T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 12-08-2011, n. 1359Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. G.F. e la madre, T.T., sono comproprietari di un’unità immobiliare sita nel Comune di Orsago, in via Mazzini n. 16 e di un manufatto costruito nell’area di pertinenza dell’edificio ad uso abitativo.

B. In esito ad un sopralluogo eseguito dall’Ufficio tecnico comunale e dal Corpo dei Vigili Urbani in data 29 luglio 2009, è stata accertata la realizzazione di tre opere asseritamente abusive, descritte nel relativo verbale come di seguito riportato:

"A) demolizione di edificio condonato, ricostruzione con ampliamento di annesso urbano in prossimità del confine avente le seguenti dimensioni di pianta; n. 11,70 X 3,74 (…) ed altezza media (…) di 3,13 (…);

B) ampliamento di alloggio di abitazione con le seguenti dimensioni di pianta: ml 4,00 X 2,45 ed altezza media di (….) 3,12 ml;

C) intervento di manutenzione straordinaria presso l’alloggio esistente che ha interessato: pavimenti, rivestimenti murari, soffitti, serramenti ed impianti tecnologici (impianto elettrico, idrotermosanitario) ".

C. Con nota del 29 luglio 2009 l’amministrazione comunale ha comunicato l’avvio del procedimento sanzionatorio e, successivamente, in data 30 luglio 2009, è stata anche adottata l’ordinanza di sospensione dei lavori.

D. In relazione ai suddetti abusi edilizi si è espressa la commissione edilizia nella seduta n.04/09 del 10 agosto 2009, il cui parere è stato comunicato agli interessati con nota del 12 agosto 2009.

E. Tale nota è stata impugnata, unitamente al parere della commissione edilizia ed all’ordinanza di sospensione dei lavori n. 20 del 30 luglio 2009, con il ricorso iscritto al n.2460 del 2009, con il quale sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso:

1) violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto di motivazione, evidenziandosi l’assoluta carenza di un adeguato giustificativo alla base delle valutazioni espresse dalla commissione edilizia;

2) violazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 76 della l.r. n. 61 del 1985, dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto di motivazione ed erroneità di presupposto, in quanto la commissione edilizia non avrebbe adeguatamente valutato la consistenza minimale dell’intervento di ampliamento eseguito a seguito della demolizione e ricostruzione del manufatto accessorio, il quale, peraltro, è da qualificare in termini di mera pertinenza;

3) eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta e violazione dell’art. 33 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 93 della l.r. n. 61 del 1985, in quanto l’intervento di ampliamento indicato alla lettera B) è da qualificare in termini di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 10, lett. c) del D.P.R. n. 380 del 2001 e, non essendo possibile la demolizione senza recare pregiudizio per la parte conforme, l’amministrazione avrebbe dovuto valutare l’irrogazione della sanzione pecuniaria;

4) eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta e violazione dell’art. 33 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 93 della l.r. n. 61 del 1985, a motivo dell’erronea qualificazione dell’intervento indicato alla lettera A) – di demolizione e ricostruzione con modesto ampliamento del manufatto accessorio – il quale rientra tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, con la conseguenza che, anche in relazione a tale abuso, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto valutare l’irrogazione della sanzione pecuniaria non essendo possibile il ripristino del manufatto originario.

F. Nelle more del presente giudizio l’amministrazione comunale, anche alla luce del parere favorevole all’applicazione della sanzione pecuniaria espresso dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggisti, si è determinata alla rinnovazione del procedimento sanzionatorio, della quale ha dato comunicazione agli odierni ricorrenti con nota del 24 febbraio 2010.

G. Nella seduta 02/10 del 22 marzo 2010 la commissione edilizia si è, dunque, nuovamente espressa con un secondo parere sostituto del precedente.

H. In esito alla conclusione del procedimento, l’amministrazione ha notificato ai ricorrenti le seguenti ordinanze: ordinanza di demolizione n. 11 del 26 marzo 2010, riferita all’abuso indicato alla lettera A); ordinanza e ingiunzione di pagamento n. 12 del 26 marzo 2010, riferita alla sanzione pecuniaria irrogata in relazione all’abuso indicato alla lettera B); ordinanza ed ingiunzione di pagamento del 30 settembre 2010, riferita alla sanzione pecuniaria irrogata in relazione all’abuso indicato alla lettera C).

