Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-12-2011, n. 28134

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che il Tribunale di Roma, con sentenza in data 11 luglio 2001, definendo la controversia promossa da B.G., titolare della impresa edile Cos.Ber. nei confronti dei coniugi S.R. ed F.E. per il pagamento della somma di L. 53.627.000 richiesta quale residuo corrispettivo per l’esecuzione di lavori, accolse parzialmente la domanda attorea, condannando i convenuti committenti al pagamento della minor somma di L. 35.890.000, oltre accessori, respingendo la riconvenzionale proposta dai committenti di restituzione della complessiva somma di L. 28.257.920 per lavori contabilizzati ma in realtà asseritamente non eseguiti e per lavori comunque male eseguiti dall’impresa;

che la Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 9 marzo 2006, in accoglimento del gravame dello S. e della F., ha condannato il B. a restituire la somma di L. 27.456.320, pari ad Euro 14.180, oltre accessori, ed ha regolato le spese di entrambi i gradi;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 luglio 2006, sulla base di un unico motivo;

che gli intimati hanno resistito con controricorso.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che con il motivo si denuncia motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

che il motivo è inammissibile, perchè non corredato del prescritto quesito di sintesi;

che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, e delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che nella specie l’unico motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5, indica il fatto controverso (consistente "nel considerare pagato l’importo di L. 95.000.000 portato dalla fattura n. 19 del 1991, quando invece quest’importo non è mai stato pagato"), ma non indica, nel prescritto momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, le ragioni per le quali le motivazioni della sentenza impugnata sarebbero insufficienti a sostenere il decisum;

che pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *