Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 28-07-2011, n. 30069

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa a seguito di rito abbreviato, il Tribunale di La Spezia in data 30 aprile 2009 ha condannato il Sig. P., esclusa la recidiva contestata, alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 4.000,00 Euro di multa in ordine al reato previsto dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 (fatto commesso il (OMISSIS)); la sentenza ha, altresì, sostituito la misura della custodia domiciliare con quella dell’obbligo di presentazione.

Avverso tale decisione il Sig. P. ha proposto appello censurando sia il giudizio di responsabilità penale, che avrebbe omesso impropriamente di riconoscere la destinazione ad uso personale dei 3 grammi "lordi" di cocaina rinvenuti sulla sua persona suddivisi in 15 dosi, sia la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello ha respinto entrambe le censure.

Per quanto concerne la responsabilità penale, la Corte rileva che il reddito lavorativo appare poco compatibile con l’acquisto di quindici dosi di cocaina e che l’atteggiamento tenuto dall’imputato al momento del controllo nonchè le modalità di detenzione e confezionamento appaiono indicativi della finalità di cessione, circostanza che trova conferma indiretta nella circostanza che egli non ha inteso indicare il proprio domicilio.

Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte ha ritenuto che il numero e la rilevanza dei precedenti penali prevalgano sia sulla frequentazione del Sert sia sulla presenza di attività lavorativa.

Il Sig. P. ha proposto ricorso lamentando l’errata applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1-bis, lett. a) per avere la Corte omesso di considerare la compatibilità tra il quantitativo di sostanza, invero modestissimo nel principio attivo, e la destinazione ad uso personale; inoltre, la Corte avrebbe fatto cattivo uso dei principi che regolano la prova, attribuendo valore rilevante a circostanze che costituiscono labili indizi e non possono giustificare la condanna inflitta.

Motivi della decisione

Va premesso che la motivazione della sentenza deve essere da questa Corte corretta ove al punto 1 di pag. 1 indica per mero errore materiale la sostanza quale "eroina", mentre è pacifico che, come da capo di imputazione, si è in presenza di cocaina.

Venendo alle censure mosse dal ricorrente, la Corte ritiene che si sia in presenza di motivi che esulano dalle attribuzioni del giudice di legittimità. In effetti, il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.

Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lett. e) dell’art. 606 c.p.p. apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b) dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte:

Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

La Corte ritiene che l’applicazione di tali principi ala caso in esame renda evidente come il ricorrente formalmente lamenti l’errata applicazione della legge sostanziale, ma prospetti in realtà la errata valutazione dei fatti e, dunque, solleciti questo giudice a sostituire la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito.

Inoltre, le censure del ricorrente non evidenziano un radicale vizio logico della motivazione, tale da essere riconducibile al disposto dell’art. 606 c.p.p., lett. e).

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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