T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 09-08-2011, n. 1562 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso (r.g. n. 123/2006) notificato il 28 dicembre 2005 e depositato il 17 gennaio 2006 i ricorrenti, proprietari a vario titolo delle distinte porzioni dell’immobile sito in Palermo, Via G.L. Bernini n. 56/58, hanno impugnato – chiedendone l’annullamento, vinte le spese – il diniego di concessione edilizia in sanatoria già richiesto dalla loro dante causa S. s.p.a. e, per essa, dal suo legale rappresentante in data 03.04.1987 (prot. n. 4069 di pari data).

Il ricorso si sviluppa in un unico, complesso ed articolato motivo di censura con cui si deducono i vizi di violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, in relazione all’art. 4, comma 6, della l. n. 10 del 1977, carenza di istruttoria, difetto di motivazione ed erroneità dei presupposti.

2. Avverso il medesimo provvedimento ha proposto ricorso (r.g. n. 141/2006), notificato il 5 gennaio 2006 e depositato il 19 gennaio seguente, la S. s.p.a., la quale dopo la vendita delle unità immobiliari di che trattasi è stata prima sottoposta a sequestro ai sensi della l. n. 575 del 1965 (decreto Trib. Palermo, sez. misure prev., datato 1 aprile 1993) e poi confiscata con successivo decreto del 27.7.1995, divenuto definitivo in data 27.06.2007.

3. Tale ultimo ricorso si articola, anch’esso, in un unico motivo di doglianza con cui viene revocata in dubbio la legittimità dell’impugnato diniego in ragione dell’asserita ininfluenza della sopravvenuta condanna penale del S.G., Amministratore unico della Società al momento della proposizione dell’istanza di condono, e ciò alla luce, da una parte, della (altrettanto asserita) formazione del silenzioassenso sull’originaria istanza, e, dall’altra, poiché l’abuso non sarebbe riferibile alla persona del sig. S. (poi condannato in sede penale) quanto alla persona giuridica S. s.p.a.

Concludono le parti ricorrenti che, in ogni caso, l’istanza di concessione in sanatoria andrebbe valutata avuto riguardo agli effettivi destinatari del medesimo titolo abilitativo, individuati negli acquirenti dell’immobile di che trattasi, del tutto estranei alle vicende personali dell’ex amministratore unico della Società dante causa, oggi confiscata.

4. Le parti intimate con entrambi i ricorsi non si sono costituite in giudizio.

5. Con memorie depositate in prossimità dell’udienza di merito, le parti hanno insistito nelle relative prospettazioni.

In particolare, la difesa degli acquirenti dell’immobile ha depositato specifico documento (cfr. produzione del giorno 1 giugno 2011) da cui si evince che l’Amministratore giudiziario avrebbe proceduto alla riattivazione del procedimento di sanatoria secondo il disposto di cui all’art. 39, comma 1bis della l. n. 724 del 1994.

6. All’udienza pubblica del 12 luglio 2011 i ricorsi, su richiesta delle parti, sono stati trattenuti in decisione.

7. Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 70 cod. proc. amm., la riunione dei due ricorsi in epigrafe, vertenti sulla medesima pretesa sostanziale, stante la loro connessione oggettiva e la parziale connessione soggettiva.

8. Per una migliore intelligenza delle questioni sottoposte alla cognizione del Collegio giova ricostruire succintamente la complessa vicenda su cui si è innestata la presente controversia.

9. I signori S.S., P.M., M.G., M.P., D.G.O., G.G.M., A.E., A.G. negli anni compresi tra il 1988 ed il 1991 hanno acquistato dalla Società S. s.p.a. distinte unità immobiliari rispetto alle quali nei singoli contratti di compravendita, rogati da distinti notai è stato dato atto dell’avvenuta presentazione di istanza di sanatoria edilizia di cui alla l. n. 47 del 1985 di opere realizzate in difformità alla concessione edilizia n. 124 del 18 febbraio 1983.

La domanda di sanatoria era stata presentata dal S.G. nella qualità, all’epoca rivestita, di amministratore unico della S. s.p.a. A carico di tale soggetto, a seguito degli accertamenti effettuati dal Comune di Palermo prima della definizione del procedimento di sanatoria – poi conclusosi con il provvedimento impugnato – è risultata una condanna per il reato di cui all’art. 416bis c.p. nonché un procedimento pendente per il reato di cui all’art. 648 c.p.

Nel 1997 la S. s.p.a è stata sottoposta a sequestro giudiziario ex l. n. 575 del 1965 e successivamente confiscata con decreto del 27 luglio 1995, divenuto definitivo nel 2007 (27 giugno 2007).

