T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 12-08-2011, n. 1361 Sospensione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. La C. Srl ha acquistato dalla G.I. Srl, con atto di compravendita del 17 giugno 2010 rogato dal Notaio Dott.ssa Lucia Tiralosi, un complesso immobiliare sito in Favaro Veneto, via Cà Colombare e Via Claudia, ceduto unitamente ai diritti edificatori, progetti, convenzioni e titoli abilitativi allo stesso riferiti.

B. Occorre premettere, infatti, che con deliberazione del Consiglio Comunale di Venezia n. 116 del 15 ottobre 2001, è stato approvato il piano di lottizzazione di iniziativa privata "C2RS n.47" e, in data 5 marzo 2002, la G.I. Srl e l’amministrazione comunale hanno sottoscritto la relativa convenzione. Il Piano di lottizzazione, peraltro, è stato confermato anche con la variante al PRG per la Terraferma, approvata con deliberazione della Giunta Regionale del Veneto n.3905 del 3 dicembre 2004.

C. A seguito della domanda presentata dalla suddetta società, il Consiglio Comunale di Venezia ha approvato, con deliberazione n. 138 del 24 novembre 2008, una variante al piano attuativo, necessaria per integrare gli elementi edificatori ed i relativi standard urbanistici, unitamente agli elaborati ad essa allegati, tra i quali anche un progetto a scala edilizia degli edifici (scala 1:2000) e, successivamente, in data 29 aprile 2009, è stata sottoscritta un’ulteriore convenzione di lottizzazione, integrativa della precedente.

D. La G.I. Srl ha, dunque, presentato, il 16 giugno 2009, una D.I.A. per l’edificazione di un immobile ad uso residenziale per complessivi cinque alloggi.

E. Il 12 luglio 2010, a seguito della stipulazione del suddetto contratto di compravendita, la G.I. Srl ha comunicato all’amministrazione comunale il trasferimento alla C. Srl del prefato titolo edilizio.

F. La C. Srl ha, quindi, presentato, in data 28 luglio 2010, una DIA avente ad oggetto un ampliamento nei limiti del 30% dell’immobile oggetto della precedente DIA, ai sensi delle disposizioni contenute nella l.r. n. 14 del 2009.

G. Con provvedimento prot. n. 358238 del 16 agosto 2010, l’amministrazione comunale ha esercitato il potere inibitorio di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001, diffidando la C. Srl dall’inizio dei lavori oggetto della DIA presentata il 28 luglio 2010 in quanto: "la Dia risulta presentata ai sensi della L.R. 14/2009 (piano casa), per ampliamento del 30% di edificio residenziale per 5 unità di cui alla DIA 2009/256754 del 16/06/2009; tale DIA risulta quindi presentata prima della L.R. 14/2009 – 8 luglio, entrata in vigore il giorno 11 luglio 2009 (giorno successivo alla pubblicazione sul BUR n.56 del 10 luglio 2009); l’art. 9, comma 6 della legge specifica che "l’istanza intesa ad ottenere il titolo abilitativo per gli ampliamenti di cui all’art.2 riguarda anche i fabbricati il cui progetto o richiesta del titolo abilitativo edilizio siano stati presentati al Comune entro il 31 marzo 2009"; per quanto sopra, l’edificio di cui alla DIA 2009/256754 presentata il 16/06/2009 non rientra nella fattispecie espressamente prevista dal succitato art. 9, comma 6 e pertanto la presente DIA per ampliamento ai sensi della legge regionale stessa risulta improcedibile".

H. A seguito di sopralluogo eseguito in data 11 ottobre 2010, l’amministrazione comunale ha accertato, peraltro, che, in violazione del suddetto provvedimento, la società aveva comunque dato corso all’esecuzione dei lavori.

I. Il provvedimento inibitorio è stato impugnato dalla C. Srl con il ricorso introduttivo del presente giudizio.

L. Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione degli artt. 23, 38 e 39 del D.P.R. n. 380 del 2001, nonché censurato il vizio di eccesso di potere per erroneità di presupposto, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e carenza di potere, avendo l’amministrazione notificato il provvedimento impugnato oltre il termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della DIA.

Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dei principi desumibili dall’art. 97 Cost. e dagli artt. 1 e 3 della l. n. 241 del 1990, degli artt. 7, 8, 9 e 21 nonies della l. n. 241 del 1990, nonché censurato il vizio di eccesso di potere sotto il profilo della violazione del giusto procedimento, del legittimo affidamento, della ragionevolezza, per illogicità manifesta e carenza di motivazione. La difesa di parte ricorrente, nello specifico, evidenzia che, a seguito della presentazione della DIA, l’amministrazione comunale, rilevata la carenza delle condizioni stabilite, avrebbe dovuto notificare all’interessato l’ordine motivato di non effettuare i lavori entro il termine perentorio previsto ovvero agire in autotutela dopo un tempo ragionevole dall’avvio dell’attività. Viene, inoltre, lamentata la carenza di motivazione del provvedimento gravato, privo di qualsiasi comparazione tra gli interessi pubblici e privati coinvolti.

Il terzo motivo di ricorso si appunta sulla violazione degli artt. 4, 5 e 6 della l. n. 241 del 1990 e sul vizio di eccesso di potere per sviamento, incompetenza e difetto di motivazione, essendo stato il provvedimento adottato dal dirigente dello Sportello per l’Edilizia Terraferma e non dal responsabile dell’istruttoria del procedimento, al quale, comunque, la pratica avrebbe dovuto essere trasmessa in vista dell’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela al fine di verificare, in concreto, le conseguenze sul territorio determinate dall’attività edilizia.

Con il quarto motivo di ricorso è stata censurata la violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 e la violazione del principio del contraddittorio, a motivo della omessa comunicazione dell’intenzione di adottare il provvedimento inibitorio.

Con il quinto motivo di ricorso è stata dedotta la violazione degli artt. 2 e 9 della l.r. n. 14 del 2009, nonché censurato il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità di presupposto e carenza di motivazione, in quanto, in forza delle previsioni contenute nell’art. 9, comma 6 della legge regionale sopra citata, ai fini dell’applicazione della disciplina dettata da tale testo normativo, assume rilievo la sola circostanza che i progetti siano stati presentati entro la data del 31 marzo 2009. La difesa di parte ricorrente sottolinea, infatti, che l’intervento di ampliamento oggetto della DIA presentata il 28 luglio 2010 si riferisce ad un progetto presentato prima del 31 marzo 2009 e, cioè, con la DIA del 16 giugno 2009, conformemente agli elaborati approvati dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 138 del 24 novembre 2008.

In via subordinata, la difesa di parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 6 della l. r. n. 14 del 2009 in relazione all’art. 3 della Costituzione in quanto, ove si aderisse all’interpretazione avallata dall’amministrazione comunale – volta a delimitare l’ambito oggettivo di applicazione delle previsioni in argomento ai soli fabbricati il cui progetto o richiesta di titolo abilitativo siano stati presentati entro il 31 marzo 2009 – ne deriverebbe un’immotivata esclusione di tutti quei progetti presentati tra il 1° aprile 2009 ed il 10 luglio 2009 (giorno immediatamente precedente a quello di entrata in vigore della legge regionale).

Oltre alla domanda di annullamento la difesa della ricorrente ha anche agito per il risarcimento del danno subito a seguito dell’adozione del provvedimento gravato, costituito dalla diminuzione del valore dell’edificio, dal costi correlati all’interruzione dei lavori, dal maggior onere che dovrà essere affrontato per il completamento dell’intervento. Tale danno viene quantificato in euro 111.000,00 sulla base di una perizia tecnica redatta dall’arch. Ilario Polo e, comunque, ai fini della determinazione del quantum, la difesa di parte ricorrente ha richiesto che venga disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

M Successivamente, in data 8 novembre 2010, l’amministrazione comunale, accertato che già prima della notificazione del ricorso introduttivo del presente giudizio la ricorrente stava proseguendo l’esecuzione dell’intervento edilizio, ha ordinato, ai sensi dell’art. 27, comma 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, l’immediata sospensione dei lavori.

N. Con ordinanza n.787/10 del 17 novembre 2010 questa Sezione ha accolto la domanda cautelare, sospendendo l’esecuzione del provvedimento gravato, a motivo della valutata sussistenza, ad un sommario esame, di un apprezzabile fumus, con esclusivo riferimento alle censure dirette a contestare l’avvenuta notificazione del provvedimento oltre il termine perentorio prescritto.