I. I ricorrenti hanno proceduto al versamento delle somme dovute a titolo di sanzioni pecuniarie per interventi abusivi indicati alle lettere B) e C) mentre, con ricorso iscritto al n. 1163 del 2010, hanno impugnato l’ordinanza di demolizione n. 11 del 26 marzo 2010, avente ad oggetto la demolizione e ricostruzione con ampliamento del manufatto accessorio, deducendo i seguenti motivi di ricorso:

1) eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione e violazione degli artt. 3, lett. d), 10 lett. c), 31 e 32 del D.P.R. n. 380 del 2001; la difesa di parte ricorrente sostiene, nello specifico, che l’intervento in argomento non sia consistito nella demolizione e ricostruzione del manufatto, in quanto i muri perimetrali lungo il lato ovest ed il lato nord non sono stati demoliti bensì solo consolidati e sopraelevati, con conseguente qualificazione in termini di ristrutturazione edilizia, dalla quale discende la possibilità di irrogazione della sola sanzione pecuniaria;

2) eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e violazione degli artt. 33, comma 3 e comma 4 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, in considerazione della differente qualificazione dell’abuso operata dalla commissione edilizia nel primo e nel secondo parere, dell’assenza di un’adeguata motivazione sul punto, della violazione dei diritti di partecipazione procedimentale in relazione alla differente qualificazione operata nonché del contrasto con il parere espresso dalla Soprintendenza;

3) eccesso di potere per erroneità di presupposto e carenza di motivazione, non avendo l’amministrazione operato alcuna valutazione in merito alle modalità di computo del volume, rilevante in ragione della natura pertinenziale del manufatto;

4) violazione dell’art. 10 della l.r. n. 14 del 2009, ai sensi del quale, in ipotesi di interventi di ristrutturazione con ampliamento che si sostanzino in un’integrale demolizione e ricostruzione con modifiche di sagoma e volume "per la parte in cui mantengono volumi e sagoma esistenti sono considerati, ai fini delle prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380/2001 e non nuova costruzione, mentre è considerata nuova costruzione la sola parte relativa all’ampliamento che rimane soggetta alle normative previste per tale fattispecie".

L Il Comune di Orsago si è costituito in giudizio per resistere ai gravami, concludendo per la reiezione dei ricorsi in quanto inammissibili, improcedibili e comunque infondati.

M Con ordinanza n. 626/10 questa Sezione ha accolto la domanda cautelare presentata da parte ricorrente, in considerazione del periculum ed in esito ad una comparazione degli interessi coinvolti.

N All’udienza del 19 maggio 2011 difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, dopo di che le cause sono state trattenute per la decisione.

Motivi della decisione

In via preliminare il Collegio dispone la riunione dei ricorsi stante la loro evidente connessione soggettiva e oggettiva.

2. Il Collegio deve, dunque, procedere all’esame del primo dei ricorsi riuniti, con il quale parte ricorrente ha impugnato il parere della commissione edilizia, la relativa nota di trasmissione e l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 20 del 30 luglio 2009.

2.1. Anche a prescindere dalle ulteriori eccezioni sollevate dalla difesa di parte resistente, il ricorso è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Come evidenziato nella narrativa in fatto, l’amministrazione comunale, nelle more della definizione del presente giudizio, si è determinata, anche alla luce del parere favorevole all’applicazione della sanzione pecuniaria espresso dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggisti, alla rinnovazione del procedimento sanzionatorio, della quale ha dato comunicazione agli odierni ricorrenti con nota del 24 febbraio 2010.

Nella seduta 02/10 del 22 marzo 2010 la commissione edilizia si è, dunque, nuovamente espressa con un secondo parere sostitutivo del precedente e, successivamente, è stata adottata, in relazione all’ abuso indicato alla lettera A) – riferito alla demolizione e ricostruzione con ampliamento del manufatto accessorio – l’ordinanza di demolizione gravata con il secondo dei ricorsi riuniti, mentre, con riferimento agli altri abusi, è stata irrogata la sanzione pecuniaria, il cui importo è stato integralmente versato dai ricorrenti, i quali hanno prestato acquiescenza alle relative ordinanze.

