Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-12-2011, n. 28138 Garanzia per i vizi della cosa venduta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che nella causa di risarcimento del danno connesso alla vendita di un appartamento, sito in (OMISSIS), promossa dall’acquirente Mo.El. nei confronti della venditrice M.M.E., la Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 27 aprile 2006, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la M. al pagamento in favore della Mo. della somma di Euro 15.000, oltre interessi, ed ha regolato le spese del giudizio;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 15 dicembre 2006, sulla base di due motivi, illustrati con memoria;

che l’intimata ha resistito con controricorso.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1492 e 1362 e ss. cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e pone il quesito "se nel caso di specie l’asportazione dall’appartamento degli elementi d’arredo effettuata dalla ricorrente arch. M. prima della stipulazione del rogito costituisca violazione della garanzia di cui all’art. 1490 cod. civ., anche in relazione alle norme sull’interpretazione del contratto ex artt. 1362 e ss. cod. civ. e se sia stata legittimamente applicata dalla Corte d’appello di Milano la riduzione del prezzo pagato per l’immobile ai sensi dell’art. 1492 cod. civ.";

che il motivo è inammissibile, perchè non si conclude con un idoneo quesito di diritto, ma con la richiesta di accertare se vi è stata violazione o falsa applicazione delle norme indicate;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che il motivo non si conclude con un quesito che individui – come prescritto – tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che il secondo mezzo censura omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione al quantum, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

che anche questo motivo non rispetta la prescrizione formale dettata dall’art. 366-bis cod. proc. civ.;

che infatti esso non reca la conclusiva formulazione del quesito di sintesi;

che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. – è fermi ss ima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni della contraddittorietà della motivazione o per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che nella specie il motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5, è totalmente privo di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione della censura;

che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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