O. La suddetta ordinanza di sospensione dei lavori dell’8 novembre 2010 è stata impugnata con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 27 gennaio 2011, con il quale è stato dedotto il vizio di illegittimità derivata dal provvedimento gravato con il ricorso introduttivo ed ulteriori censure autonomamente riferite all’ordinanza di sospensione.

P. Con il primo motivo di ricorso è stata lamentata la violazione del principio di buon andamento della P.A., dell’art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza cautelare n. 797/2010, nonché censurato il vizio di eccesso di potere per sviamento, difetto di motivazione e difetto di presupposto, a motivo della notificazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori successivamente all’adozione dell’ordinanza cautelare che ha disposto la sospensione degli effetti del provvedimento inibitorio gravato con il ricorso introduttivo.

Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione dell’art. 112 del d. lgs. n. 104 del 2010, dell’art. 21 septies della l. n. 241 del 1990 e dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza cautelare n. 797/2010, avendo l’amministrazione adottato il provvedimento in evidente contrasto con una pronuncia immediatamente esecutiva.

Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione dell’art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001 e censurato il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, avendo l’amministrazione omesso ogni indicazione in merito alle difformità rilevate.

Con il quarto motivo di ricorso è stata censurata la violazione degli artt. 7 e 8 della l. n. 241 del 1990 e dedotto il vizio di eccesso di potere per difetto di contraddittorio, a motivo dell’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

La difesa della ricorrente ha anche richiesto il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’adozione del provvedimento gravato, con riserva di quantificazione e, comunque, richiedendo, a tal fine, che venga disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

Q. Con provvedimento del 7 dicembre 2010, l’amministrazione comunale, conformandosi all’ordinanza cautelare di questo Tribunale n. 787/2010, ha annullato in autotutela il provvedimento di diffida del 16 agosto 2010, comunicando, contestualmente, l’avvio del procedimento per l’annullamento d’ufficio degli effetti tacitamente assentiti di cui alla DIA presentata il 28 luglio 2010.

R. Successivamente, in data 7 gennaio 2011, il Comune di Venezia ha annullato, ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, gli effetti della suddetta DIA.

S. Tale provvedimento è stato impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti, unitamente all’atto del 7 novembre 2010 con il quale, come sopra esposto, è stato, tra l’altro, comunicato l’avvio del procedimento di annullamento in autotutela.

T. La difesa di parte ricorrente ha dedotto, oltre alle censure di illegittimità derivata proposte con il ricorso introduttivo, i seguenti motivi di ricorso.

U. Con il primo motivo di ricorso è stata censurata la violazione dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, degli artt. 2 e 9 della l.r. n. 14 del 2009, dell’ordinanza cautelare del T.A.R. Veneto n. 787/2010, nonché dedotto il vizio di eccesso di potere per difetto di presupposto e di motivazione. Nello specifico, la difesa di parte ricorrente sostiene che l’intervento oggetto della DIA presentata il 28 luglio del 2010 sia pienamente conforme alle previsioni di cui all’art. 9 della l.r. n. 14 del 2009, che consente l’ampliamento anche ai progetti presentati entro la data del 31 marzo 2009. Viene inoltre sostenuto che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto recepire le statuizioni contenute nell’ordinanza cautelare di questo Tribunale sopra citata e, comunque, adeguatamente motivare in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto di poterne prescindere. Viene contestata, altresì, la carenza di motivazione del provvedimento di annullamento d’ufficio gravato in quanto non considera, né adeguatamente indica, l’interesse pubblico alla base della determinazione assunta.

Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione degli artt. 21 nonies e 21 septies della l. n. 241 del 1990, dell’ordinanza cautelare di questo Tribunale n. 787/2010 e dell’art. 112 del d. lgs. n. 104 del 2010, nonché censurato il vizio di eccesso di potere, a motivo di una asserita violazione delle statuizioni contenute nella citata ordinanza cautelare.

Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, in considerazione dell’inadeguatezza del substrato motivazionale alla base del provvedimento di annullamento d’ufficio.

Unitamente alla domanda di annullamento la difesa della ricorrente ha proposto anche la domanda risarcitoria, con riserva di quantificazione del danno e ha, comunque, richiesto, a tal fine, che venga disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

V. Il Comune di Venezia si è costituito in giudizio per resistere al gravame, concludendo per la reiezione del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti in quanto inammissibili, irricevibili e comunque infondati.

