Cons. Stato Sez. III, Sent., 10-08-2011, n. 4759

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il signor B. A., cittadino marocchino, ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Emilia Romagna, prima sezione, il decreto del 17 novembre 2004 del Questore di Bologna, con il quale è stata respinta l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno da lui presentata in data 6 ottobre 2004, richiamando come causa ostativa una condanna riportata dal ricorrente in data 27 maggio 2004, con rito abbreviato, a 8 mesi di reclusione ed a Euro 1.800 di multa per un reato inerente agli stupefacenti, di cui all’art.73 del DPR n. 309/90, commesso il 29 novembre 2003; viene inoltre segnalata la carente documentazione sui redditi percepiti nell’anno 2003 e nei primi mesi del 2004.

2. Il T.A.R. dell’Emilia Romagna ha respinto il ricorso in questione, facendo applicazione dell’ampia giurisprudenza per la quale la condanna per uno dei reati previsti dall’articolo 4 del t.u. 25 luglio 1998, n. 286, tra cui quelli concernenti il traffico di stupefacenti, costituisce un automatico impedimento, ai sensi del successivo articolo 5, comma 5, al rinnovo del permesso di soggiorno e non richieda un’autonoma valutazione della pericolosità sociale.

3. Avverso detta decisione il signor B. A. ha proposto atto di appello, censurando le conclusioni del T.A.R. sotto diversi profili.

3.1. Il primo motivo di appello si riferisce alla carenza di istruttoria che il provvedimento impugnato mostra, non avendo la Questura compiuto alcuna seria indagine sui redditi percepiti dall’appellante nel periodo considerato, per il quale, peraltro, era stato rilasciato un permesso di soggiorno "in attesa di occupazione". Si dà quindi conto dei redditi percepiti dall’appellante in questo periodo sia per rapporti periodici di lavoro subordinato sia per compensi di attività dilettantistica sportiva.

3.2. Con il secondo motivo, l’appellante deduce la mancata considerazione nella sentenza del T.A.R. dell’obbligo di motivazione del provvedimento alla luce dei principi generali e alla stregua delle disposizioni dell’art. 5, comma 5, e delle indicazioni della circolare applicativa del Ministero dell’interno n. 300 del 2003, che non configurano affatto il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno come atto vincolato, ma, anche in presenza di fatti ostativi, prevedono la necessità di valutare anche gli eventuali elementi sopravvenuti, nonché la durata del soggiorno in Italia, i legami familiari e sociali e l’attività lavorativa regolarmente svolta. Si afferma che, quando concorrano queste circostanze, occorre una specifica valutazione di pericolosità sociale per motivare il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno e che, nel caso di specie, la pericolosità sociale è esclusa dalle motivazioni della sentenza di condanna e dalla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

3.3. Con il terzo motivo di appello viene rilevata la nullità del provvedimento impugnato in quanto l’atto comunicato all’appellante è privo dell’attestazione di conformità all’originale, mentre il quarto motivo lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo richiesta dall’articolo 7 della legge n. 241 del 1990.

4. L’istanza cautelare presentata dall’appellante, dopo una prima ordinanza istruttoria con richiesta di chiarimenti sulla situazione personale familiare dell’appellante (ordinanza n. 341/2006), è stata accolta dalla VI sezione del Consiglio di Stato con la successiva ordinanza n. 795/2006, motivata dalla insufficiente risposta alla richiesta di chiarimenti e dall’evidente rilevanza del "collegamento con il territorio italiano" dell’appellante.

5. Il Collegio osserva che si può condividere quanto posto in rilievo dal T.A.R.; e cioè che l’art. 4, comma 3, del t.u. n. 286/1998 – nel testo modificato dall’art. 4 della legge n. 189/2002 – individua specifiche ipotesi preclusive dell’ingresso e della permanenza dello straniero in Italia. Fra le condizioni preclusive rientrano le condanne penali per "reati inerenti agli stupefacenti".

6. Ciò premesso, si osserva che l’appellante asserisce, senza essere smentito, di essere giunto in Italia all’età di sei mesi, come già rilevato dalla VI sezione del Consiglio di Stato nell’ordinanza istruttoria n. 341/2006. Sul piano della documentazione agli atti e, in particolare, dal permesso di soggiorno, l’appellante risulta entrato in Italia all’età di otto anni. Ha frequentato le scuole elementari e medie, giungendo alla licenza media e conseguendo successivamente un attestato professionale. In Italia vive la madre, che, secondo la documentazione agli atti, ha bisogno della sua assistenza (il padre è morto da anni). L’appellante è cresciuto in Italia ed ha in Italia i più importanti legami familiari in una situazione che è sostanzialmente assimilabile al ricongiungimento familiare, essendo entrato da bambino con i suoi genitori. Sembra dunque agli atti significativamente esistente quel "collegamento con il territorio nazionale" che la VI sezione ha già avuto modo di considerare rilevante e sul quale ha chiesto alla Questura chiarimenti giudicati insoddisfacenti nella successiva ordinanza n. 795/2006 sopra richiamata. Si tratta quindi di una situazione certamente sufficiente per assumere rilievo ai fini della motivazione del provvedimento, il quale risulta invece carente per questo aspetto come, peraltro, anche per gli aspetti – di certo meno rilevanti – relativi ai redditi percepiti dall’appellante nel periodo considerato per come gli stessi redditi risultano agli atti.

7. Ciò non significa che la condanna penale de qua sia divenuta irrilevante. Significa invece che essa non è più sufficiente, da sola, a giustificare il diniego del permesso di soggiorno; e che l’autorità amministrativa deve valutare discrezionalmente il complesso dei dati ed elementi a sua disposizione, mettendo in comparazione quelli favorevoli all’istante con quelli sfavorevoli.

Una comparazione discrezionale di questo genere appare del tutto assente dal provvedimento impugnato, il quale risulta dunque illegittimo; salvo, s’intende, il poteredovere dell’Amministrazione di riesaminare il caso e di emettere un nuovo provvedimento congruamente motivato.

8. Le considerazioni sin qui svolte sembrano sufficienti a condurre all’annullamento del provvedimento (con salvezza degli ulteriori provvedimenti che potranno essere assunti) per difetto di motivazione rispetto alla complessa situazione dell’appellante al momento della adozione del provvedimento impugnato.

9. La efficacia del provvedimento impugnato è, peraltro, rimasta sospesa dal 2006 ad oggi per effetto della ordinanza cautelare sopra ricordata. Pertanto, nella futura fase di riesame, l’Amministrazione terrà conto dei fatti ulteriormente sopravvenuti e della complessiva condotta dell’appellante considerando il suo complessivo radicamento familiare e sociale nel paese. Ciò anche alla luce del nuovo quadro normativo derivante dal decreto legislativo n. 5/2007, e in particolare del nuovo testo dell’art. 5, comma 5, del t.u., in quanto risulti applicabile.

10. Nei limiti della motivazione, l’appello deve essere accolto. Si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso presentato in primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *