T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 10-08-2011, n. 1239 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I. I ricorrenti espongono in fatto:

– che in data 15.11.1996 ottenevano, dal Sindaco di Cellatica, concessione edilizia in sanatoria n. 16, per la costruzione di deposito attrezzi sito su terreno classificato, nel vigente PRG del Comune, a verde ambientale e paesistico;

– che con decreto 10.1.1997, n. 94, il Soprintendente per i Beni Ambientali e Architettonici di Brescia annullava detta concessione in sanatoria ritenendo la costruzione de qua "per natura dei materiali, forma e sagoma, del tutto avulsa dalla tipologia edilizia del luogo";

– che, conseguentemente, il Sindaco emanava, in data 31.1.1997, il provvedimento n. 918 (di annullamento della concessione edilizia) e l’ordinanza di demolizione n. 919.

In diritto, i ricorrenti deducono, avverso i sopraindicati provvedimenti repressivi, censure così riassumibili:

i) il decreto soprintendentizio 10.1.1997 sarebbe viziato per illegittimità derivata dalla deliberazione Giunta regionale 10.12.1985 n. 4/3859 (di individuazione delle aree di particolare interesse ambientale), a sua volta pretesamente viziata per disparità di trattamento, in quanto avrebbe imposto il divieto di inedificabilità – sul versante del Monte Stella compreso nel territorio dei Comuni di Cellatica e Gussago – rispettivamente al di sopra di m. 300 di altezza nel primo e di m. 600 nel secondo, quando le caratteristiche morfologiche e ambientali dei due territori sarebbero le stesse;

ii) il decreto sarebbe, altresì, affetto da vizi propri, quali:

– incompetenza, nell’assunto che competente sarebbe l’assessore al ramo della Regione Lombardia, stante la delega conferita in materia alle Regioni ordinarie dalla legge n. 431/1985;

– eccesso di potere per difetto di motivazione e disparità di trattamento, in quanto l’autorità statale non avrebbe tenuto conto delle prescrizioni particolari dettate dal Sindaco in seno all’annullata concessione in sanatoria (adeguamento della struttura in legno, copertura in coppi del tetto) e, per di più, in due casi simili (provvedimenti 28.9.1996 n. 6460/1 e 12.11.1996, n. 9764) si sarebbe espressa favorevolmente;

iii) i provvedimenti sindacali in data 31.1.1997 sarebbero, a loro volta, consequenzialmente illegittimi.

II. Resistono al ricorso Soprintendenza, Regione Lombardia e Comune di Cellatica.

In particolare, la Regione eccepisce la tardività dell’impugnativa della propria deliberazione 10.12.1985, di individuazione delle aree di particolare interesse ambientale.

III. Con ordinanza 23 maggio 1997, n. 450 veniva respinta la domanda cautelare di parte ricorrente, ritenendosi non immediatamente lesivi i provvedimenti impugnati.

IV. In vista dell’odierna udienza di discussione, tutte le parti producevano memorie conclusive e documentazione (ad eccezione dell’Amministrazione statale, che vi aveva provveduto all’atto della propria costituzione); in particolare, la Regione ha eccepito l’improcedibilità del ricorso, stante l’intervenuta approvazione – nelle more del giudizio – del Piano territoriale regionale, pubblicato sul BUR 17 febbraio 2010 e non impugnato dai ricorrenti.

Indi, la causa passava in decisione.

V. Ciò premesso, il Collegio ritiene indispensabile ricostruire preliminarmente l’esatto quadro giuridicofattuale che delimita la controversia, così correggendo e integrando l’esposizione di parte ricorrente.

V.1. Le risultanze di causa sono le seguenti:

a) con decreto n. 16 del 15.11.1996, il Sindaco di Cellatica ha rilasciato alla ricorrente Lara Bagozzi – in esito a "domanda di autorizzazione ambientale", dalla stessa presentata il 14.6.1996 – autorizzazione in sanatoria, ai sensi dell’art. 7 legge n. 1497/1939, per opere abusivamente realizzate, ritenendo espressamente "che le opere richieste rientrano tra quelle subdelegate ai Comuni";

b) al capo 3 del dispositivo di tale decreto, si precisa che lo stesso "concerne unicamente il controllo previsto dalla legge 1497 del 1939 e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni diverso aspetto": infatti, al successivo periodo del medesimo capo 3 si specifica che "nessuna opera potrà avviarsi in assenza di concessione edilizia" (poi, infatti, rilasciata il 22.11.1996);

c) al capo 4, si dispone, infine, la trasmissione del decreto alla competente Soprintendenza;

d) a sua volta, quest’ultima richiama, nel proprio provvedimento di annullamento 10.1.1997, la legge 1497/1939, il suo articolo 7, l’art. 82 D.P.R. 616/1977 e le esigenze di tutela paesisticoambientale.