Z. All’udienza del 19 maggio 2011 i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il Collegio deve, preliminarmente, esaminare l’eccezione di improcedibilità del ricorso introduttivo sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale, in considerazione dell’annullamento d’ufficio, in data 7 dicembre 2010, del provvedimento inibitorio gravato.

1.1 Parte resistente, infatti, sottolinea che l’amministrazione comunale si è determinata all’adozione del provvedimento in autotutela a seguito dell’ordinanza cautelare di questo Tribunale n.787/2010 che ha evidenziato la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso con esclusivo riferimento alla violazione dell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui prescrive per la notificazione del provvedimento inibitorio il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della DIA. Viene evidenziato, inoltre, che l’amministrazione non si è limitata ad adeguarsi alla decisione cautelare con la quale è stata disposta la sospensione degli effetti del provvedimento gravato ma ha ritenuto di assumere specifici provvedimenti, rideterminandosi sulla vicenda a seguito dell’annullamento in autotutela del provvedimento inibitorio e del contestuale dell’avvio del procedimento per l’annullamento d’ufficio degli effetti tacitamente assentiti di cui alla DIA presentata il 28 luglio 2010. Ciò con il conseguente venir meno dell’interesse ad ottenere una pronuncia di annullamento di un provvedimento già annullato d’ufficio ed integralmente sostituito da un altro, comunque sfavorevole, che ha determinato un nuovo assetto degli interessi in gioco, tale da rendere priva di qualsivoglia utilità una eventuale decisione giurisdizionale.

1.2 Il Collegio sottolinea che, come correttamente rilevato dalla difesa di parte ricorrente, unitamente all’azione di annullamento la C. Srl ha proposto anche la domanda per il risarcimento dei danni asseritamente subiti in conseguenza dell’adozione del provvedimento gravato.

Sebbene, dunque, la domanda di annullamento sia divenuta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a seguito dell’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio dell’atto gravato e della successiva adozione del provvedimento di annullamento in autotutela degli effetti tacitamente assentiti di cui alla DIA presentata il 28 luglio 2010, è necessario, comunque, procedere all’esame della domanda risarcitoria la quale, infatti, presenta una propria autonomia rispetto al rimedio impugnatorio.

Ciò, peraltro, trova espressa conferma nella previsione contenuta nell’art. 34, comma III c.p.a., ai sensi del quale ove "nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori".

2. Il Collegio deve, dunque, procedere all’analisi della domanda risarcitoria proposta dalla difesa della ricorrente in relazione ai danni asseritamente subiti a seguito dell’adozione del provvedimento gravato, individuati nella diminuzione del valore dell’edificio, nei costi correlati all’interruzione dei lavori, nel maggior onere che dovrà essere affrontato per il completamento dell’intervento. Tali danni vengono quantificati in euro 111.000,00 sulla base di una perizia tecnica redatta dall’arch. Ilario Polo e, comunque, ai fini della determinazione del quantum, la difesa di parte ricorrente ha richiesto che venga disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

2.1. La domanda risarcitoria è infondata.

2.2. Nella fattispecie oggetto di giudizio emerge, invero, l’ illegittimità del provvedimento gravato in quanto, ai sensi dell’art. 23 commi 5 e 6 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il provvedimento inibitorio dell’attività edilizia oggetto della DIA avrebbe dovuto essere non solo adottato ma anche notificato entro termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della denuncia medesima (cfr., T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 27 giugno 2005, n.8707). Nella specie la DIA è stata presentata il 28 luglio 2010 mentre il provvedimento ostativo è stato notificato il 2 settembre 2010.

2.3 L’illegittimità del provvedimento costituisce, tuttavia, solo uno dei presupposti per accedere alla tutela risarcitoria, essendo necessaria, infatti, la sussistenza di tutti gli altri elementi ai quali il risarcimento è subordinato, e, in primis, del danno.

