Cons. Stato Sez. V, Sent., 12-08-2011, n. 4775 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il sig. R. impugnava al TAR per il FriuliVenezia Giulia il provvedimento regionale del 16/6/1997 che lo aveva dichiarato decaduto dal contributo di edilizia convenzionata concessogli con precedente decreto n. 962 del 1994, per inosservanza del vincolo impostogli dallo stesso decreto di risiedere nell’alloggio per il periodo stabilito dalla legge, e che per conseguenza gli aveva ingiunto la restituzione di oltre 76 milioni di lire, con gli accessori.

Il gravame veniva accolto.

Il Tribunale osservava che, mentre la concessione del mutuo all’impresa costruttrice era avvenuta nel 1982, e l’interessato aveva acquistato il proprio alloggio il 29/9/1987 (ma dietro un preliminare del 1981, e dopo esservisi insediato per risiedervi già dal 1983), il decreto di frazionamento era stato tuttavia assunto solo nel 1994, a causa delle lunghe vicende giudiziarie intercorse tra la costruttrice e gli acquirenti.

Ciò posto, il TAR reputava non corretto ammettere che la Regione potesse, semplicemente ritardando -per quanto, magari, giustificatamente- l’adozione del decreto di frazionamento, differire nel tempo il periodo di esigibilità del rispetto del vincolo quinquennale di residenza previsto dall’art. 39 della L.R. n. 75 del 1982. E riteneva che, in concreto, il rapporto contributivo con il ricorrente potesse farsi risalire già al 13/12/1987, data dalla quale la Regione aveva fatto decorrere, con il proprio decreto n. 962/1994, la prima rata del contributo oggetto di concessione. Sicché al momento dell’abbandono dell’alloggio da parte del R., il 14/12/1992, il vincolo quinquennale di residenza poteva ritenersi rispettato.

Avverso la sentenza di accoglimento del ricorso la Regione proponeva il presente appello.

Con il proprio gravame, in estrema sintesi, l’appellante:

reiterava la propria eccezione di omessa tempestiva impugnazione del decreto n. 962/1994, nella parte in cui questo aveva imposto il vincolo in questione (allora, tra l’altro, ancora di durata decennale) con decorrenza dalla data dello stesso provvedimento;

– insisteva per la legittimità dell’avversato provvedimento di decadenza, ricordando che la lettera dell’art. 39 della L.R. n. 75/1982 àncora alla data del provvedimento di liquidazione definitiva del contributo il dies a quo della durata del vincolo di residenza, e correla rigidamente all’inosservanza dello stesso vincolo la misura decadenziale.

Si costituiva in giudizio in resistenza al gravame il R., che controdeduceva alle tesi dell’appellante e riproponeva i motivi del proprio ricorso di primo grado rimasti assorbiti.

Alla pubblica udienza del 22 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è infondato.

1 Con il primo mezzo la Regione Friuli Venezia Giulia ripropone la propria eccezione riguardante l’omessa impugnativa, da parte del R., del decreto n. 962/1994, nella parte in cui questo (con il suo art. 6) espressamente poneva a suo carico l’obbligo di "risiedere ed occupare l’alloggio… per non meno di un decennio dalla data del presente provvedimento", senza poterlo locare né vendere "per lo stesso periodo", con la comminatoria della decadenza dal contributo per il caso di inosservanza.

Il motivo è infondato.

Secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico, ai fini dell’individuazione degli atti che debbano ritenersi investiti da un ricorso giurisdizionale amministrativo non si può procedere ad una lettura puramente letterale e formalistica dell’atto di impugnazione, ma occorre farne, semmai, un esame sistematico e sostanziale (cfr., tra le tante, C.d.S., IV, 9 giugno 1981 n. 465; VI, 5 gennaio 2001 n. 25). Ciò premesso, non pare possa seriamente dubitarsi del fatto che il nucleo centrale del ricorso di primo grado a suo tempo esperito dal R. fosse diretto proprio a contestare la data di decorrenza iniziale del vincolo di residenza. Basta all’uopo ricordare come nella pagina 5 di tale atto, al 5° rigo del "DIRITTO", si leggesse la seguente, inequivocabile proposizione: "La questione fondamentale posta nel presente ricorso riguarda, principalmente, l’individuazione del termine di decorrenza degli obblighi previsti dall’art. 39 L. n. 75/82 e successive modificazioni." Da qui la ineluttabile deduzione che nel fuoco della relativa impugnazione dovesse ritenersi incluso anche il decreto del 1994, che proprio su tale questione aveva assunto la posizione che il ricorso di prime cure era inteso appunto a criticare.

Né potrebbe ritenersi che avverso tale provvedimento si sarebbe imposto un ricorso immediato, e sarebbe quindi tardiva la sua impugnativa (solo) in occasione della contestazione del successivo provvedimento decadenziale.

E’ infatti dirimente la considerazione che il R., allorquando ebbe cognizione del decreto, aveva già abbandonato – e ormai venduto – da più di due anni l’alloggio. Ne consegue che l’imposizione del predetto obbligo di residenza, che egli versava ormai nell’impossibilità di adempiere, non poteva per lui reputarsi fonte di alcuna lesione immediata (neppure sotto il profilo di una ipotetica limitazione di una libertà di cui il R. aveva invece già appieno goduto). L’unica conseguenza dell’atto, sotto questo profilo, era quella, solo prospettica, di esporlo ad una futura misura decadenziale, come poi è avvenuto.

L’attuale appellato non è dunque incorso all’epoca in alcuna decadenza o acquiescenza.

2 Nel merito, è il caso di rilevare subito come sulla centrale questione dell’individuazione del termine di decorrenza degli obblighi previsti dall’art. 39 L.R. n. 75/82 la sentenza appellata meriti conferma.

La Regione fa leva, come già in primo grado, sul dato testuale offerto dall’art. 39 L.R. cit., che fa decorrere il termine iniziale del periodo di durata del vincolo di residenza "dalla data del provvedimento di liquidazione definitiva del contributo". Ed in forza di tale dato, che integra, viene sottolineato, l’unica puntuale disposizione regolante la materia, critica la valutazione del TAR per cui il rapporto contributivo con il ricorrente avrebbe dovuto farsi risalire, in concreto, già al 13/12/1987, data da cui la Regione aveva fatto decorrere, con il proprio decreto n. 962/1994, la prima rata del contributo oggetto di concessione (onde al momento dell’abbandono dell’alloggio da parte del R., il 14/12/1992, il vincolo quinquennale di residenza poteva ritenersi rispettato).

La Regione insiste, in particolare, sul fatto che la "liquidazione definitiva del contributo" ai singoli acquirenti avviene solo con l’adozione del decreto di frazionamento.

Ad avviso della Sezione, tuttavia, proprio quelle stesse ragioni di logica e di equità che avevano indotto la Regione, all’atto in cui operava il frazionamento del contributo in capo agli acquirenti e la sua liquidazione, a fissare retroattivamente la decorrenza del contributo per ciascun beneficiario dalla data successiva a quella dello stipulato contratto, "per non ulteriormente penalizzare i soggetti acquirenti e sussistendo una obiettiva causa giustificativa" (la protratta vertenza giudiziale: pag. 6 appello), esigevano che si fissasse alla stessa data anche il dies a quo del vincolo sul quale si controverte.

Merita, invero, di essere rimarcata l’abnormità della presente vicenda, ben a ragione sottolineata dal T.A.R., contrassegnata da un macroscopico ritardo -riconosciuto, per quanto anche giustificato, dalla stessa Regione- nella liquidazione finale del contributo: l’interessato, dopo la stipula del contratto preliminare del 1981, aveva iniziato a risiedere nell’immobile già dal 1983 e lo aveva definitivamente acquistato il 29/9/1987, la concessione del mutuo all’impresa costruttrice era avvenuta già nel 1982, e tuttavia il decreto di frazionamento era stato emesso solo nel 1994.

E’ poi appena il caso di osservare che nel sistema disegnato dalla L.R. n. 75/1982 il vincolo di residenza è destinato a connotare la prima fase del rapporto contributivo, nell’ambito del quale esso ha la funzione di naturale contrappeso della relativa concessione, laddove la lettura patrocinata dalla Regione porterebbe all’assurdo che, ove la stessa Amministrazione ritardi il decreto di frazionamento, il periodo di esigibilità del rispetto del vincolo di residenza previsto dall’art. 39 della L.R. n. 75/1982 potrebbe finire differito nel tempo senza limiti, e così nei fatti dilatate a dismisura la durata pratica del vincolo e la limitazione della libertà del beneficiario, nonché, medio tempore, la situazione di incertezza esistente a suo carico.

