il tema della saltuaria attività di lavoro svolta dal ricorrente e quello della compatibilita fra le lesioni riportate dalle persone offesa e le caratteristiche degli oggetti rinvenuti (manici di coltello e manici di scopa, dei quali uno in metallo e uno in legno mancante di una parte). Ed invero, una volta escluso che i motivi di ricorso possano mettere in crisi la ricostruzione dei fatti operata dai primi giudici, appare evidente l’assenza di qualsiasi errore dei giudici di appello circa la qualificazione giuridica sia del reato di maltrattamenti, ex art. 572 c.p., sia del reato di violenza sessuale, ex art.609-bis c.p.: la pluralità e offensività delle condotte poste in essere in danno della convivente e dei figli sono elementi posti correttamente a fondamento del reato di maltrattamenti in famiglia, così come è evidente che il racconto della persona offesa depone in modo palese per la sussistenza di condotte sessuali violente che integrano il reato previsto dall’art. 609-bis c.p..

2. Quanto al terzo motivo di ricorso, che esplicitamente lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), la Corte ritiene opportuno muovere da una premessa di ordine generale: il contenuto del motivo rende necessario fare applicazione dei principi interpretativi in tema di limiti del giudizio di legittimità e di definizione dei concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè in tema di travisamento del fatto che sono contenuti nelle sentenze delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale prospettiva di ordine generale va, dunque, seguita la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

In applicazione di tale principio, la Corte ritiene evidente che il ricorso non evidenzia in realtà un vizio di manifesta illogicità della motivazione, nè può dirsi, alla luce di quanto esposto in precedenza, che sussista una radicale carenza di motivazione in ordine alle questioni sottoposte al vaglio dei giudici di appello.

Ciò che il ricorso in verità prospetta a questa Corte è una rivisitazione del materiale probatorio e del suo significato, rivisitazione che esula dalla sfera di intervento del giudice di legittimità.

Tale rivisitazione non è nel caso in esame consentita, posto che la motivazione della sentenza impugnata affronta i temi introdotti con i motivi di appello, esamina gli argomenti posti a fondamento delle critiche mosse alla prima decisione e compie una valutazione del materiale probatorio (con particolare riguardo alla credibilità delle dichiarazioni accusatorie, alle lesioni riportate dalla vittime e alle risultanze obiettive della perquisizione domiciliare, partitamente esaminate) che non presenta contraddittorietà interna nè manifesta illogicità.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di 1.000,00 Euro in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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