V.2. Emerge, dunque, per tabulas, che l’intera controversia è normativamente presidiata dall’art. 7 legge 1497/1939 e pone la ricorrente questione del corretto esercizio o meno (in prima istanza) del potere di rilascio del nullaosta ambientale e del conseguente potere di annullamento attribuito dall’ordinamento (in seconda istanza) all’Autorità statale.

Ogni questione attinente alla legittimità o meno del presupposto vincolo ambientale esula, invece, dalla stessa controversia, poiché allorquando (14.6.1996) la stessa ricorrente ha innescato – con la propria domanda di autorizzazione ambientale – la sequenza procedimentale sopra descritta, essa ha con ciò mostrato di ben conoscere il vincolo ambientale gravante sulla sua proprietà e di rinunciare a contestarne la legittimità, scegliendo di chiedere all’Amministrazione la rimozione di tale limite imposto dall’ordinamento.

La successiva impugnazione del vincolo (risalente alla deliberazione G.R. 10.12.1985), effettuata con il presente ricorso, notificato il 3 aprile 1997, risulta, pertanto e a un tempo:

– tardiva, rispetto alla sua conoscenza (come esattamente eccepito dalla Regione);

inammissibile, per acquiescenza.

Tale inemendabile irritualità originaria dell’impugnativa all’esame assorbe, in sé,con ogni evidenza, gli eventuali profili di sopravvenuta improcedibilità in corso di causa, sollevati dalla Regione n sede di memoria conclusiva.

V.3. Infondate sono, invece, le censure rivolte avverso il decreto soprintendentizio 10.1.1997.

V.3.1. Stante l’acclarata intangibilità della più volte citata deliberazione G.R. 10.12.1985, esso non può essere affetto da alcuna illegittimità discendente in via derivata da siffatto provvedimento.

V.3.2. Neppure sussiste il vizio di incompetenza della Soprintendenza, dedotto in via autonoma dai ricorrenti, quale primo motivo rivolto avverso il decreto di annullamento 10.1.1997.

Già in epoca di poco successiva alla proposizione di detta censura con il presente ricorso, la giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva offerto delle norme di cui alla legge 431/1985 – invocata dai ricorrenti quale argomento a sostegno della censura de qua – una lettura esattamente opposta, per cui:

" il modello prescelto dal legislatore nazionale con la legge n. 431 del 1985 per la realizzazione di un valore primario, quale quello del paesaggio, espressamente previsto dalla Costituzione (art. 9, comma 2), è caratterizzato da un rapporto di concorrenza fra competenze statali e competenze regionali, improntato nel loro svolgimento al principio di leale collaborazione… Né l’intervento dell’amministrazione statale viene meno per il fatto che molte regioni (fra le quali anche la Regione Campania in quella controversia, la Regione Lombardia nella presente: NdE) abbiano subdelegato l’esercizio delle relative funzioni delegate ai minori enti locali, essendo facile replicare che la scelta di subdelegare l’adozione dell’autorizzazione paesaggistica e del parere per la sanatoria edilizia rientra nei poteri di organizzazione della regione ma non può avere alcuna influenza sull’assetto istituzionale delineato dal legislatore statale, e, quindi, sul concorrente potere di vigilanza e di annullamento riconosciuto all’amministrazione statale." (cfr. sez. VI, 28 gennaio 1998, n. 114, capo 1.1.)

Sul punto, occorre, pertanto, concludere che la Soprintendenza per i beni AA. e AA. di Brescia ha, nel caso qui all’esame, fatto legittimo uso di tale potere attribuito dalla legge 431 del 1985.

V.3.3. La citata sentenza n. 114/1998 del Consiglio di Stato ha, altresì, fornito il criterio di "sufficienza ed adeguatezza della motivazione" (così, testualmente il successivo capo 4) che deve sorreggere il provvedimento statale di annullamento del nullaosta ambientale rilasciato dalla Regione o dagli enti da questa subdelegati: e cioè quello per cui detto annullamento è da ritenersi correttamente motivato allorché evidenzi "la riscontrata carenza di adeguata motivazione sulle ragioni idonee ad evidenziare la compatibilità della struttura con il vincolo paesistico, per la mancanza cioè dell’elemento essenziale che deve essere alla base del provvedimento autorizzatorio: il giudizio di compatibilità con il contesto ambientale tutelato" (cfr. capo 3.2.).

In altri termini, l’onere motivazionale incombe, in primis, sul provvedimento autorizzatorio (che consente una deroga al vincolo), mentre il provvedimento di secondo grado risulta sufficientemente motivato allorché si fondi sul presupposto di un deficit motivazionale, sul punto, del concesso nullaosta.

Orbene, nel terzo "considerato" delle proprie premesse il decreto soprintendentizio 10.1.1997 enuncia espressamente "che nel provvedimento in esame il Comune di Cellatica (BS) non spiega come e perché l’intervento autorizzato sia compatibile con le motivazioni del vincolo e non rechi pregiudizio alle esigenze di tutela paesisticoambientale".

In effetti, il decreto sindacale oggetto di annullamento non motiva minimamente in ordine al profilo di compatibilità sin qui evidenziato, limitandosi a richiamare il parere favorevole della Commissione edilizia integrata, che né i ricorrenti né il Comune hanno, peraltro, prodotto in causa.

E una siffatta lacuna motivazionale non può, in alcun modo, essere colmata dall’imposizione di prescrizioni – definite nel decreto sindacale "particolari", ma in realtà piuttosto generiche – come "adeguamento delle strutture in legno" e "copertura in coppi" del tetto: per cui non può giovare ai ricorrenti il richiamarsi – come essi fanno nel primo profilo del secondo mezzo di impugnazione – alla mancata considerazione, da parte della Soprintendenza, delle suddette prescrizioni.

V.3.4. Comunque, la Soprintendenza ha anche esplicitato una propria valutazione del manufatto in questione, giudicando "siffatta costruzione, per natura dei materiali, forma e sagoma, del tutto avulsa dalla tipologia edilizia del luogo".

Orbene, come è noto, una tale manifestazione di giudizio in tema di nullaosta paesaggistico ambientale è caratterizzata da discrezionalità tecnica (cfr. ex multis: T.A.R. Lazio, sez. II, 7 maggio 2007, n. 4047), ma i ricorrenti non hanno opposto a tale giudizio sfavorevole una contraria valutazione proveniente da tecnico qualificato e adeguatamente cerziorata (nella forma della perizia giurata); né la valutazione stessa può, prima facie, ritenersi manifestazione irragionevole e incongrua, sol che la si raffronti con le foto prodotte in causa dagli stessi ricorrenti e dal Comune e che evidenziano caratteristiche del deposito attrezzi, di cui è contesa, più prossime alla baracca che a un manufatto edilizio.

V.3.5. Infine, quanto al secondo profilo (disparità di trattamento) dedotto con il secondo motivo, va, in contrario, osservato come costituisca ius receptum nella giurisprudenza amministrativa:

– che essendo, per l’appunto, la res controversa caratterizzata dall’esercizio di discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione, non è conseguentemente configurabile, in materia, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento (si veda ancora la citata T.A.R. Lazio n. 4047 del 2007);

– che, in ogni caso, l’illegittimità per disparità di trattamento in materia di nulla osta di cui all’art. 7 l. n. 1497/1939 è configurabile solo in casi macroscopici e presuppone un’assoluta identità delle situazioni (ancora T.A.R. Lazio, sez. II: 24 novembre 2008, n. 10624; Consiglio Stato, sez. VI, 24 ottobre 2008, n. 5267).

Neppure quest’ultimo presupposto residuale ricorre nel caso di specie, in quanto – con ogni evidenza – nella valutazione ambientale/paesaggistica ciò che risulta decisivo è il contesto di riferimento e dalle foto prodotte in causa (dai ricorrenti, come da Comune e Soprintendenza) non sono in alcun modo apprezzabili le modalità di inserimento dell’abuso dei ricorrenti e degli altri due da questi assunti a tertium comparationis nel rispettivo contesto ambientale, cosicché non può ritenersi comprovata in causa la (necessaria) assoluta identità delle situazioni poste a raffronto.

V.3.6. Il decreto soprintendentizio 10.1.1997 risulta, riassutinvamente, immune dai vizi avverso di essi dedotti dai ricorrenti.

V.4. Ne deriva che non è ravvisabile, nei consequenziali provvedimenti sindacali del 31.1.1997, l’ulteriore vizio di illegittimità derivata, dedotto quale ultimo profilo di censura.

VI. In conclusione, tutte le impugnative proposte con il ricorso all’esame vanno respinte.

In considerazione dell’ampio lasso di tempo trascorso tra instaurazione della controversia e sua decisione, le spese di lite possono essere integralmente compensate tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo RESPINGE per le ragioni esposte in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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