2.4. La difesa della ricorrente non ha fornito alcuna prova idonea a dimostrare l’esistenza del danno, considerando, peraltro, che il provvedimento gravato è stato notificato, come sopra evidenziato, il 2 settembre 2010 e la sua efficacia è stata sospesa con l’ordinanza cautelare di questo Tribunale n.787/2010 il successivo 17 novembre. Emerge per tabulas, inoltre, che nonostante l’adozione del provvedimento inibitorio la ricorrente non ha affatto interrotto l’esecuzione dei lavori; in occasione del sopralluogo eseguito dal funzionario dell’ufficio tecnico comunale in data 11 ottobre 2010, infatti, è stata rilevata la sussistenza di lavori in corso, segnatamente riferiti all’armamento del solaio superiore del secondo piano (all. 4 delle produzioni documentali di parte resistente). Si evidenzia, altresì, che, come correttamente rilevato dalla difesa dell’amministrazione comunale, il provvedimento inibitorio non ha precluso la prosecuzione dei lavori oggetto della DIA del 16 settembre 2009, dovendosi, dunque, escludere un danno connesso agli asseriti maggiori costi conseguenti alla chiusura e riapertura del cantiere, chiusura che non solo non è stata provata ma è esclusa dalle considerazioni che precedono.

Né a tale carenza probatoria può supplire la richiesta di consulenza tecnica di ufficio, che, come noto, ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche non possedute, ma non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste; fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova posti dall’art. 2697 c.c..

3. Il Collegio deve, a questo punto, esaminare il primo ricorso per motivi aggiunti, con il quale è stato impugnato il provvedimento dell’8 novembre 2010 che ha ingiunto alla ricorrente la sospensione dei lavori illegittimamente intrapresi in forza della DIA del 28 luglio 2010.

3.1. Anche a prescindere dalle altre eccezioni sollevate dalla difesa dell’amministrazione comunale, la domanda di annullamento è divenuta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

3.2 Si evidenzia, infatti, che il provvedimento di sospensione è stato adottato in data 8 novembre 2010 ai sensi dell’art. 27, comma 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, sicché quand’anche si considerasse il termine di efficacia di sessanta giorni previsto dall’art. 90 della l.r. n. 61 del 1985, il provvedimento è ormai privo dell’idoneità a dispiegare effetti.

3.3 Il Collegio evidenzia, nondimeno, che la C. Srl ha proposto con il ricorso per motivi aggiunti anche la domanda per il risarcimento dei danni asseritamente subiti a seguito dell’adozione del provvedimento gravato, con la conseguenza che, per le argomentazioni esposte dal capo 1, sub 2 della presente pronuncia, alle quali si rinvia, il Collegio è tenuto a pronunciarsi su tale domanda.

3.4. La domanda risarcitoria è infondata.

3.5. Sebbene, infatti, l’illegittimità del provvedimento gravato discenda, in via derivata, da quella del provvedimento inibitorio (sul punto si rimanda alle considerazioni svolte al capo 2, sub 2 della presente pronuncia), assumendo a proprio presupposto l’esecuzione di opere asseritamente abusive in quanto in corso di realizzazione in assenza del necessario titolo edilizio – oggetto, appunto, del provvedimento inibitorio gravato con il ricorso introduttivo – tale elemento non è di per sé sufficiente all’accoglimento della domanda risarcitoria.

3.6 La difesa di parte ricorrente, infatti, si è limitata a generiche affermazioni e non ha fornito alcun elemento idoneo a comprovare la sussistenza di un danno subito in conseguenza dell’adozione del provvedimento gravato, avente natura eminentemente cautelare ed un’efficacia temporalmente limitata, in specie considerando che, a seguito dell’ordinanza cautelare di questo Tribunale n.787/2010 la società ricorrente è, comunque, riuscita a realizzare parte delle opere (circostanza, questa, che non è in contestazione, in quanto ammessa dalla stessa difesa di parte ricorrente a pag. 18, penultimo capoverso del secondo ricorso per motivi aggiunti depositato in data 15 marzo 2011).

4. Quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti il Collegio, preliminarmente, ne rileva l’inammissibilità nella parte in cui viene impugnata la comunicazione di avvio del procedimento, pacificamente ritenuta dalla giurisprudenza amministrativa atto endoprocedimentale privo di potenzialità lesiva per il destinatario (sul punto, ex plurimis, TAR Lazio – Roma, Sez. I, 3 febbraio 2011, n. 1019).

