Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-08-2011, n. 4768 Silenzio rifiuto _ silenzio assenso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’appello in esame, la società F. impugna la sentenza 22 febbraio 2011 n. 122, con la quale il TAR Calabria, sede di Reggio Calabria, ha dichiarato inammissibile per tardività il suo ricorso proposto avverso il silenzio serbato dal Comune di Reggio Calabria sulla domanda, presentata allo Sportello unico attività produttive, di permesso di costruire, in variante al PRG, un centro commerciale in loc. Gallico.

La sentenza appellata ha ritenuto tardivo il ricorso in quanto – poiché l’art. 5 DPR n. 447/1998 prevede che "qualora l’esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale… si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale", il dies a quo per il computo dell’anno per la proposizione del ricorso avverso il silenzio, ex art. 2 l. n. 241/1990 (ed ora art. 31 Cpa), deve essere individuato nel sessantesimo giorno dalla data della conferenza di servizi che ha espresso parere favorevole sull’intervento (e quindi, essendosi questa tenuta il 17 aprile 2008, nel 16 giugno 2008).

A fronte di ciò (e quindi di un dies ad quem spirato il 16 giugno 2009), il ricorso è stato spedito per la notifica il 10 novembre 2010.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

error in iudicando, poichè la sentenza ha omesso di considerare che il consiglio comunale "chiamato a pronunciarsi definitivamente sulla variante allo strumento pianificatorio, può deliberare solo una volta maturati i termini previsti dalla legge n. 1150 del 1942, per il deposito del verbale conclusivo unitamente agli elaborati costitutivi della variante e per la formulazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati". Inoltre, il consiglio comunale è stato messo nelle condizioni di potersi pronunciare definitivamente solo a seguito del parere reso dal dirigente del settore urbanistica in data 20 febbraio 2009, sulla proposta di delibera da sottoporre al consiglio comunale.

Secondo l’appellante, "l’erroneità della determinazione del giudice di I grado sta infatti proprio nel ritenere che il termine di sessanta giorni ex art. 5 DPR 447/1998 decorresse con riguardo alla pronuncia della conferenza di servizi nel procedimento dello Sportello unico delle attività produttive e non già nell’esaurimento della fase istruttoria comunale necessaria affinché il consiglio comunale potesse deliberare" (e ciò si è realizzato solo con l’espressione del parere della prima commissione permanente consiliare in data 18 novembre 2009).

Il Comune di Reggio Calabria non si è costituito in giudizio e, all’odierna udienza in camera di consiglio, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

L’art. 5 DPR n. 447/1998, disciplinante l’ipotesi di "progetto comportante la variazione di strumenti urbanistici", prevede che

"1. Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l’istanza. Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso. Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell’impianto industriale.

2. Qualora l’esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale. Non è richiesta l’approvazione della regione, le cui attribuzioni sono fatte salve dall’articolo 14, comma 3bis della legge 7 agosto 1990, n. 241.".

Tale disposizione prevede l’utilizzazione dello Sportello unico delle attività produttive e lo strumento della conferenza di servizi, al fine di semplificare l’azione della pubblica amministrazione e di migliorare, sul piano della efficienza, efficacia ed economicità, i rapporti tra la stessa ed i cittadini e le imprese.

In particolare, il comma 2 prevede che, laddove l’espressione di parere favorevole in conferenza di servizi comporti l’adozione di una variante allo strumento urbanistico, la pronuncia della Conferenza "costituisce proposta di variante", sulla quale deve pronunciarsi, "entro sessanta giorni", il Consiglio comunale.

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già chiarito che, nell’ambito del procedimento previsto dagli art. 4 e 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447, la determinazione della Conferenza di servizi rappresenta un peculiare atto di impulso (proposta) dell’autonomo procedimento (di natura esclusivamente urbanistica) volto alla variazione del vigente piano regolatore, rientrante nelle normali ed esclusive attribuzioni dell’ente locale. Qualora l’esito della Conferenza di servizi sia in qualunque modo sfavorevole al privato richiedente e dunque si risolva nel diniego di approvazione del proposto progetto in variante allo strumento urbanistico, tale esito assume valore ostativo alla prosecuzione del procedimento amministrativo, mancando in tale ipotesi l’atto d’impulso, strumentale alle determinazioni di competenza del Consiglio comunale (Cons. Stato, sez. IV, 19 ottobre 2007 n. 5471).

Si è anche chiarito che natura ed effetti della variante ex art. 5 del d.P.R. n. 447/1998, sono identici a quelli della variante urbanistica ordinaria. Tuttavia, se ambedue sono destinate ad incidere sull’assetto del territorio, dettando una disciplina nuova e diversa da quella in vigore, esse differiscono in ordine alla modalità specifica di inizio del procedimento di variazione dello strumento urbanistico. Nel caso dell’art. 5, la proposta di variazione è collegata alla presentazione, da parte di un privato, di un progetto che ottenga il parere favorevole della Conferenza di servizi, appositamente convocata; nell’ipotesi ordinaria, la proposta di variazione dello strumento urbanistico è affidata all’iniziativa dell’amministrazione comunale (Cons. Stato, sez. IV, 25 giugno 2007 n. 3593).

Infine, la proposta di variante non è vincolante per il consiglio comunale, che conserva pienamente la propria potestà pianificatoria e, quindi, valuta autonomamente se aderire o meno alla proposta (Cons. Stato, sez. IV, 3 settembre 2008 n. 4110; 27 giugno 2007 n. 3772).

Quanto al termine del procedimento di approvazione della variante, l’art. 5 enuncia il termine di sessanta giorni.

A fronte di ciò, la sentenza appellata ha ritenuto che detto termine decorra dalla data della conferenza di servizi che ha espresso parere favorevole sull’intervento.

Al contrario, l’appellante ritiene che esso decorra solo dal momento in cui il consiglio comunale è messo effettivamente nelle condizioni di poter deliberare (ed individua tale momento nel termine della fase istruttoria, e cioè, nel caso di specie, nell’espressione del parere da parte della competente commissione consiliare.

Il Collegio ritiene che la tesi dell’appellante, sulla quale fonda il motivo di appello, non sia fondata.

Quanto alla individuazione del dies a quo, occorre osservare che (diversamente da quanto ritenuto dall’appellata sentenza) un termine per la conclusione di un procedimento amministrativo non può decorrere dalla mera adozione dell’atto di avvio del procedimento da parte del soggetto istante, bensì dal momento in cui tale atto viene portato nella sfera giuridica dell’amministrazione che deve gestire il procedimento amministrativo ed adottare l’atto finale.

Non a caso, l’art. 8 della legge n. 241/1990, nel definire il contenuto della comunicazione con la quale l’amministrazione "provvede a dare notizia dell’avvio del procedimento" (comma 1), prescrive che detta comunicazione debba, tra l’altro, contenere sia (lettera cbis) "la data entro la quale, secondo i termini previsti dall’ articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione", sia (lettera cter) "nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza".

E ciò proprio perché, nei procedimenti che non conseguono ad un impulso della stessa amministrazione emanante il provvedimento finale (procedimenti ex officio), il dies a quo è determinato dalla "data di presentazione della relativa istanza" (data che, dunque, è bene che i destinatari conoscano, onde poter calcolare il termine di conclusione del procedimento della cui esistenza vengono informati).

Nel caso di specie, proprio perché, come affermato dalla giurisprudenza, la deliberazione assunta dalla conferenza di servizi ex art, 5 DPR n. 447/1998 costituisce un "atto di impulso (proposta) dell’autonomo procedimento di natura esclusivamente urbanistica" (Cons. Stato, n. 5471/2007 cit.), il dies a quo non può essere individuato con riferimento alla data di adozione dell’atto da parte della conferenza, bensì in quella in cui il medesimo (la proposta di variante urbanistica) perviene al comune, al quale la conferenza (e per essa il responsabile del procedimento presso lo sportello unico) deve provvedere celermente ad inviarlo.

Tanto precisato in ordine al dies a quo dell’ "autonomo procedimento di natura esclusivamente urbanistica" (che già comporta ex se la reiezione del’appello), il Collegio deve altresì osservare che il termine di sessanta giorni, indicato dall’art. 5 DPR n. 447/1998, deve essere sommato a quello, previsto dall’art. 9 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, per la presentazione di osservazioni, proposte e opposizioni, proprio perché è il medesimo art. 5 a prevedere la considerazione di tali atti partecipativi degli interessati, e quindi la salvezza del relativo termine.

Orbene, poiché il citato art. 9 prevede un primo termine di 30 giorni per il deposito del piano regolatore (o di una sua variante) adottato dal Consiglio comunale, e l’ulteriore termine (decorrente dalla scadenza del primo) di 30 giorni per la presentazione di osservazioni, occorre aggiungere al termine di 60 giorni, previsto dall’art. 5 DPR n. 447/1998, l’ulteriore termine di 60 giorni (relativo al subprocedimento di presentazione di osservazioni, proposte, opposizioni, come previsto dallo stesso art. 5 ora citato).

In definitiva, questo Consiglio di Stato afferma che il procedimento per l’approvazione della variante urbanistica, a seguito della proposta assunta dalla conferenza di servizi, deve essere concluso entro il termine di 120 giorni, decorrenti dalla data di ricezione da parte del Comune della proposta di variante formulata dalla conferenza di servizi e da questa senza indugio inviata all’ente.

A fronte di quanto ora precisato, non può trovare accoglimento quanto invece ritenuto dall’appellante, secondo il quale, in sostanza, il termine di 60 (e non di 120) giorni decorre dall’esaurimento della fase istruttoria e quindi dal momento in cui "il consiglio comunale è stato messo nelle condizioni di pronunciarsi definitivamente" (pag. 6 appello).

In tal modo, infatti, lungi dal considerare l’esistenza di un termine complessivo di durata del procedimento amministrativo (in coerenza con l’art. 2 l. n. 241/1990), si offre una interpretazione dell’art. 5 DPR n. 447/1998, attribuendo allo stesso non già la finalità di definire un termine di conclusione del procedimento, bensì la diversa finalità di indicare un termine di conclusione della fase decisionale del procedimento medesimo.

Tale interpretazione, oltre a contrastare, per le ragioni già esposte, con la lettera e la ratio dell’art. 5, si dimostra, per un verso, incoerente con i principi espressi dal citato art. 2 l. n. 241/1990; per altro verso, comportando la mera definizione di un termine della sola fase decisionale, lascia del tutto impregiudicata la definizione temporale delle fasi procedimentali e subprocedimentali anteriori, in contrasto sia (ancora una volta) con la unitarietà del termine procedimentale, indicata dall’art. 2 l. n. 241/1990, sia proprio con le finalità di semplificazione procedimentale e compressione dei tempi, in ragione di un recupero di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, voluta dal DPR n. 447/1998.

Nel caso di specie, anche individuando il termine di conclusione del procedimento nei modi sopra esposti, risulta ampiamente decorso il termine annuale per la proposizione del ricorso avverso il silenzio – inadempimento serbato dall’amministrazione.

Basta considerare che, almeno a far data dal 20 febbraio 2009 (data di trasmissione della proposta di delibera di variante urbanistica dal Dipartimento programmazione – settore urbanistica al consiglio comunale), occorre ritenere pervenuta la proposta della conferenza di servizi al comune (ancorchè la stessa sia ovviamente pervenuta in data antecedente), di modo che, aggiunto il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento, si perviene al 20 giugno 2009, e quindi ad un termine annuale per la proposizione del ricorso spirante il 20 giugno 2010, a fronte di un ricorso giurisdizionale spedito per la notifica il 10 novembre 2010 e ricevuto il 15 novembre successivo.

Il Collegio osserva ancora che, con riferimento al ricorso proposto avverso il silenzio dell’amministrazione, l’art. 31, comma 2, Cpa, prevede che "l’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. E’ fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.".

Ciò significa, per un verso, che il termine annuale costituisce solo una "data di chiusura" per la proposizione del ricorso (proponibile, appunto, finchè perdura l’inadempimento), e, al contempo, che l’amministrazione ben può provvedere oltre il termine di conclusione del procedimento; per altro verso che, a fronte di un comportamento inerte o dilatorio dell’amministrazione e venuta meno la possibilità di azione giurisdizionale per decorso del termine annuale, l’interessato "ove ne ricorrano i presupposti", può sempre riproporre la domanda a suo tempo presentata.

Per le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata, previa precisazione della motivazione nei sensi sopra indicati e conferma del dispositivo di reiezione del ricorso proposto in I grado.

In disparte ogni considerazione sulla complessità della questione trattata, in mancanza della costituzione del comune di Reggio Calabria, il Collegio è dispensato dal decidere in ordine alle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da F. s.r.l. (n. 1720/2011 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza appellata.

Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *