Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-06-2011) 28-07-2011, n. 30045

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 6 aprile 2010, la Corte d’Appello di Palermo riformava la sentenza emessa il 26 maggio 2006 dal Tribunale di Palermo in composizione monocratica, appellata da A.R., R.A., A.A., T.F., F. S., AV.An., S.M.C., L. C., AL.Fa. ed altri e, conseguentemente:

– confermava la sentenza di primo grado con la quale A. R., R.A., A.A., T.F., F.S. ed AV.An. erano stati ritenuti responsabili del reato di lottizzazione abusiva in concorso, condannando ciascuno alla pena di mesi sei di arresto ed Euro 24.000 di ammenda ( A.A.) e di Euro 18.000 di ammenda (tutti gli altri);

– dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.M. C., L.C. ed AL.Fa. in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti ai capi D), G) ed H) della rubrica perchè estinti per prescrizione e riduceva la pena loro inflitta relativamente ai reati rispettivamente contestati ai capi B), C), E) ed F) dell’imputazione e concernenti violazioni edilizie, quantificandola in mesi sei di arresto ed Euro 15.000 di ammenda ciascuno.

Avverso tale decisione i predetti proponevano due distinti ricorsi per cassazione.

A.R., R.A., A.A., T. F., F.S. ed AV.An. deducevano, con un unico motivo di ricorso la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di lottizzazione abusiva loro contestato.

Osservavano, a tale proposito, che la sentenza impugnata non aveva considerato gli elementi addotti dalla difesa per escludere la sussistenza della lottizzazione negoziale e, segnatamente, la circostanza che la realizzazione degli interventi edilizi era susseguente all’alienazione dei terreni ed ascrivibile ai soli acquirenti dei lotti, nei confronti dei quali era stato escluso il concorso nella lottizzazione, con la conseguenza che la loro responsabilità era stata ritenuta esclusivamente sulla base dell’avvenuta cessione dei lotti medesimi, oggetto di regolare frazionamento catastale effettuato in conformità con la destinazione urbanistica di zona (verde agricolo) indicata anche negli atti notarili di alienazione.

Aggiungevano che dette operazioni erano avvenute senza che nulla eccepissero gli uffici amministrativi comunali ed i notai roganti e censuravano ulteriormente la decisione impugnata laddove aveva ritenuto inverosimile la tesi difensiva secondo la quale il frazionamento del terreno era funzionale ad una divisione tra gli originari proprietari.

S.M.C., L.C. ed AL.Fa. deducevano, con un primo motivo di ricorso l’intervenuta prescrizione dei reati loro rispettivamente ascritti per decorrenza del termine massimo di prescrizione il quale, avuto riguardo alla data del commesso reato e considerati i periodi di interruzione, doveva collocarsi al luglio 2010.

Con un secondo motivo di ricorso lamentavano la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione osservando che la decisione impugnata, nel rigettare le eccezioni sollevate dalla difesa in ordine alla nullità del decreto di citazione per il giudizio di primo grado, alla nullità della sentenza per violazione dell’art. 521 c.p.p., alla nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione ed alla declaratoria di prescrizione dei reati, utilizzava argomentazioni "…non sempre chiare, lineari e giuridicamente condivisibili" minimizzando la portata giuridica e processuale delle deduzioni difensive pur non disconoscendone la fondatezza.

Tutti insistevano, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono inammissibili perchè basati su motivi manifestamente infondati.

Va infatti rilevato, avuto riguardo al ricorso presentato da A.R., R.A., A.A., T. F., F.S. ed AV.An. come la Corte territoriale abbia fornito adeguata risposta alle doglianze mosse con l’atto di appello e correttamente inquadrato la condotta ascritta ai ricorrenti nella fattispecie della lottizzazione abusiva negoziale.

Occorre preliminarmente ricordare, a tale proposito, come si abbia una lottizzazione negoziale quando la trasformazione di un’area venga attuata attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.

Come emerge dalla descrizione medesima, la lottizzazione negoziale si configura sulla base di situazioni che la giurisprudenza amministrativa e quella penale di questa Corte indicano come elementi indiziari.

L’indicazione di tali indici rivelatori dell’intento lottizzatorio, come ricordato pure nell’impugnata decisione, non è tassativa e, sempre secondo la citata giurisprudenza, essi non devono necessariamente coesistere, ritenendosi sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche da un solo indizio (v. ex pl. Cons. Stato, Sez. 5 n. 3136, 14 maggio 2004; Cons. Stato Sez. 4 n. 2004, 31 marzo 2009; Cass. Sez. 3 n. 39078, 8 ottobre 2009).

Sono stati ritenuti, ad esempio, elementi sufficienti per delineare un’ipotesi di lottizzazione cartolare: l’idoneità dei lotti all’edificazione, tenuto conto della superficie degli stessi;

l’eventuale previsione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria in sede di frazionamento; la vicinanza dei lotti all’aggregato urbano e ad aree già edificate; le qualità personali dell’acquirente; il prezzo pagato per l’acquisto del lotto (Sez. 3, n. 27739 8 luglio 2008), il frazionamento di un terreno agricolo in piccoli lotti non utilizzabili per l’esercizio dell’ agricoltura (Sez. 3 n. 15643, 15 aprile 2008).

Le attività negoziali cui il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 2 riconduce l’attività lottizzatoria sono gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni.

La terminologia utilizzata nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1 per descrivere la lottizzazione negoziale (in particolare, il termine "frazionamento") è stata letta dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che tale attività non deve necessariamente avvenire attraverso un’apposita operazione catastale che preceda le vendite o, comunque, gli atti di disposizione, potendosi anche realizzare mediante ogni altra forma di suddivisione di fatto, atteso che il termine "frazionamento" deve ritenersi utilizzato dal legislatore in modo atecnico e, pertanto, riferito a qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di una più ampia estensione territoriale, comunque predisposta od attuata ed anche se avvenuta in forma non catastale, attribuendone la disponibilità ad altri al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica o edilizia del territorio tanto che "…può configurarsi, perciò, lottizzazione negoziale anche nell’ipotesi in cui venga stipulato un solo atto di trasferimento a più acquirenti, i quali pervengano nella disponibilità e/o nel godimento di quote di un terreno indiviso e questo, anzi, è un meccanismo al quale si è fatto frequentemente ricorso proprio con l’intento di aggirare, attraverso una forma stipulatoria "mascherata", il divieto di lottizzazione posto dal legislatore" (Sez. 3 n. 6080, 7 febbraio 2008).

Va inoltre rammentato che sia in sede civile (Sez. 2 n. 44, 5 gennaio 1998; Sez. 2 n. 9639, 25 settembre 1998) che penale (Sez. 3 n. 12923, 26 settembre 1989; Sez. 3 n. 9055, 29 ottobrel983) si è poi precisato che l’eventuale inserimento, nel contratto, di una clausola pattizia con la quale l’acquirente dichiari di essere al corrente che il terreno, catastalmente censito come agricolo, non fa parte di lottizzazione autorizzata e non può essere utilizzato a scopo edilizio, non è idonea ad escludere la natura lottizzatoria del negozio, rappresentando verosimilmente, al contrario, un accorgimento formale per dissimulare un’attività di frazionamento a fine edilizio e, comunque, un espediente diretto da un lato a prevenire eventuali azioni civili dell’acquirente e, dall’altro, ad eludere la legge.

Date tali premesse, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia, in primo luogo, legittimamente rinviato per relationem alla decisione di primo grado per la ricostruzione dei fatti ed abbia compiutamente confutato le allegazioni difensive, riproposte in questa sede, facendo buon uso delle disposizioni sostanziali applicate e dei principi in precedenza richiamati.

Invero, la sussistenza della lottizzazione è stata ritenuta sulla base dei seguenti dati fattuali che, per una migliore comprensione della vicenda, appare opportuno richiamare:

– l’originario lotto, di mq 5735, con destinazione a verde agricolo, è stato acquistato dai ricorrenti nel 1994 ed è stato progressivamente frazionato, in un periodo di circa tre anni, ricavando fondi di estensione limitata, tra i 1000 ed i 548 mq., ceduti a terzi con 7 distinti atti di alienazione. In particolare, i giudici dell’appello rilevavano che, con un primo frazionamento (13 gennaio 2000), venivano create 4 particelle, di cui 3 cedute con altrettanti atti notarili e la quarta a sua volta suddivisa in ulteriori 2 particelle, successivamente frazionate ulteriormente creando 4 lotti, ceduti poi a terzi con altrettanti atti notarili.