4.1. Con tale ricorso parte ricorrente ha impugnato il provvedimento del 7 gennaio 2011 con il quale l’amministrazione comunale ha annullato in autotutela gli effetti tacitamente assentiti della DIA presentata il 28 luglio 2010, deducendo sia le medesime censure proposte con il ricorso introduttivo avverso il provvedimento inibitorio – avendo l’amministrazione sostanzialmente riprodotto la medesima motivazione già posta alla base di tale provvedimento e riferita ai limiti di applicazione stabiliti dall’art. 9, comma 6 della l.r. n. 14 del 2009 – sia censure autonome.

4.2 Il Collegio ritiene prioritario ed assorbente l’esame della censura con la quale è stata dedotta la violazione degli artt. 2 e 9 della l.r. n. 14 del 2009, nonché censurato il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità di presupposto e carenza di motivazione. La difesa della ricorrente sostiene che, in forza delle previsioni contenute nell’art. 9, comma 6 della legge regionale sopra citata, ai fini dell’applicazione della disciplina dettata da tale testo normativo, assume rilievo la sola circostanza che i progetti siano stati presentati entro la data del 31 marzo 2009. Nello specifico, parte ricorrente evidenzia che l’ampliamento richiesto con la DIA del 28 luglio 2010 deve ritenersi ammesso dalla legge regionale in quanto avente ad oggetto un edificio il cui progetto è stato presentato prima del 31 marzo 2010, conformemente alla previsione contenute nell’art. 9, comma 6 sopra citato. Il progetto, infatti, è stato approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 138 del 24 novembre 2008 e successivamente riproposto in sede di presentazione della DIA del 16 giugno 2009.

4.3 La censura è fondata.

4.4. Questa Sezione ha avuto modo di sottolienare che la l.r. n. 14 del 2009 risponde all’esigenza di incentivare il settore l’edilizia e di promuovere gli investimenti privati per il recupero del patrimonio edilizio nel territorio regionale in una congiuntura economica altamente critica. Nella stessa circolare n. 4 del 29 settembre 2009 emanata del Presidente della Giunta Regionale, contenente note esplicative della legge regionale in argomento, si afferma, peraltro, che la l. r. n. 14 del 2009 "non è una legge urbanistica né edilizia – pur avendo contenuti che incidono significativamente sulla disciplina di queste materie – ma è, prima di tutto, una legge economicofinanziaria che mira a promuovere gli investimenti privati" nel settore (sentenza n. 859 del 19 maggio 2011).

A tal fine, è stata introdotta una disciplina in larga misura eccezionale, la cui applicazione è temporalmente limitata; l’art. 9, comma 7, in particolare, prevede che le "istanze relative agli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 4 devono essere presentate entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge ed i relativi interventi, ad esclusione di quelli sulla prima casa di abitazione, non possono iniziare prima del decorso del termine di cui al comma 5 e comunque non prima del rilascio del titolo edilizio ove previsto".

4.5 In tale quadro si colloca la previsione contenuta nell’art. 2 della l.r. n. 14 del 2009 che consente, per le finalità esplicitate nell’art. 1, l’ampliamento degli edifici esistenti entro il limite del 20% della volumetria – con possibilità di un ulteriore incremento del 10% nel caso di utilizzo di tecnologie che prevedano l’uso di fonti di energia rinnovabile con una potenza non interiore a 3 Kwh – "in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali".

4.6 In linea di principio, l’ambito di applicazione della disposizione è limitato agli edifici esistenti, indipendentemente dalla loro destinazione e dalle dimensioni.

Deve, tuttavia, evidenziarsi che il testo definitivo della legge ha previsto una significativa estensione dell’ambito di applicazione di tale previsione.

L’art. 9, comma 6, infatti, dispone che "l’istanza intesa ad ottenere il titolo abilitativo per gli ampliamenti di cui all’art. 2 riguarda anche i fabbricati il cui progetto o richiesta del titolo abilitativo edilizio siano stati presentati entro il 31 marzo 2009".

Il riferimento a tale data non è casuale, dovendosi ricordare che proprio il 31 marzo 2009 è stata raggiunta l’intesa di massima in sede di Conferenza Stato Regioni ed Enti Locali, con la quale le Regioni si sono impegnate ad approvare leggi ispirate ad incentivare interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente entro limiti massimi.

