Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-06-2011) 28-07-2011, n. 30044 Costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza del 12 luglio 2010, la Corte d’Appello di Messina confermava la pronuncia con la quale, in data 26 febbraio 2008, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto condannava C.A. per violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), artt. 93 e 95, relativamente alla realizzazione di un manufatto coperto di mq 364,14 con struttura portante in ferro e mura perimetrali in mattoni forati in adiacenza ad un preesistente capannone.

Avverso tale provvedimento il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 552 c.p.p., avendo la Corte d’Appello rigettato il motivo di gravame con il quale si eccepiva la mancata notificazione dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. e la conseguente nullità del decreto di citazione per il giudizio di primo grado. Osservava che essendo rimasto contumace, tale eccezione poteva validamente essere proposta per la prima volta in sede di appello.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge, rilevando che l’intervento eseguito aveva natura di pertinenza del preesistente capannone artigianale e che la struttura stessa era del tutto legittima in quanto autorizzata ai sensi della L.R. n. 37 del 1985, art. 5.

Con un terzo motivo di ricorso deduceva la falsa applicazione della menzionata legge regionale, che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto influente nella fattispecie nonostante la evidente natura di pertinenza dell’immobile realizzato.

Con un quarto motivo di ricorso denunciava la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 in quanto, avendo avanzato istanza per il mantenimento in essere della struttura realizzata, i giudici avrebbero dovuto sospendere il processo. Evidenziava, inoltre, che la Corte territoriale aveva effettuato un riferimento errato al limite temporale previsto per il "condono edilizio".

Con un quinto motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 157 c.p., poichè le opere erano state realizzate nel 1999 e, pertanto, i reati contestati dovevano ritenersi ormai prescritti, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’Appello.

Con un sesta motivo di ricorso denunciava, infine, la violazione di legge rilevando la indeterminatezza dell’ordine di demolizione.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre preliminarmente osservare che in ricorso vengono proposte le medesime doglianze già formulate nei motivi di appello ed alle quali la Corte territoriale ha fornito puntuale risposta.

Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che correttamente i giudici dell’appello hanno ritenuto l’infondatezza dell’eccezione formulata, rilevando come il decreto di citazione a giudizio risultasse regolarmente notificato e che la eccezione in ordine alla mancata notificazione dell’avviso di conclusione indagini doveva essere sollevata innanzi al giudice di primo grado.

Si è infatti osservato, a tale proposito che la nullità del decreto di citazione a giudizio per l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari è di natura relativa, con la conseguenza che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p., subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 2 n. 35420, 1 ottobre 2010; Sez. 3 n. 25223, 20 giugno 2008; Sez. 6 n. 23246, 27 maggio 2003).

Parimenti corretta è la esclusione della natura pertinenziale dell’immobile abusivamente realizzato.

Occorre ricordare, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente evidenziato le differenze intercorrenti tra la nozione di pertinenza urbanistica e quella contenuta nel codice civile, che assume una portata più ampia, chiarendo, altresì, che costituisce elemento discriminante tra pertinenza urbanistica e civilistica la rilevanza che in quest’ultima assumono sia l’elemento obiettivo che quello soggettivo, diversamente dalla prima dove rileva il solo elemento oggettivo (così Sez. 3 n. 28504, 8 luglio 2007).

Le caratteristiche peculiari della pertinenza urbanistica sono state più volte indicate in vario modo (cfr. Sez. 3 n. 37257, 1 ottobre 2008 ed altre prec. conf.) e possono essere così sintetizzate:

deve trattarsi di un’opera che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato deve essere preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso deve essere sfornita di un autonomo valore di mercato non deve essere valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell’edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale).

Ulteriore (ed ovvio) requisito, più volte individuato dalla giurisprudenza penale (v. per tutte, Sez. 3 n. 33657, 6 ottobre 2006), è rappresentato dalla lecita realizzazione del manufatto principale cui la pertinenza accede e ciò in quanto, ripetendo il bene accessorio le proprie caratteristiche dall’opera principale a cui è intimamente connesso, risulterebbe anch’esso in contrasto con l’assetto urbanistico del territorio.

Sostanziali differenze sono state evidenziate anche tra la nozione di pertinenza e quella di ampliamento dell’edificio, chiarendo che il concetto di pertinenza non va confuso con quello di parte dell’edificio. In materia di reati edilizi, l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma diventa parte dell’edificio perchè, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all’edificio medesimo (Sez. 3 n. 15260, 9 aprile 2009; Conf. Sez. 3 n. 37460, 2 ottobre 2008; Sez. n. 22728, 6 giugno 2008 ed altre prec.).

Alla luce di tali considerazioni è evidente la correttezza della valutazione circa la natura del manufatto operata dalla Corte territoriale la quale, con accertamento in fatto immune da vizi logici, ha ritenuto di qualificare l’intervento de quo quale ampliamento del preesistente capannone in aderenza al quale era stato edificato, come era peraltro facilmente desumibile dalle caratteristiche costruttive e dalle dimensioni.

La natura non pertinenziale dell’edificio rende palese anche l’infondatezza del secondo e terzo motivo di ricorso laddove viene fatto riferimento alla L.R. n. 37 del 1985, art. 5 in quanto, come chiaramente si evince dal testo, riportato in ricorso, la disposizione è applicabile esclusivamente alle opere costituenti pertinenze o impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti.

Il quarto motivo di ricorso contiene riferimenti non pertinenti a due diverse disposizioni di legge.

Da un lato si menziona, infatti, l’accertamento di conformità di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, mentre dall’altro si richiamano le disposizioni in tema di "condono edilizio" di cui alla L. n. 326 del 2003.

Anche in questo caso la Corte territoriale ha correttamente considerato che non risultava documentato l’accoglimento di eventuali istanze di sanatoria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, da ritenersi comunque respinte per il decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione nè, tantomeno, la presentazione di un’istanza di condono edilizio, peraltro non applicabile, nella fattispecie, tanto per il difetto dell’elemento temporale (correttamente individuato dalla Corte d’Appello, contrariamente a quanto affermato in ricorso), quanto per la natura non residenziale dell’intervento edilizio.

Nemmeno risultava maturato il termine massimo di prescrizione del reato come lamentato nel quinto motivo di ricorso.

L’accertamento del reato, lo si evidenzia in rubrica, risale al 2 marzo 2007 e la Corte d’Appello ha rilevato come non risultasse in alcun modo dimostrata ed, anzi, era smentita dalle risultanze probatorie acquisite, una diversa data di costruzione.

Ne consegue che, ad oggi, il termine massimo di prescrizione non risulta ancora spirato.

Anche la infondatezza dell’ultimo motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza.

La natura abusiva delle opere imponeva al giudice del merito, in base a quanto disposto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, di disporne la demolizione se non altrimenti eseguita.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità". (Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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