Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-06-2011) 28-07-2011, n. 30050Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 10 dicembre 2009, la Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di quella città con la quale, in data 1 luglio 2008, I.G. era stato condannato per violazione della disciplina urbanistica e paesaggistica concretatasi nella realizzazione, in area soggetta a vincolo ed in assenza di titolo abilitativo, di una struttura edilizia formata da 9 pilastri in cemento armato con muri di compagno senza copertura ed una adiacente veranda di circa 33 mq.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un unico motivo di ricorso deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando di non essere il proprietario dell’area ove i lavori erano stati realizzati dal coimputato, bensì legale rappresentante, in qualità di amministratore, della società proprietaria del sito.

Rilevava, altresì, che le opere erano antecedenti alla data dell’accertamento ed erano state eseguite dal predetto coimputato che rivestiva, prima di lui, la carica di amministratore della società predetta.

Affermava, pertanto, che non gli era nota la esecuzione dei lavori e non avrebbe potuto intervenire per impedirne l’esecuzione in quanto già realizzati, come peraltro dimostrato dalla circostanza che la richiesta di sanatoria degli abusi era stata sottoscritta dal solo coimputato.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso va dichiarato inammissibile perchè proposto per motivi manifestamente infondati.

Occorre preliminarmente osservare come sia ben vero che la responsabilità del proprietario dell’area abusivamente edificata non possa essere ricondotta alla violazione di un generico dovere di controllo, ma deve anche ricordarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha posto l’accento sulla necessità che il giudice valuti la situazione concreta soggetta al suo esame, al fine di considerare adeguatamente la condotta del proprietario, la cui responsabilità andrà accertata sulla base di indizi precisi e concordanti quali, ad esempio, la piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e l’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione ed altre circostanze, quali tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all’esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa. Grava inoltre sull’interessato l’onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (cfr. Sez. 3 n. 35907, 19 settembre 2008).

Ciò posto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, con argomentazioni quasi esclusivamente in fatto, il ricorrente si è limitato a negare la propria responsabilità a fronte dell’inequivocabile affermazione della Corte territoriale secondo la quale, all’esito del giudizio, doveva ritenersi accertata la piena consapevolezza da parte del ricorrente dell’intervento edilizio commissionato dal coimputato e di uno specifico interesse all’esecuzione dei lavori sul terreno della società.

La Corte d’appello ha anche evidenziato come il giudice di prime cure, all’esito del giudizio, avesse disposto la trasmissione degli atti alla Procura in ordine alla falsa attestazione circa l’epoca di realizzazione delle opere abusive nell’istanza di sanatoria inoltrata al Comune di Palermo, così implicitamente negando la rilevanza di tale documento richiamata anche in ricorso.

Tale accertamento in fatto, non presentando vizi logici evidenti, non può essere oggetto di censura in questa sede di legittimità.

Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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