Il ricorso, dunque, deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, non residuando alcuna utilità per i ricorrenti dall’adozione di una pronuncia di merito.

3. Il Collegio deve, a questo punto, procedere all’esame del secondo dei ricorsi riuniti, con il quale i ricorrenti hanno impugnato la suddetta l’ordinanza di demolizione, il parere espresso dalla commissione edilizia nella seduta n. 2/2010 del 22/3/2010 e la relativa nota di trasmissione.

3.1 Con il primo motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione ed è stata anche censurata la violazione degli artt. 3, lett. d), 10 lett. c), 31 e 32 del D.P.R. n. 380 del 2001.

La difesa di parte ricorrente sostiene, nello specifico, che l’intervento in argomento non sia consistito nella demolizione e ricostruzione del manufatto, in quanto i muri perimetrali lungo il lato ovest ed il lato nord non sono stati demoliti bensì solo consolidati e sopraelevati, con conseguente qualificazione dell’intervento in termini di ristrutturazione edilizia, qualificazione dalla quale discende la possibilità di irrogazione della sola sanzione pecuniaria.

3.2 Anche a prescindere dall’eccezione di inammissibilità per omessa impugnazione del verbale di accertamento, sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale, la censura è infondata.

Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che il verbale della polizia municipale, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, ha efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c. relativamente alla provenienza dell’atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e, se la fede privilegiata non si estende né agli apprezzamenti del pubblico ufficiale né alle sue valutazioni e deduzioni, tali elementi non sono comunque privi di valore probatorio, in quanto possono fornire elementi presuntivi idonei a fondare la decisione ove siano gravi, precisi e concordanti (Cons. St., sez. I, 08 gennaio 2010, n. 250).

Il verbale di sopralluogo del 20 luglio 2009 (all. 2 delle produzioni documentali di parte resistente) espressamente indica tra gli abusi riscontrati la "demolizione di edificio condonato, ricostruzione con ampliamento di annesso urbano in prossimità del confine avente le seguenti dimensioni di pianta; n. 11,70 X 3,74 (…) ed altezza media (…) di 3,13 (…)".

La stessa difesa di parte ricorrente ha confermato, con il primo dei ricorsi riuniti, tale ricostruzione, chiaramente affermando (a pag. 8 ed a pag. 9) che l’intervento si è sostanziato nella demolizione e ricostruzione di un manufatto fatiscente, in precarie condizioni di staticità e che la "differenza tra il vecchio ed il nuovo manufatto è minimale".

Dalla documentazione versata in atti e, in specie, dal raffronto tra la preesistenza demolita ed il nuovo edificio emergono elementi idonei ad ulteriormente confermare le risultanze del suddetto verbale, in specie considerando l’evidente compenetrazione del muro posto lungo il lato nord con la porzione di muratura esistente lungo il lato est, la cui demolizione non è in contestazione; merita di essere evidenziato, infatti, che il muro posto sul lato ovest costituisce il muro di divisione tra fondi confinanti che è stato utilizzato quale appoggio delle strutture del manufatto condonato, mantenendo, dunque, una propria autonomina anche funzionale.

Ciò con la conseguenza che per escludere l’avvenuta integrale demolizione e ricostruzione del manufatto non potrebbe comunque ritenersi sufficiente la circostanza che quel muro ha costituito oggetto solo di consolidamento e sopraelevazione, in quanto elemento preesistente alla stessa realizzazione del manufatto demolito. Per confutare tale circostanza e le stesse risultanze del verbale di sopralluogo e della documentazione anche fotografica versata in atti, la difesa di parte ricorrente avrebbe dovuto fornire elementi convincenti e oggettivi, idonei a dimostrare che il muro posto luogo il lato ovest era stato edificato al momento della realizzazione del manufatto abusivo condonato e successivamente demolito. Dalla documentazione prodotta emerge, per contro, la preesistenza del muro di confine, sin dall’origine utilizzato quale appoggio del manufatto.

