Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-07-2011) 28-07-2011, n. 30204

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.G., ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 19 maggio 2010 della Corte di appello di Palermo che ha confermato la sentenza 23 giugno 2009 del Tribunale monocratico di Palermo, di condanna per il delitto ex art. 336 cod. pen., deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione in relazione agli artt. 99, 157 e 161 c.p..

Rileva il ricorso che alla prima udienza del 10 ottobre 2006 il difensore aveva dedotto la maturazione della prescrizione per essere decorso il termine di anni cinque prima della emissione del decreto che dispone il giudizio.

Dopo tale richiesta il P.M. ha contestato all’imputato presente la recidiva specifica, con derivato spostamento del dies ad quem in funzione della L. n. 251 del 2005.

La tesi difensiva è che il giudice doveva subito pronunciarsi con sentenza di proscioglimento senza considerare l’intempestiva contestazione della recidiva.

Il motivo è palesemente inammissibile.

Invero, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la circostanza aggravante è valutabile anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato non aggravato, purchè la contestazione abbia preceduto la pronuncia della sentenza (Cass. pen. sez. 2, 33871/2010 Rv.

248131).

Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 336 c.p. considerato che la condotta dell’imputato era una semplice manifestazione di insofferenza per quanto stava accadendo senza la soggettività tipica e richiesta dalla norma applicata, trattandosi di una stupida ribellione all’operato degli agenti.

Con un terzo motivo si prospetta ancora violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 62 bis, 69, 99, 132 e 133 c.p., artt. 125, 192 e 546 c.p.p., considerato che i precedenti indicati dal giudice come numerosi, erano soltanto tre.

Con motivi "nuovi" e "aggiunti" depositati il 15 giugno 2011, il ricorrente insiste per la derubricazione della condotta ritenuta nella minore ipotesi dell’art. 612 cod. pen..

Il secondo ed il terzo motivo non superano la soglia dell’ammissibilità.

Si tratta infatti di una sequela di critiche alla decisione della Corte d’appello, le quali tentano di screditare le considerazioni e le valutazioni probatorie, formulate dai giudici di merito, le quali risultano peraltro condotte ed ottenute, non solo nel rigoroso rispetto delle regole, stabilite in punto di formazione e peso del materiale probatorio d’accusa, ma soprattutto con una globale e complessiva disamina di tutti i singoli apporti probatori che sono stati tra loro correlati, con un conseguente esito di incensurabile sinergia, in punto di affermazione di colpevolezza, con un’esatta ed indiscutibile qualificazione del fatto-reato.

La giustificazione offerta dalla corte distrettuale risulta infatti sui punti lamentati priva di incoerenze o salti logici, "apprezzabili ed idonei ad invalidare il costrutto delle argomentazioni di responsabilità", tali non potendosi considerare le diverse conclusioni e considerazioni più volte prospettate nel ricorso le quali finiscono con delineare una diversa e più favorevole interpretazione dei dati probatori, notoriamente non praticabile in sede di legittimità e tanto meno con esiti di annullamento della pronuncia gravata.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con la conseguenza che la pronunciata inammissibilità preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio l’estinzione del reato per prescrizione (Cass. pen. sez. 3, 42839/2009 Rv. 244999).

A detta pronuncia consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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