– tutti i lotti risultano serviti da un’unica strada di accesso;

– in tutti e sette gli atti notarili compaiono, quali venditori, tutti e sei i comproprietari, cosicchè si riteneva dimostrata l’insussistenza del dichiarato intento di voler dividere la proprietà comune, come pure sostenuto in ricorso.

– alla cessione di ogni singolo lotto seguiva, quasi contestualmente, la realizzazione di immobili abusivi;

– la vendita degli ultimi lotti è avvenuta quando già era iniziata, su quelli precedentemente alienati, l’attività di edificazione abusiva, come documentato dai rilievi aerofotogrammetrici;

– i lotti erano ubicati in prossimità di centro urbano;

– la maggior parte degli acquirenti non aveva la qualifica di imprenditore agricolo.

Tale accertamento in fatto effettuato dai giudici dell’appello appare del tutto congruo e sostenuto da argomentazioni immuni da vizi logici e, in quanto tale, non sindacabile in sede di legittimità.

La Corte territoriale ha chiaramente illustrato le ragioni per le quali la condotta posta in essere dai ricorrenti doveva ritenersi palesemente connotata da un chiaro intento lottizzatorio.

Nè tali considerazioni risultano minimamente scalfite dalle deduzioni contenute in ricorso le quali, sostanzialmente, ripercorrono il medesimo iter argomentativo tracciato con i motivi di appello.

Invero, appare di tutta evidenza la infondatezza della affermazione circa l’intenzione dei ricorrenti di aver fatto ricorso al frazionamento per procedere alla divisione della comune proprietà, trattandosi di un comportamento che, se effettivamente destinato a tale scopo, sarebbe, in considerazione dei tempi e delle modalità di attuazione in precedenza descritti, evidentemente incoerente e certamente antieconomico e che risulta platealmente smentito da altre circostanze, tutte lucidamente indicate.

Tali evidenze processuali non perdono peraltro rilievo per il fatto, ampiamente richiamato in ricorso, che nè gli uffici comunali che hanno proceduto al frazionamento nè, tantomeno, i notai roganti, abbiano rilevato irregolarità nell’attività posta in essere dai ricorrenti, trattandosi di attività svolte per finalità diverse e ben potendo l’assenza di rilevi essere imputabile a differenti ragioni, quali, ad esempio, la insufficiente disponibilità di dati obiettivi sintomatici.

A conclusioni analoghe deve giungersi per quanto attiene il ricorso proposto da S.M.C., L.C. ed A. F., la cui infondatezza appare, anche in questo caso, di macroscopica evidenza.

Va in primo luogo rilevato, con riferimento alla dedotta prescrizione dei reati che, avuto riguardo alla stessa data individuata nel ricorso (peraltro senza tener conto delle eventuali sospensioni intervenute nel corso del giudizio di primo grado), i reati non erano prescritti all’epoca della definizione del giudizio d’appello (6 aprile 2010) e che la manifesta infondatezza del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e rende irrilevante la eventuale scadenza della prescrizione in epoca successiva alla sentenza ed alla presentazione dell’atto di gravame.

Per quanto riguarda, invece, il secondo motivo di ricorso, lo stesso si limita a riproporre questioni procedurali già sottoposte al giudice di secondo grado e da questi puntualmente confutate con argomentazioni ineccepibili che evidenziano la corretta applicazione delle disposizioni richiamate dai ricorrenti lamentando genericamente la mancanza di idonea motivazione.

Tale doglianza si risolve, pertanto, nella riproduzione di un brano di dottrina e nella proposizione di principi generali in tema di motivazione delle sentenze, senza formulazione alcuna di specifiche censure sulle motivazioni espresse dai giudici del gravame.

Tale circostanza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. Un. 19951, 19 maggio 2008 con richiami alle decisioni precedenti), determina la mancanza di specificità dei motivi, desumibile anche dalla mancanza di correlazione tra le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata e quelle sulle quali si fonda l’impugnazione.

I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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