4.7 Ai fini che in questa sede rilevano, il Collegio deve soffermarsi sulla suddetta previsione.

Nella fattispecie oggetto di giudizio, infatti, non è in contestazione la circostanza – comprovata, peraltro, dalla documentazione versata in atti – che il progetto per l’edificazione dell’immobile de quo sia stato approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 138 del 24 novembre 2008 e successivamente riproposto in sede di presentazione della DIA del 16 giugno 2009 e, dunque, prima del 31 marzo 2009, come richiesto alla disposizione in esame, bensì si controverte in ordine all’interpretazione di tale disposizione e, nello specifico, alla sua applicazione anche ai progetti presentati in sede di pianificazione attuativa.

4.8 La difesa dell’amministrazione comunale, infatti, sostiene che il termine "progetto" che figura nella disposizione in esame debba intendersi riferito ai solo progetti edilizi in senso stretto, ossia a quelli presentati unitamente all’istanza per il rilascio del permesso di costruire ovvero sotto forma di DIA, con la conseguenza che la distinzione tra "progetto" e "istanza di titolo abilitativo" operata dalla norma avrebbe una valenza meramente formale, dovendo concludersi per l’equivalenza dei due termini. Viene evidenziato, in particolare, che l’estensione della norma a tutti i progetti presentati in sede di pianificazione attuativa determinerebbe un’illegittima e sproporzionata alterazione delle previsioni urbanistiche in termini di nuova volumetria edificabile, stravolgendo il dimensionamento del PRG in relazione agli abitanti teorici insediabili in rapporto alla relativa quantificazione degli standard. Su tali basi, ed anche considerando che la legge regionale ha attribuito rilievo alla pianificazione attuativa nella sola ipotesi prevista dall’art. 3, comma 3, si afferma che spetta ai Comuni valutare di volta in volta se ed entro quali limiti sia possibile derogare alle previsioni urbanistiche consentendo l’ampliamento.

4.9. Tale ricostruzione non può essere condivisa.

4.9.1. Non emerge dal testo normativo in esame alcun elemento idoneo suffragare l’interpretazione sostenuta dalla difesa dell’amministrazione comunale.

L’art. 9, comma 6 è chiaro nell’affermare l’applicazione delle previsioni contenute nell’art. 2 anche ai progetti presentati entro il 31 marzo 2009, non richiedendo né che i relativi procedimenti siano stati conclusi né che i lavori siano in fase di esecuzione; ciò che rileva è che l’istanza progettuale sia stata presentata.

4.9.2 Né elementi per sostenere l’esclusione dei progetti presentati in sede di pianificazione attuativa possono essere desunti dall’art. 2 del testo legislativo in esame; tale disposizione, infatti, come sopra evidenziato, espressamente consente l’ampliamento in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali e, inoltre, significativamente, non manca di considerare anche l’ampliamento degli edifici composti da più unità immobiliari come pure quello delle case a schiera.

4.9.3 Si osserva, peraltro, che è lo stesso art. 9 a prevedere, al comma 4, che gli interventi di cui agli artt. 2, 3 e 4 sono subordinati all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria ovvero al loro adeguamento in ragione del maggior carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie degli edifici esistenti, ad esclusione degli interventi realizzati sulla prima casa di abitazione.

4.9.4 Tale interpretazione risulta, inoltre, pienamente coerente con la ratio sottesa all’intervento legislativo in esame sopra evidenziata e con gli obiettivi esplicitati nell’art. 1, comma 1.

4.9.5 Del tutto non pertinente al fine di sostenere l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 2 dei progetti presentati in sede di pianificazione attuativa è il richiamo all’art. 3, comma 3; tale disposizione, infatti, disciplina gli interventi di sostituzione edilizia degli edifici realizzati anteriormente al 1989, subordinando la possibilità che alla demolizione segua la ricostruzione con ampliamento sino al 50% ad una serie di condizioni, tra le quali, appunto, la predisposizione di un piano attuativo.

4.10 Il Collegio comprende le esigenze rappresentate dalla difesa dell’amministrazione comunale ed osserva che la disciplina in esame non manca, invero, di coniugare il perseguimento degli obiettivi suddetti con la necessità di evitare uno stravolgimento dell’assetto urbanistico esistente come pure con l’esigenza di garantire l’autonomia comunale nell’esercizio delle funzioni connesse alla gestione del territorio.

Il legislatore regionale ha introdotto, infatti, una serie di limitazioni e, inoltre, ad eccezione degli interventi sulle prime case di abitazione – per i quali è prevista l’applicazione immediata della legge – ha rimesso ai Comuni la scelta di introdurre limiti ulteriori all’applicazione della legge in esame sul proprio territorio.