Risulta infine per tabulas che il R. abbia mantenuto nell’alloggio in discorso la propria residenza, ininterrottamente, dal 10 giugno 1983 al 14 dicembre 1992, vale a dire per un periodo ben superiore al quinquennio (tempo decorso anche ove il relativo computo si faccia partire solo dalla data di stipula del contratto definitivo di acquisto). Sicché la ratio che sta a base dell’art 39 della LR n. 75/1982 nella sua nuova durata quinquennale può reputarsi soddisfatta (pur con le precisazioni che si faranno infra, al paragr. 4), così come l’interesse pubblico ad essa sotteso.

3 Una volta confermata, attraverso gli argomenti che precedono, la decorrenza già dal 13/12/1987 del vincolo di residenza gravante sul R., non vi è luogo ad occuparsi delle critiche svolte dall’appellante all’ulteriore argomento speso nella sentenza in epigrafe, ma chiaramente solo rafforzativo ed in concreto ininfluente, per cui nella vicenda la Regione avrebbe potuto e dovuto provvedere ad un anticipato frazionamento separato per il R..

Né mette conto intrattenersi sulle critiche riguardanti il confliggere della sentenza appellata con precedenti resi dallo stesso Tribunale in senso opposto su casi asseritamente simili. Tali precedenti, che integrerebbero una "costante giurisprudenza del T.A.R." di cui si lamenta l’ "ingiustificatodisattendimento", sono evidentemente irrilevanti in questa sede, dove assume significato unicamente la ricerca dell’interpretazione più corretta del dato normativo.

4 Opportunamente, peraltro, la difesa regionale ha attirato l’attenzione sul fatto che il vincolo di residenza fosse stato imposto all’interessato, giusta la disciplina allora vigente, per una durata decennale (pagg. 6 e 18 dell’appello), e sul fatto che la stessa durata sia stata ridotta ad un quinquennio soltanto con la L.R. n. 31/1995, e quindi largamente dopo l’abbandono da parte sua dell’alloggio (14/12/1992), evento verificatosi, quindi, quando il vincolo era ancora operante, siccome di durata appunto decennale. Tutto ciò impone allora alla Sezione di puntualizzare, vieppiù per il silenzio in proposito della sentenza del primo giudice, le conseguenze dell’illegittimità della misura decadenziale, anche per evitare indebite interpretazioni delle considerazioni che sono state appena svolte nel precedente paragr. 2.

A questo riguardo è il caso di precisare che la durata del vincolo in discorso era già stata abbassata da dieci a cinque anni dall’art. 15 della L.R. n. 37/1988: ma questo, secondo quanto disposto dall’art. 57 della stessa legge, valeva unicamente per le domande di contributo successive alla data di entrata in vigore della medesima fonte. Le domande antecedenti, tra cui quella del R., restavano quindi soggette alla regola della durata decennale. E questo fino, appunto, all’avvento della L.R. n. 31/1995, che all’art. 23 ha stabilito innovativamente quanto segue:

– al comma 1, che "Per le domande presentate prima dell’ entrata in vigore della legge regionale n. 37/1988, per le quali non sia stato applicato il disposto del comma 2 dell’ articolo 57 della stessa legge regionale n. 37/ 1988, il vincolo posto ai beneficiari di residenza, occupazione, non locazione o sublocazione e di non alienazione degli alloggi oggetto di contributo di edilizia convenzionata o agevolata per dieci anni dalla data del provvedimento di liquidazione definitiva del contributo è ridotto di anni cinque";

– ai commi 3, 3bis e 3 ter, rispettivamente:

"3. Dopo la decorrenza dei cinque anni, il trasferimento di residenza, la mancata occupazione, la locazione o sublocazione dell’ alloggio oggetto di contributo comportano la revoca del contributo stesso, limitatamente alle quote non più spettanti, ovvero l’ anticipata estinzione dell’ anticipazione."

"3 bis. La revoca di cui al comma 3 è disposta anche a seguito di trasferimento di residenza, mancata occupazione, locazione o sublocazione ed alienazione dell’alloggio oggetto di contributo intervenuti prima dell’entrata in vigore della presente legge."