Orbene, alla luce delle risultanze penali a carico del S.G., il Comune di Palermo, nel 2005, ha opposto il diniego al rilascio della concessione in applicazione dell’art. 39 della l. n. 724 del 1994 fondandolo sulla dichiarata impossibilità di rilasciare il richiesto titolo abilitativo in sanatoria.

10. Così delineato l’ambito fattuale della controversia, ritiene il Collegio di dover preliminarmente scrutinare i motivi di doglianza contenuti nel ricorso proposto dalla S. s.p.a., soggetto giuridico che ha proposto l’originaria istanza di sanatoria, per poi giungere all’esame delle questioni poste dagli aventi causa.

Anche questi ultimi hanno sottolineato i diversi profili di illegittimità che – secondo la relativa prospettazione – involgerebbero il medesimo diniego di sanatoria per cui è causa.

11. Con una prima censura la S. s.p.a. deduce l’illegittimità del diniego poiché sull’istanza di condono presentata il 3 aprile 1987 si sarebbe formato il silenzioassenso ai sensi dell’art. 35, comma 16, della l. n. 47 del 1985, ciò che avrebbe dato luogo ad un provvedimento implicito di accoglimento al trascorrere dei 24 mesi di cui alla surrichiamata disposizione di legge, ossia alla data del 3 aprile 1989.

Ne deriverebbe l’inapplicabilità dell’art. 2, comma 37 della l. n. 662 del 1996, di modifica dell’art. 39 della l. n. 724 del 1994, disposizione, questa, successiva alla dedotta formazione implicita del provvedimento concessorio.

Il Collegio non intende discostarsi, sul punto, dall’interpretazione del Giudice d’appello secondo cui il silenzioassenso di cui all’art. 35 della legge n. 47 del 1985 sulle domande di sanatoria degli abusi edilizi richiede per la sua formazione, quale presupposto essenziale, oltre al completo pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che siano stati integralmente assolti dall’interessato gli oneri di documentazione (che si risolvono evidentemente nella sussistenza del requisito sostanziale), relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all’ubicazione, alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell’Amministrazione comunale, differenziandosi il tacito accoglimento della domanda di condono dalla decisione esplicita solo per l’aspetto formale (C.g.a., sez. giur., 28 aprile 2011, n. 320; Cons. St., IV, 3 giugno 2010, n. 4174).

Così definito il perimetro dei presupposti per il formarsi del silenzioassenso in relazione alle istanze di condono presentate ai sensi della richiamata l. n. 47 del 1985, va rilevato, quanto al caso di specie, che l’esistenza del parere parzialmente contrario della Commissione per il recupero edilizio del 31.03.1993, nonché la mancata definitività della liquidazione degli oneri (la cui rideterminazione costituiva condizione del parere della medesima Commissione) impedivano comunque la formazione di siffatto provvedimento abilitativo implicito.

La doglianza va pertanto rigettata.

12. Con una seconda censura la S. s.p.a. in liquidazione deduce che gli abusi edilizi oggetto del diniego di concessione non risultano imputabili al S., in ragione della cui condanna opera l’art. 39 comma 1 della l. n. 724 del 1994, ai sensi del quale "(…) Il procedimento di sanatoria degli abusi edilizi posti in essere dalla persona imputata di uno dei delitti di cui agli articoli 416bis, 648bis e 648ter del codice penale, o da terzi per suo conto, è sospeso fino alla sentenza definitiva di non luogo a procedere o di proscioglimento o di assoluzione. Non può essere conseguita la concessione in sanatoria degli abusi edilizi se interviene sentenza definitiva di condanna per i delitti sopra indicati (…)".

Sostiene la parte ricorrente che la stessa S. s.p.a., oggi rappresentata dall’Amministratore Giudiziario, costituiva un soggetto di diritto, attualmente confiscato, avente una propria ed autonoma personalità giuridica, del quale il S. rivestiva la carica di amministratore unico.

Aggiunge, ancora, che gli immobili sono stati trasferiti a terzi anteriormente all’emanazione del divieto di cui all’art. 2, comma 37 della l. n. 662 del 1996 e che, tuttavia, la S. s.p.a. conserverebbe oggi l’interesse alla caducazione dell’impugnato provvedimento per le evidenti conseguenze risarcitorie che in caso contrario a suo carico ne deriverebbero.

Ad analoghe conclusioni, attraverso una prospettazione compiutamente argomentata, giunge la difesa degli aventi causa, odierni proprietari dell’immobile di che trattasi.

Ed infatti le considerazioni dalla stessa difesa espresse nell’unico motivo di gravame – la cui trattazione è qui anticipata per evidenti ragioni di logicità ed economia processuale – si sostanziano nelle seguenti affermazioni:

a) né al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria né al momento della comunicazione del diniego il sig. S. rientrava nel novero dei soggetti di cui all’art. 39 della l. n. 724 del 1994 ai quali è interdetto il conseguimento della concessione edilizia in sanatoria di immobili (o parti di essi) abusivi;

b) la mancata voltura della pratica di sanatoria in favore degli aventi causa che hanno presentato una loro istanza non può incidere sul diritto di proprietà, per cui gli unici soggetti che rilevano sono i medesimi acquirenti e non il dante causa ormai condannato;

c) essendo stati tutti i beni del S. sequestrati, anche se intestati o trasferiti ad altri soggetti, gli stessi risultano estranei a qualsiasi coinvolgimento in misure di prevenzione, tant’è che l’Amministratore giudiziario ha anche riattivato il procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 14 comma 1bis della l. n. 724 del 1994.

Le doglianze esposte da entrambe le parti ricorrenti sono fondate.

La questione di diritto da sciogliere è quella concernente la possibilità o meno da parte dell’Autorità comunale, di rilasciare la concessione edilizia in sanatoria in un’ipotesi peculiare, quale quella di specie, caratterizzata dai seguenti elementi:

a) al momento della presentazione dell’istanza il soggetto rappresentante della persona giuridica richiedente non era – secondo quanto esposto – condannato né presentava procedimenti pendenti a proprio carico per i reati di cui al medesimo art. 39 della l. n. 724 del 1994;

b) detto amministratore unico della società è stato – successivamente alla vendita degli immobili – condannato per reati che ostano al rilascio della concessione edilizia ai sensi del medesimo art. 39, disposizione, questa, sopravvenuta alla compravendita de qua;

c) al momento della definizione del procedimento – a distanza di diversi anni – i beni risultano venduti a soggetti terzi, persone fisiche – secondo quanto prospettato – del tutto immuni da situazioni ostative al rilascio della concessione, e detta persona giuridica risulta essere stata confiscata, come più volte ricordato, ai sensi della l. n. 575 del 1965 e gestita da un amministratore giudiziario.

I dati fattuali che qui vengono in rilevo consistono nel mancato travolgimento degli atti di compravendita dalle vicende che poi hanno condotto alla confisca della S. s.p.a. e nella circostanza che, al momento della definizione del procedimento di sanatoria, nessuna influenza diretta od indiretta – secondo ciò che è incontestato – il S.G. aveva, ormai, sia sulla S. s.p.a. sia in relazione alle utilità ritraibili dal procedimento edilizio in argomento.

Sotto l’aspetto ordinamentale, il comma 1 dell’art. 39 della l. n. 724 del 1994 (nel testo risultante dall’art. 2, comma 37, della l. 662/1966) stabilisce che "Il procedimento di sanatoria degli abusi edilizi posti in essere dalla persona imputata di uno dei delitti di cui agli articoli 416bis, 648bis e 648ter del codice penale, o da terzi per suo conto, è sospeso fino alla sentenza definitiva di non luogo a procedere o di proscioglimento o di assoluzione. Non può essere conseguita la concessione in sanatoria degli abusi edilizi se interviene sentenza definitiva di condanna per i delitti sopra indicati".

Il seguente comma 1bis stabilisce che "Qualora l’amministratore di beni immobili oggetto di sequestro o di confisca ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, sia autorizzato dal giudice competente ad alienare taluno di detti beni, il medesimo giudice, sentito il pubblico ministero, può altresì autorizzarlo a riattivare il procedimento di sanatoria sospeso ai sensi del quinto periodo del comma 1. In tal caso non opera nei confronti dell’amministratore o del terzo acquirente il divieto di concessione in sanatoria di cui al sesto periodo del medesimo comma".

Il senso della norma che se ne astrae è quello che vede, al comma 1, la coincidenza tra soggetto che ha commesso l’abuso e che richiede la concessione edilizia in sanatoria e quello che la consegue, con un divieto che il comma 1bis estende al terzo acquirente.

La disposizione mostra evidenti finalità antielusive per evitare che una volta conosciuta l’esistenza del procedimento penale ovvero la condanna a suo carico, il proprietario dismetta il bene proprio al fine di ottenere il rilascio della concessione in sanatoria attraverso l’interposizione di altro soggetto e dunque con lo scopo di non incorrere nel divieto di legge.

Diverse considerazioni vanno svolte in relazione alle ipotesi di amministrazione giudiziaria e confisca del soggetto giuridico già titolare del diritto di proprietà del bene.

Allorché il soggetto richiedente abbia subito le vicende ablative di cui alla l. n. 575 del 1965, già perfezionatesi al momento della definizione del procedimento edilizio, la circostanza che lo stesso sia stato destinatario di una condanna ex art. 1 comma 1 l. n. 724 del 1994 (o di altra causa ostativa ivi prevista) non rileva quale elemento di preclusione al rilascio del titolo edificatorio in favore dei nuovi proprietari poiché nessun vantaggio di alcun genere l’originario istante potrebbe trarne.

Detta ininfluenza è inalterata sia che il bene si trovi ancora nel patrimonio del soggetto giuridico confiscato sia che (a maggior ragione) sia stato anteriormente dismesso.

Tale è la logica che sottende la previsione del surrichiamato comma 1bis che consente all’amministratore giudiziario di riattivare – a seguito della prevista sospensione – il procedimento di condono il quale è indifferente alla situazione soggettiva del soggetto colpito dalla misura penale e patrimoniale,e ciò nell’ipotesi in cui l’amministratore giudiziario abbia deciso di dismettere il bene su cui è stato realizzato l’abuso (ed alla cui vendita è preordinata l’autorizzazione del giudice ivi stabilita).

Ciò detto, quando il bene sia fuoriuscito anteriormente all’avvio del procedimento penale ed il procedimento di condono sia stato definito in un momento ricadente nel periodo di amministrazione giudiziaria post confisca valgono le medesime considerazioni.

Anche qui si crea uno iato tra la posizione di chi ha originariamente chiesto il rilascio della concessione, il cui patrimonio (anche giuridico) costituisce oggi bene dello Stato, e quella degli aventi causa divenuti titolari del diritto di proprietà anteriormente alla condanna (e nella specie, anteriormente anche all’entrata in vigore della legge che pone il divieto).

Sono costoro, per effetto della nuova situazione giuridica venutasi a creare, i fruitori del beneficio del condono e non già l’originario richiedente la cui posizione soggettiva avrebbe precluso, per sé o per suoi aventi causa, il rilascio del titolo.

Diversamente opinando si giungerebbe alla conclusione di un’impossibilità di rilascio della concessione edilizia ai terzi estranei alle vicende personali dell’amministratore della Società venditrice, divenuti proprietari in un’epoca in cui non sussisteva – secondo quanto dedotto dalle parti – né la condanna ostativa né tampoco il divieto di rilascio della concessione.

Un tale assunto si porrebbe in contrasto con il principio di proporzionalità – di derivazione comunitaria e reso immanente nel nostro ordinamento sia dal novellato art. 117, comma primo, Cost. che dall’art. 1 della l. n. 241 del 1990 (modificato dalla l. n. 15 del 2005) – in applicazione del quale le singole situazioni di carattere privato (cioè, facenti capo a determinati soggetti) e, in genere, a contenuto patrimoniale, non devono venire sacrificate al di là di ciò che è strettamente necessario per il soddisfacimento dell’interesse pubblico primario perseguito in concreto.

In ipotesi quali quelle per cui è causa, peraltro, l’amministratore giudiziario non potrebbe neppure effettivamente valersi della possibilità della riattivazione del procedimento di condono offerta dal comma 1bis del richiamato art. 39 l. n. 724 del 1994 poiché i beni sono stati già venduti.

Ne deriva che i terzi acquirenti (qui odierni ricorrenti) rimarrebbero privi di strumenti idonei ad ottenere l’utilità richiesta.

Il provvedimento di diniego della concessione in sanatoria non resiste pertanto alle suesposte censure dedotte dalle parti ricorrenti.

13. Al lume delle suesposte considerazioni, assorbito ogni ulteriore motivo irrilevante ed ininfluente ai fini del presente giudizio, entrambi i ricorsi, previa riunione degli stessi, vanno accolti secondo quanto sopra specificato, con conseguente annullamento del provvedimento con gli stessi impugnato.

Vanno ovviamente fatte salve le ulteriori determinazioni di competenza dell’Amministrazione.

14. La complessità delle questioni trattate e la mancata costituzione in giudizio delle parti intimate impongono, in via di eccezione, la declaratoria di irripetibilità delle spese ed onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo regionale della Sicilia, Sezione terza, pronunziando sui ricorsi in epigrafe, così statuisce:

– riunisce i ricorsi n. 123/2006 e n. 141/2006;

– accoglie, nei sensi di cui in motivazione, entrambi i ricorsi in epigrafe e, per l’effetto annulla il provvedimento con gli stessi impugnato nella stessa epigrafe indicato, salvi gli ulteriori provvedimenti.

Dichiara le spese irripetibili.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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