Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-08-2011, n. 4764 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’appello in esame, il sig. L. C. impugna la sentenza 22 dicembre 2004 n. 19619, con la quale il TAR Campania, sede di Napoli, sez. VI, ha rigettato il suo ricorso avverso l’ordinanza di demolizione 26 novembre 2003 n. 45.

La sentenza appellata ha affermato:

– che il ricorrente ha prestato acquiescenza al silenziorifiuto formatosi sulla istanza di accertamento di conformità urbanistica ex art, 36 DPR n. 380/2001, successivamente alla emanazione dell’impugnata ordinanza di demolizione e che "tale circostanza comporta la piena ripresa di operatività dell’ordinanza medesima";

– che al caso in esame, stante la natura non condonabile delle opere (perché eseguite dopo il 31 marzo 2003 e perché in contrasto con i preesistenti vincoli paesaggistici gravanti sull’area) non può operare la sospensione prevista dall’art. 44 l. n. 47/1985;

– che non sussistono violazioni procedimentali, con particolare riguardo all’invio di comunicazione di avvio del procedimento (peraltro sussistente), in quanto "gli atti di repressione degli abusi hanno natura urgente e strettamente vincolata… con la conseguenza che, ai fini della loro adozione, non sono comunque richiesti apporti partecipativi";

– che non sussiste il vizio di incompetenza, in ordine alla emanazione dell’atto repressivo da parte del dirigente, e che la motivazione dell’atto consiste "nell’oggettivo riscontro dell’abusività dell’opera e nella sicura assoggettabilità di questa al regime concessorio".

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando; erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; travisamento; omessa pronuncia su punti decisivi della controversia; eccesso di potere giurisdizionale; poiché l’appellante non ha affatto prestato acquiescenza al silenziorifiuto, essendo pendente ricorso avverso il medesimo innanzi al TAR Campania; di modo che il TAR avrebbe dovuto dichiarare "l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, ma giammai tale evenienza avrebbe potuto comportarne il rigetto";

b) error in iudicando, in quanto il TAR – affermando l’inapplicabilità della sospensione ex art. 44 l. n. 47/1985, fondata sulla inaccoglibilità della domanda di condono, si è "arbitrariamente sostituito alla P.A. operando di fatto una valutazione sulla accoglibilità della istanza di condono avanzata dall’appellante". Peraltro, non vi è alcuna prova della ultimazione delle opere dopo il 31 marzo 2003, né la natura delle stesse (sbancamento terreno e vano seminterrato) ne esclude la sanabilità;

c) sussistenza della violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990;

d) incompetenza del dirigente, poiché, in mancanza della puntuale normativa regolamentare di attuazione, la competenza all’adozione del provvedimento di demolizione spetta ancora al Sindaco;

e) difetto di motivazione, poiché è stata emanata una ordinanza di demolizione "ad horas", senza "una approfondita indagine da parte dell’amministrazione con riguardo alla effettiva compromissione di rilevanti interessi urbanistici e paesaggistici e una puntuale motivazione su tali aspetti". Né il Comune poteva disporre la demolizione, senza prima pronunciarsi sulla richiesta di concessione in sanatoria;

f) omessa pronuncia sul quinto motivo di doglianza proposto in I grado, con il quale si è dedotta l’illegittimità dell’atto poiché, non risultando accertato alcun danno ambientale, l’amministrazione avrebbe dovuto "tutt’al più disporre l’applicazione di una indennità", e non invece la misura del ripristino dello stato dei luoghi, ed avrebbe dovuto essere acquisito previamente il parere della Commissione edilizia integrata per i beni ambientali".

Si è costituito in giudizio il Comune di Lacco Ameno, che ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

In particolare, il Comune ha precisato che "il giudizio promosso dal sig. C. avverso l’atto tacito di reiezione, formatosi per decorso del termine previsto ex lege, è stato dichiarato perento con decreto n. 3937 del 18 aprile 2007".

Con ordinanza 11 aprile 2011, questo Consiglio di Stato ha concesso la sospensione dell’esecutività della sentenza appellata.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Oggetto dei provvedimenti repressivi emanati dal Comune di Lacco Ameno sono opere realizzate abusivamente (come riconosciuto dallo stesso appellante, avendo egli per le stesse presentato domanda di condono), opere che la sentenza ha accertato essere state realizzate dopo il 31 marzo 2003 (come da verbale di accertamento 24 novembre 2003) ed in contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sull’area.

Il Collegio deve, innanzi tutto, ribadire che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione e, pertanto, i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio di comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto, né essendo necessario acquisire il parere di organi, quali – come nel caso di specie – la Commissione edilizia integrata.

D’altra parte, l’art. 21octies l. n. 241/1990, sia pure introdotto dalla l. n. 15/2005 (e quindi in momento successivo all’adozione del provvedimento impugnato in I grado) prevede espressamente (comma 2, primo periodo) l’irrilevanza dei vizi procedimentali allorché il contenuto del provvedimento vincolato corrisponde alla previsione di legge.