In altri termini, ciò che chiaramente risulta, ad un attento esame, dagli elementi prodotti è che il manufatto condonato, che già era stato edificato utilizzando il muro preesistente posto sul confine lungo il lato ovest, è stato integralmente demolito.

Anche il relazione al muro posto lungo il lato nord non emergono elementi idonei a confutare le risultanze del verbale di sopralluogo, soprattutto considerando che gli elementi strutturali – costituiti da materiali ancora in commercio e di uso diffuso – rilevati dall’accertamento condotto dal tecnico di parte ricorrente, Geom. G.M. non consentono inequivocabilmente di escludere l’integrale demolizione, come confermato dalle stesse espressioni utilizzate dal Geometra Malagola nella perizia integrativa del 22 marzo 2011, il quale, infatti, afferma: "L’aver rilevato l’esistenza di blocchi prefabbricati cavi di cemento, a mio parere sembra (il corsivo non è nell’originale) confermare il vecchio stato ante ristrutturazione come si evince nell’unica foto depositati agli atti del Comune di Orsago nel 1986. Difatti il manufatto condonato, sembra (il corsivo non è nell’originale) essere stato costruito proprio con "muratura in blocchi cavi prefabbricati in cemento normale, posti in opera con malta"".

Come correttamente rilevato dalla difesa di parte resistente, inoltre, l’indagine meccanica eseguita dal Geom. G.M. rileva che verso l’esterno del muro non emergono né contropareti né isolamenti bensì solo l’intonaco seguito dai blocchi, risultando, dunque, smentita la circostanza, desumibile dalla precedente perizia, della realizzazione di una controparete verso l’esterno. Il carotaggio, inoltre, non consente di evidenziare neanche la presenza di interventi di isolamento eseguiti nel lato interno.

Alla luce delle considerazione svolte le allegazioni della difesa di parte ricorrente non si ritengono idonee a confutare le circostanze e gli elementi risultanti dal verbale di sopralluogo e dalla documentazione versata in atti.

Rilevata, dunque, l’esecuzione di un intervento di demolizione e ricostruzione con ampliamento, l’amministrazione comunale ha correttamente individuato nella demolizione la sanzione da irrogare, trattandosi di intervento di nuova costruzione.

3.3 Il Collegio, evidenzia, infatti, che il concetto di ristrutturazione edilizia, quale enunciato dall’art. 31, lett. d), l. 5 agosto 1978, n. 431 ("interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono anche portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ha subito nel tempo diversificate interpretazioni soprattutto riguardo alla ristrutturazione per demolizione e ricostruzione, nella ricerca degli elementi che distinguessero la fattispecie dalla ristrutturazione (in termini, T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 02 dicembre 2009, n. 5268, dalla quale è tratta la seguente ricostruzione).

Ad un primo orientamento che escludeva la demolizione e ricostruzione dalla fattispecie di ristrutturazione (Cons. St., sez. V, 9 febbraio 1996, n. 144), è seguito l’orientamento trasfuso nel Testo Unico dell’edilizia che ha compreso la fattispecie nella categoria della "ristrutturazione" purché "fedele" in quanto modalità estrema di conservazione dell’edificio preesistente nella sua consistenza strutturale, essendosi ritenuto che "la ricostruzione di un preesistente fabbricato senza variazione o alterazione della superficie, volumetria e destinazione d’uso, non incide sul carico urbanistico già esistente e non è pertanto assoggettato ad oneri né al rispetto degli indici sopravvenuti" (Cons. St., sez. V, 10 agosto 2000, n. 4397).

In recepimento degli indirizzi giurisprudenziali formatisi in materia, il T.U. dell’edilizia ha ricompreso tra gli interventi di ristrutturazione edilizia "quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica".

L’art. 1 del decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 ha modificato l’art. 3, in parte qua, eliminando la locuzione "fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche di materiali a quello preesistente" e l’ha sostituita con l’espressione "ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente" (art. 1, lett. a).

Anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logicosistematica della nuova normativa inducono tuttavia la giurisprudenza a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi (fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2008, n. 1177).

Ciò che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione è, dunque, la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma – in quest’ultimo caso – con ricostruzione, se non " fedele " (termine espunto dall’attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (Consiglio Stato, sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 6214).

Nella fattispecie oggetto di giudizio emerge per tabulas che la ricostruzione è avvenuta con ampliamento e, dunque, con una modifica del volume, peraltro affatto minimale; anche la sagoma, inoltre, è stata modificata rispetto al manufatto preesistente.

3.4. Con il terzo motivo di ricorso è stato censurato il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà manifesta ed è stata dedotta la violazione degli artt. 33, comma 3 e comma 4 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, in considerazione della differente qualificazione dell’abuso operata dalla commissione edilizia nel primo e nel secondo parere, dell’assenza di un’adeguata motivazione sul punto, della violazione dei diritti di partecipazione procedimentale in relazione alla differente qualificazione operata nonché del contrasto con il parere espresso dalla Soprintendenza.

3.5 La censura è infondata e va disattesa.

Si evidenzia, infatti, che, come sopra esposto, l’amministrazione comunale, successivamente alla proposizione del primo dei ricorsi riuniti, si è determinata – anche alla luce del parere favorevole all’applicazione della sanzione pecuniaria espresso dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggisti e dell’opportunità di svolgere ulteriori approfondimenti in merito alla qualificazione giuridica degli interventi – alla rinnovazione del procedimento sanzionatorio, della quale ha dato comunicazione agli odierni ricorrenti con nota del 24 febbraio 2010.

Nella seduta 02/10 del 22 marzo 2010 la commissione edilizia si è, dunque, nuovamente espressa con un secondo parere sostitutivo del precedente.

Del tutto legittimamente, quindi, l’amministrazione ha operato una nuova qualificazione dell’abuso, in esito ad una più approfondita analisi della fattispecie.

Né, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte ricorrente, è possibile affermare la contraddittorietà della qualificazione operata rispetto al parere favorevole all’applicazione della sanzione pecuniaria espresso dalla Soprintendenza; il profilo paesaggistico e quello edilizio ed urbanistico, infatti, non possono essere sovrapposti e le valutazioni operate dall’autorità preposta alla tutela del vincolo attengono unicamente alla compatibilità dell’opera con il contesto circostante.

Quanto all’asserita violazione dei diritti di partecipazione procedimentale, il Collegio rileva che l’amministrazione non ha omesso di comunicare agli interessati l’avvio del procedimento sanzionatorio e, comunque, alla luce della natura vincolata del provvedimento e della previsione dell’art. 21 octies l. 7 agosto 1990 n. 241 ed in considerazione di quanto sopra esposto in merito alla qualificazione dell’intervento, l’adozione dell’ordinanza di demolizione gravata ha costituito atto dovuto, sicché le deduzioni di parte ricorrente non avrebbero, comunque, potuto determinare alcuna incidenza sul contenuto dispositivo del provvedimento gravato (ex multis, T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 11 dicembre 2009, n. 12793).

3.6 Con il terzo motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di eccesso di potere per erroneità di presupposto e carenza di motivazione, non avendo l’amministrazione operato alcuna valutazione in merito alle modalità di computo del volume, rilevante in ragione della natura pertinenziale del manufatto.

3.7 La censura è priva di pregio.

Il Collegio sottolinea, in primo luogo, che la consistenza volumetrica dell’intervento e, in specie, il superamento del limite del 20% previsto dall’art. 3 comma 1 lett. e.6) del D.P.R. n. 380 del 2001, emerge, in primo luogo, dal parere espresso dalla commissione edilizia del 29 marzo 2010 (all. 10 delle produzioni documentali di parte resistente) nel quale viene evidenziato che: "trattasi di intervento eseguito in ZTO di tipo "A", consistito nella integrale demolizione di un preesistente edificio condonato e nella costruzione ex novo di un corpo di fabbrica diverso, per volume e sagoma e di maggiori dimensioni rispetto al precedente demolito, adibito a ripostiglio – lavanderia – portico- di pertinenza di immobile residenziale preesistente; il nuovo corpo di fabbrica pertinenziale così realizzato presenta un volume di mc. 140,99 e, dunque, superiore al 20% del volume dell’edificio principale di mc. 504,12 ". Il superamento del limite volumetrico del 20% viene ribadito anche nell’ordinanza di demolizione gravata.

Dalla documentazione versata in atti, inoltre, emerge che, ai fini del raffronto in termini volumetrici tra il precedente manufatto ed il nuovo, l’amministrazione ha avuto a disposizione tanto le pratiche edilizie relative al fabbricato principale quanto i rilievi effettuati nel corso del sopralluogo del 29 luglio 2009.

Il Collegio ritiene, altresì, di rilevare, incidentalmente, che, sebbene l’amministrazione abbia operato una valutazione del manufatto in termini di pertinenza, procedendo, dunque, alla verifica quantitativa suddetta, tale qualificazione non appare appropriata. La giurisprudenza consolidata in materia ha avuto da tempo modo di chiarire che il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., Cons. St., sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4636; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 01 settembre 2009, n. 4848).

Nella fattispecie in esame l’opera presenta una propria autonomia sotto il profilo oggettivo e funzionale ed è destinata ad un uso durevole (ripostiglio, bagno/lavanderia e portico), evidenziando, quindi, caratteristiche tali da comportare un’incidenza sul carico urbanistico ed una modifica permanente del territorio nel quale si inserisce.

3.8 Con il quarto motivo di ricorso è stata censurata la violazione dell’art. 10 della l.r. n. 14 del 2009, ai sensi del quale, in ipotesi di interventi di ristrutturazione con ampliamento che si sostanzino in un’integrale demolizione e ricostruzione con modifiche di sagoma e volume "per la parte in cui mantengono volumi e sagoma esistenti sono considerati, ai fini delle prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380/2001 e non nuova costruzione, mentre è considerata nuova costruzione la sola parte relativa all’ampliamento che rimane soggetta alle normative previste per tale fattispecie".

3.9 La censura è infondata.

La fattispecie oggetto di giudizio, infatti, non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta disposizione.

Il Collegio sottolinea, in primo luogo, che nell’analisi ermeneutica della disposizione – da ascrivere tra quelle "a regime" e, cioè, destinate ad un’applicazione senza limiti temporali – è necessario privilegiare un’interpretazione costituzionalmente orientata che porta ad escludere che, con essa, il legislatore regionale abbia inteso introdurre una definizione contrastante con quella di intervento di "ristrutturazione edilizia" prevista dall’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001; alle definizioni degli interventi edilizi contenute in tale disposizione del testo unico, infatti, è attribuita la natura di principio fondamentale della materia, come tale vincolate per il legislatore regionale.

La disposizione, dunque, non contiene una diversa qualificazione giuridica dell’intervento, emergendo, ad un’attenta interpretazione, che ove la demolizione e ricostruzione avvenga con modifiche del volume e della sagoma l’intervento è, comunque, assoggettato a permesso di costruire.

Con tale disposizione, infatti, il legislatore regionale ha inteso chiarire che, in tutti quei casi in cui sia possibile individuare, in esito ad un intervento di demolizione e ricostruzione, un corpo di fabbrica avente la medesima volumetria e sagoma di quello preesistente demolito al quale si aggiunge un ulteriore corpo di fabbrica che determina l’ampliamento contestuale dell’immobile, ai soli fini delle prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, il corpo di fabbrica riproduttivo del preesistente anche nella sagoma e nel volume viene assoggettato alla disciplina propria della ristrutturazione edilizia mentre quello ulteriore, integrante l’ampliamento, è valutato anche ai suddetti fini quale nuova costruzione.

Nella fattispecie oggetto di giudizio la prefata disposizione non è, dunque, applicabile, non ricorrendo i presupposti sopra evidenziati.

Si sottolinea, peraltro, che, come espressamente indicato nell’ordinanza di demolizione, l’intervento è stato realizzato in violazione dell’art. 8 delle N.T.A. del P.R.G. che, all’interno delle Z.T.O. "A" prescrive l’inedificabilità delle aree libere.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati, previa loro riunione:

a) dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso iscritto al n. 2460 del 2009;

b) rigetta il ricorso iscritto al n. 1163 del 2010.

Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente che liquida in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00) per diritti onorari e spese generali, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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