Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-07-2011) 28-07-2011, n. 30209 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.F. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza 21 marzo 2011 del Tribunale di Palermo, sezione riesame (che ha confermato l’ordinanza del GIP del Tribunale di Palermo, del 22.02.2011, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di Impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p. in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2, 3 e 4.

Il ricorso sostiene che l’ordinanza sia sostanzialmente priva di motivazione in quanto si limita solamente ad enunciare alcuni accadimenti, messi in atto dall’indagato, in un limitatissimo arco temporale, i quali peraltro non farebbero trapelare nessuno degli elementi significativi individuati in maniera concorde dalla giurisprudenza affinchè possa parlarsi, in tema di stupefacenti, di un accordo associativo.

In particolare si lamenta l’insussistenza del vincolo stabile e duraturo fra gli associati con carattere di permanenza, diretto a perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti programmati e sorretto da un’organizzazione idonea alla realizzazione della comune attività criminosa, allo scopo di realizzare un programma criminoso protratto nei tempo, con la predisposizione dei mezzi a tal fine occorrenti e con ripartizione di compiti tra gli associati.

Con un secondo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p. in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2 , 3 e 4.

L’illogicità della motivazione conseguirebbe anche ad errati presupposti.

Molte delle affermazioni argomentate dal Tribunale vengono totalmente smentite dalla dichiarazioni rese dal L.C. in sede di interrogatorio di garanzia, come ad esempio la consapevolezza in capo al D. del motivo del viaggio in (OMISSIS) (laddove quest’ultimo esclude categoricamente che il D. fosse a conoscenza, almeno in un primo momento, di quanto aveva intenzione di chiedere al L.).

Anche la circostanza indicata dal Tribunale nel provvedimento e relativa al successivo trasporto dello stupefacente (neonata) è stata equivocata, ne senso che emerge che il D. era interessato solamente ad un piccolo quantitativo della stessa.

Con un terzo motivo si prospetta per il capo sub C) violazione dell’art. 273 in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 come modificato dalla L. n. 49 del 2006.

In definitiva la condotta dei tre indagati assumerebbe un significato particolarmente rilevante e fa capire come il loro comportamento sia assolutamente incompatibile con un’associazione in cui i membri devono fare gli interessi comuni e non i propri a discapito degli altri associati.

I primi tre motivi per come strutturati e sviluppati non superano la soglia dell’ammissibilità.

Va subito premesso che per consolidata giurisprudenza in materia di misure cautelari personali, la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientrano tra i compiti istituzionali del giudice di merito e sfuggono al controllo del giudice di legittimità, se, come nella specie, adeguatamente motivate e immuni da errori logico-giuridici.

Invero a tali scelte e valutazioni non può infatti opporsi, laddove esse risultino correttamente argomentate, un diverso criterio o una diversa interpretazione, anche se dotati di pari dignità (Cass. Penale sez. 6, 3000/1992, Rv. 192231 Sciortino). Inoltre va ribadito che il ricorso per cassazione, il quale deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, pertanto, assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando – come nella vicenda- propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass. pen. sez. 5, 46124/2008, Rv.241997, Magliaro). Nella fattispecie, nessuna di tali due evenienze – violazione di legge o vizio di motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e) – risulta essersi verificata, a fronte di una motivazione che è stata in concreto diffusamente prospettata in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.

Con un quarto motivo si evidenzia violazione dell’art. 273 c.p.p. in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80.

Sostiene il ricorrente che l’assoluta insufficienza dei contenuti delle intercettazioni a tracciare dettagliatamente i parametri richiesti dalla norma per l’applicazione dell’aggravante in questione, avrebbe dovuto quantomeno condurre il Tribunale a ritenere non raggiunta la soglia di gravita indiziaria circa la sussistenza dell’aggravante ex art. 80, comma 11.

Le doglianze proposte – come già detto – non superano la soglia dell’ammissibilità, considerato che la gravita degli indizi richiesti in questa fase è ampiamente argomentata dai giudici cautelari senza illogicità od incongruenze apprezzabili.

Infine, e per ciò che attiene alla valutazione del tenore delle conversazioni, va in proposito osservato:

a) che l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae alla valutazione del sindacato di legittimità se tal valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (cfr. ex plurimis: Cass. Pen. sez. 6, Cass. Penale sez. sez. 2, sentenza 41044, 13 ottobre – 11 novembre 2005, Rv. 232697; Cass. pen., sez. 5, 3 dicembre 1997, RV 209566; conforme: Cass. pen., sez. 6, 12 dicembre 1995, RV 205661);

b) che è possibile prospettare in sede di legittimità un’interpretazione del significato di una intercettazione, diversa da quella proposta dal giudice di merito, soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 2,38915/2007, Rv. 237994, Donno Massime precedenti Vedi: N. 3643 del 1997 Rv.

209620, N. 35680 del 2005 Rv. 232576, N. 117 del 2006 Rv. 232626).

E poichè ad avviso di questo Collegio non sono ravvisabili travisamenti della prova oppure profili di contraddittorietà o di incongruità logica del provvedimento impugnato sul punto, ne consegue la palese infondatezza della doglianza difensiva.

Il ricorso è dunque, inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p. il ricorrente va condannato, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, a versare una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Inoltre, non conseguendo dalla decisione la rimessione in libertà del ricorrente, va disposta, ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter la trasmissione di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato è ristretto, per gli adempimenti di rito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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