Quanto alla competenza all’adozione dei provvedimenti di repressione degli abusi edilizi, occorre ricordare che il d. lgs. n. 80/1998 ha introdotto, nell’ambito dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni (compresi gli enti locali, per espresso richiamo normativo: attualmente, art. 1, co. 2 d. lgs. n. 165/2001) il principio di distinzione tra organi di indirizzo politicoamministrativo ed attività di gestione, nella quale ultima i titolari dei primi organi non devono ingerirsi.

Tale principio è stato ritenuto cogente anche per la legislazione regionale dalla Corte Costituzionale, in quanto di diretta e coerente attuazione dell’art. 97 Cost. (Corte Cost., 13 gennaio 2004 n. 2).

A completamento del principio generale espresso, l’art. 45, comma 1, d. lgs. n. 80/1998 ha affermato che: "A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti."

Tale disposizione è stata poi abrogata dall’art. 72, lett. bb), d. lgs.30 marzo 2001 n. 165, che ha, però, riconfermato la competenza dirigenziale nell’emanazione dei provvedimenti amministrativi.

Alla luce di quanto esposto, appare del tutto evidente che la legislazione statale (dapprima il d. lgs. n. 80/1998, poi il d. lgs. n. 165/2001) si impone – in tema di esclusione dell’attività di gestione per i titolari di organi di indirizzo politicoamministrativo e di conseguente attribuzione della medesima attività ai dirigenti – alla (eventualmente) difforme legislazione regionale, e, per la sua immediata applicazione non abbisogna di adeguamenti, né della legislazione regionale, né degli atti di governo e di organizzazione (statuto e regolamenti) degli enti locali.

Alla luce delle considerazioni espresse, risultano infondati il terzo, quarto e quinto motivo di appello (sub lett. c), d) ed e) dell’esposizione in fatto).

Con i primi due motivi di appello, il sig. C. ha lamentato:

– che erroneamente la sentenza ha affermato avere egli prestato acquiescenza al silenziorifiuto, essendo pendente ricorso avverso il medesimo innanzi al TAR Campania; di modo che il TAR avrebbe dovuto dichiarare "l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, ma giammai tale evenienza avrebbe potuto comportarne il rigetto";

g) che il primo giudice, fondando la reiezione del ricorso sulla inaccoglibilità della domanda di condono, si sarebbe "arbitrariamente sostituito alla P.A. operando di fatto una valutazione sulla accoglibilità della istanza di condono avanzata dall’appellante". Peraltro, si prosegue, non vi sarebbe alcuna prova della ultimazione delle opere dopo il 31 marzo 2003 e, d’altro canto, la natura delle stesse (sbancamento del terreno e vano seminterrato) esclude non ne escluderebbe la sanabilità.

Ambedue i motivi di appello (sub a) e b) dell’esposizione in fatto), sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.

Quanto al primo aspetto (motivo sub a) dell’esposizione in fatto), per un verso occorre evidenziare che il ricorso proposto avverso il silenziorifiuto formatosi sull’istanza di condono edilizio, è stato dichiarato perento con decreto decisorio 18 aprile 2007 n. 3937; per altro verso, che non è sorretta da alcun interesse ad agire l’argomentazione dell’appellante tendente a censurare la pronuncia di rigetto di ricorso, sostenendo che la medesima avrebbe dovuto invece consistere in una pronuncia in rito di declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse.

Quanto al secondo aspetto, la domanda di concessione in sanatoria è stata presentata dal C. dopo l’emissione dell’ordinanza di demolizione, di modo che, da un lato, non risulta applicabile la sospensione disposta dall’art. 44 l. n. 47/1985 (Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2010 n. 3230); da altro canto l’ordinanza fa espresso riferimento ad abusi accertati e, per le ragioni esposte dal I giudice, commessi dopo il 31 marzo 2003, quindi dopo il termine previsto dal legislatore affinché gli abusi commessi possano eventualmente essere oggetto di sanatoria (sussistendo tutti i presupposti di legge).

La sentenza appellata, dunque, non ha affatto comportato una "sostituzione" del giudice all’amministrazione circa la condonabilità della opera realizzata, ma si è limitata a prendere atto del presupposto temporale della effettuazione dell’abuso, onde verificare positivamente l’emanazione del provvedimento sanzionatorio.

D’altra parte, è appena il caso di aggiungere che l’appellante, pur contestando che le opere siano state effettuate dopo il 31 marzo 2003 (v. pag. 22 appello), non fornisce alcun concreto elemento volto a contrastare quanto contestato dalla pubblica amministrazione e posto a base del provvedimento impugnato.

Infine, stante la natura delle opere abusive realizzate e la loro particolare realizzazione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, risulta infondato l’ultimo motivo, riproposto in appello (sub f) dell’esposizione in fatto), essendo del tutto legittima – a fronte dei presupposti citati – la disposta riduzione in pristino.

Per le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza appellata.

Sussistono tuttavia – anche in considerazione del non tempestivo deposito di memoria da parte dell’amministrazione – giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da C. L. (n. 1411/2006 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari del grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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