Come sopra esposto, infatti, l’art. 9 della l. r. n. 14 del 2009 detta prescrizioni che, con un adeguato livello di dettaglio, specificano i limiti entro i quali opera il regime straordinario introdotto.

In tale quadro, particolare rilievo assume la disposizione contenuta nell’art. 9, comma 5.

La prima parte della prefata disposizione prevede che: "Fermo restando quanto previsto dai commi 1, 2, 3 e 4, i Comuni entro il termine del 30 ottobre 2009 deliberano, sulla base di specifiche valutazioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico ed ambientale, se o con quali ulteriori limiti e modalità applicare la normativa di cui agli articoli 2, 3 e 4". E’ previsto, inoltre, che decorso "inutilmente tale termine la Giunta regionale, entro i successivi quindici giorni, nomina un commissario ad acta con il compito di convocare, entro e non oltre dieci giorni, il consiglio comunale ai fini dell’eventuale adozione del provvedimento".

Con tale disposizione, dunque, il legislatore regionale ha inteso assicurare – come, peraltro, chiarito anche stessa circolare n. 4 del 29 settembre 2009, sopra richiamata – una manifestazione di volontà esplicita da parte Comune in merito all’applicabilità o meno delle misure straordinarie previste dalla legge regionale.

Il Comune, infatti, sulla base di specifiche valutazioni – che l’amministrazione è certamente tenuta ad esplicitare nella motivazione della deliberazione – può escludere in tutto o in parte l’applicazione della disciplina in argomento oppure modellarne l’applicazione.

La disposizione sopra richiamata, inoltre, prevede che la deliberazione de qua debba essere approvata entro il 30 ottobre 2009; in difetto di tale adempimento, infatti, è prevista la nomina, da parte della Giunta regionale, di un commissario per la convocazione del Consiglio Comunale.

Né dalle deduzioni della difesa dell’amministrazione comunale né dalla documentazione versati in atti emerge che il Comune di Venezia abbia introdotto alcuna limitazione ai sensi dell’art. 9, comma 5, con la conseguenza che in forza delle disposizioni sopra richiamate – che costituiscono un quadro di riferimento certo, stabile e tempestivo, idoneo a consentire agli interessati l’effettuazione degli adempimenti previsti nel termine prescritto – l’intervento in esame deve ritenersi senz’altro ammesso.

Sulla scorta delle predette argomentazioni il ricorso per motivi aggiunti deve, pertanto, essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

In relazione alle ulteriori censure dedotte il Collegio procede ad assorbimento, non potendo derivare alla ricorrente alcuna utilità ulteriore rispetto a quella già conseguita in esito alle considerazioni sopra svolte.

6. Residua da esaminare la domanda risarcitoria proposta dalla difesa di parte ricorrente.

Quest’ultima lamenta, infatti, che il provvedimento di annullamento in autotutela ha determinato dei danni correlati alla diminuzione del valore dell’edificio, dal costo per l’interruzione del cantiere e dal maggior onere che dovrà essere affrontato per completare l’intervento.

La domanda va rigettata.

Anche a prescindere dalla genericità della formulazione, infatti, la difesa di parte ricorrente non ha assolto all’onere sulla stessa gravante di allegazione della prova del danno, dovendosi, peraltro, escludere anche la sussistenza dell’elemento soggettivo, in considerazione delle problematiche interpretative poste dalle disposizioni sopra esaminate.

Tali carenze non possono – come evidenziato al capo 2, sub 4 – essere superate attraverso la richiesta della consulenza tecnica d’ufficio, in quanto mezzo di indagine finalizzato ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, con la conseguenza che non può essere disposta per supplire alle deficienze delle allegazioni probatorie ovvero per compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi di fatto o circostanze non provati.

7. In considerazione della novità delle questioni trattate e delle incertezze interpretative sopra evidenziate, il Collegio ritiene sussistenti giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese e delle competenze di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti in epigrafe indicati:

a) dichiara improcedibili le domande di annullamento proposte con il ricorso introduttivo e con il primo ricorso per motivi aggiunti e rigetta le domande risarcitorie;

b) dichiara in parte inammissibile e per la restante parte fondato il secondo ricorso per motivi aggiunti e rigetta la domanda risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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