"3 ter. Al fine di garantire uniformità di trattamento nei confronti dei beneficiari titolari di rapporto contributivo di cui al comma 1 alla data di entrata in vigore della presente legge, i provvedimenti di decadenza disposti a seguito di trasferimento di residenza, mancata occupazione, locazione o sublocazione ed alienazione dell’alloggio oggetto di contributo intervenute dopo il periodo vincolato di un quinquennio non comportano la restituzione delle quote di contributo percepite."

Con queste norme, pertanto, il legislatore regionale non si è limitato semplicemente a ridurre ad un quinquennio la durata del vincolo anche per i procedimenti ante L.R. n. 37/1988, ma ha altresì puntualizzato, contestualmente, che il trasferimento di residenza che avvenga dopo solo un quinquennio, pur non dando luogo a decadenza con effetti retroattivi, non è privo di qualsiasi conseguenza, comportando, infatti, pur sempre "la revoca del contributo stesso, limitatamente alle quote non più spettanti" (comma 3), e dunque con effetti ex nunc; e questa nuova disciplina vale anche per le fattispecie verificatesi "prima dell’entrata in vigore della presente legge" (comma 3 bis), ancorché già colpite da misura decadenziale (comma 3 ter). Con il che è stata conferita un’operatività inequivocabilmente retroattiva alle nuove regole, accordando una forma di sanatoria per il passato che si rende perciò applicabile anche al R. (ma, naturalmente, nei termini e limiti in cui è stata formulata).

5 Per completezza, infine, si passano in rassegna le doglianze residue dell’originario ricorso, assorbite dal primo giudice ma riproposte in questa sede con l’ausilio di memoria.

L’interessato ha ricordato di avere a suo tempo giustificato l’abbandono dell’alloggio, mediante la sua lettera del 27 febbraio del 1997 alla Regione nell’ambito del procedimento di revoca, con le necessità di salute della propria moglie.

Richiamata la circostanza, egli ha lamentato che l’Amministrazione non abbia valutato tale aspetto e autorizzato in sanatoria il suo trasferimento, riconoscendo nell’elemento allegato la sussistenza dei "gravi motivi" (rectius, "comprovati") previsti dal comma 2 dell’art. 23 della L.R. n. 31/1995 (così riformulato l’erroneo richiamo di parte all’art. 39 L.R. n. 75/1982).

E’ però facile obiettare, al riguardo, che la norma testé menzionata non delinea la possibilità di un intervento autorizzatorio postumo a sanatoria, ma prevede, al contrario, un’autorizzazione, necessariamente "in via preventiva", a derogare agli obblighi ordinari, "entro il periodo vincolato di cinque anni".

Di contro, l’interessato ha presentato le "giustificazioni" di cui si tratta solo con lettera del 27 febbraio 1997, a quasi cinque anni di distanza dall’intervenuto abbandono dell’alloggio, per giunta allegando un principio di documentazione di supporto ancora più tardi, e cioè soltanto in fase di contenzioso.

Da qui la mancanza dei presupposti per poter ottenere la cennata autorizzazione.

Le circostanze appena esposte escludono anche che l’interessato abbia titolo ad invocare il comma 3, ultimo periodo, dell’art. 39 della L.R. n. 75/1982 (come integrato dalla L.R. n. 31/1995), che prevede l’ipotesi che l’inosservanza degli obblighi in discussione sia ascrivibile a "motivi di salutedebitamente certificati" e direttamente connessi al permanere nell’alloggio, anch’essi, però, logicamente, da rappresentare e documentare a tempo debito.

Non senza aggiungere, infine, che, poiché questa previsione legislativa accorda, a fronte di tale ultima ipotesi, semplicemente il beneficio della "revoca del contributo stesso al momento del verificarsi dell’inosservanza, limitatamente alle quote di contributo non ancora percepite", l’attuale appellato non ha alcun concreto interesse ad invocare l’applicazione della disposizione, dalla quale non trarrebbe alcun vantaggio ulteriore rispetto a quanto si è già visto spettargli.

6 In conclusione, con le precisazioni svolte al paragr. 4 l’appello può essere respinto.

Le spese processuali di questo grado possono essere equitativamente compensate tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Compensa le spese del secondo grado di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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