Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-06-2011) 28-07-2011, n. 30188 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La PC, C.G., ricorre, tramite il difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe, con la quale è stata confermata la pronunzia di primo grado, con la quale M.G. fu assolto, per carenza dell’elemento psicologico (il fatto non costituisce reato), dal delitto di cui agli artt. 81, 489 e 640 c.p..

Al M. è addebitato di aver venduto – per la somma di L. 45 mln. al C. la cavalla (OMISSIS), accompagnata da un "passaporto" falsificato, nel quale il quadrupede figurava di età inferiore a quella reale.

Con il ricorso, si deduce contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla ritenuta buona fede del M., atteso che i giudici di merito hanno creduto possibile che costui abbia comprato la cavalla dalla figlia e che costei, a sua volta, la avesse acquistata da tale A.R.. La incompleta ricostruzione dei fatti antecedenti la vendita da M. a C. ha determinato la non corretta comprensione dell’accaduto.

La figlia dell’imputato ha addirittura affermato di non ricordare il prezzo per il quale avrebbe venduto al padre l’animale, per poi giungere a dichiarare di averla venduta a un prezzo in pratica, pari a quello di acquisto. La sentenza di appello si limita a rilevare che il primo giudice ha valorizzato la buona fede del M., il quale aveva immediatamente restituito la somma già ricevuta a titolo di acconto e aveva offerto la restituzione del saldo, portato da assegni non messi all’incasso. Per la Corte territoriale, poi, ulteriore segno di buona fede dell’imputato sarebbe il fatto che egli ha agito senza intermediari e chiedendo un prezzo congruo rispetto alla apparente età della cavalla e non un prezzo più basso, per allettare il compratore. In realtà i giudici del merito avrebbero dovuto chiarire da chi M. avesse acquistato (OMISSIS) e a quale prezzo. In mancanza di ciò, si apre il campo a mere congetture, che infatti, sono alla base della decisione ricorsa. La stessa congruità del prezzo, a ben vedere, lungi dall’essere sintomo della buona fede dell’imputato, costituisce un elemento dell’inganno, in quanto un prezzo più basso avrebbe messo in allarme il C..

Il ricorrente deduce poi inosservanza dell’art. 185 c.p., artt. 2043, 1173, 1175, 1176 e 1218 c.c., atteso che l’obbligo risarcitorio e restitutorio incombente sul M. va interpretato secondo le regole della correttezza. La Corte veneziana ha invero individuato il criterio della buona fede secondo canoni non civilistici, dimenticando che, in assenza della impugnazione del PM e in presenza della sola impugnazione della PC, il M., in appello, non rivestiva più la qualità di imputato, ma solo quella di civilmente obbligato. Conseguentemente il concetto di "buona fede" applicabile è quello civilistico. Dunque sul M. grava l’obbligo di fornire la prova che l’inadempimento non è a lui imputabile, mentre emerge che il predetto non ha esercitato alcuna azione di regresso nei confronti del suo dante causa; e ciò non può che essere valutato in danno del M.. La Corte di appello non si è attenuta ai canoni processualcivilistici, che sono gli unici da osservare quando si controverte della sola responsabilità civile dell’imputato, colme dimostrato anche dal dettato dell’art. 622 c.p.p., comma 1, che prevede, in caso di accoglimento del ricorso della PC, il rinvio al giudice civile.

Il ricorrente deduce infine ancora violazione dell’art. 185 c.p., artt. 2043 e 1173 c.c., per la mancata restituzione degli assegni da lui sottoscritti e depositati dal M. in udienza, restituzione richiesta al giudice di primo grado. I giudici del merito, pur esplicitamente invitati, non si sono pronunziati sul punto.

Motivi della decisione

La prima censura è inammissibile perchè articolata in fatto e tendente a una diversa valutazione delle evidenze processuali a fronte di motivazione non illogica. Invero, ferma restando la materialità del fatto ((OMISSIS) aveva un’età superiore rispetto a quella evidenziata dal "passaporto", che, dunque, è da qualificarsi indubbiamente falso), entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che il M. avesse agito in buona fede, vale a dire nella inconsapevolezza della falsità del documento, e che quindi lo stesso non avesse avuto intenzione di truffare il C.. Tale convinzione i giudicanti hanno tratto dalla condotta tenuta post factum dall’imputato (immediata restituzione dell’acconto, mancato incasso degli assegni consegnati dall’acquirente) e dalle stesse modalità con le quali la vendita si svolse (congruità del prezzo).

Sulla base di tale ricostruzione dei fatti – che non è l’unica possibile, ma che, in sè, non presenta caratteri di illogicità – la Corte di appello ha ritenuto, da un lato, la superfluità degli ulteriori accertamenti istruttori richiesti dalla PC, dall’altro, la mancanza di dolo nell’imputato. Di talchè, a fronte di una duplice, non illogica, motivazione da parte dei giudici di primo e secondo grado, la PC non può tentare di ottenere, in sede di legittimità, ciò che non è riuscita a ottenere nelle fasi di merito (una diversa ricostruzione del fatto). La seconda censura è infondata.

La impugnazione della (sola) PC legittima il giudice di appello a decidere unicamente sulle pretese risarcitorie e restitutorie della predetta, ma sempre sulla base dell’accertamento – incidenter tantum – della colpevolezza dell’imputato, in riferimento a una o più ipotesi di reato. La mancata impugnazione da parte del PM comporta l’abbandono della pretesa punitiva; ciò non toglie che la PC, con la sua impugnazione, poichè richiede l’adempimento di un’obbligazione ex delicto, investa necessariamente il giudice di grado superiore dell’accertamento, sia pure, come si è detto, in via incidentale, della commissione di un reato e della sua riferibilità all’imputato.

E, nel fare ciò, il giudice della impugnazione non potrà che utilizzare strumenti e modalità valutative del processo penale.

Conseguentemente, la affermazione della "buona fede" dell’imputato, cui è addebitata una condotta riferibile allo schema di un delitto doloso, non può che significare mancanza di dolo.

Altra cosa, evidentemente, è la buona fede che deve informare i rapporti civilistici e dunque, senza dubbio, anche quelli tra creditore e debitore; ma è fin troppo ovvio, che, perchè tali rapporti sussistano, è necessario che sussista l’obbligazione e che l’obbligazione ex delicto non sussiste, se, anche per mancanza dell’elemento psicologico, l’imputato non può essere chiamato a rispondere, in sede penale, del suo operato, col quale ha pure cagionato (involontariamente) un pregiudizio ad altri. Tanto premesso, dovendo il ricorso essere rigettato (con spese del grado a carico della ricorrente PC), la restituzione dei titoli deve essere chiesta tramite la instaurazione di separato procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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