Cons. Stato Sez. V, Sent., 16-08-2011, n. 4789 Concessione per nuove costruzioni contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il giudizio ha ad oggetto gli avvisi comunali di liquidazione degli oneri di urbanizzazione, relativi alla concessione in sanatoria delle singole porzioni dell’edificio denominato " Villa Il Palagio", acquistate pro indiviso dai ricorrenti originari, figli dell’originario proprietario, nel 1963 e divise nel 1972, con conseguente assegnazione delle porzioni in proprietà esclusiva. Va aggiunto che detti fratelli nel 1986 presentarono distinte domande di sanatoria ai sensi della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, allegando un’identica relazione tecnica in cui si precisava che "la villa, originariamente un’unica abitazione, è stata suddivisa nel 1971 in quattro unità immobiliari indipendenti, realizzando all’interno di ciascuna di esse un angolo cottura o un cucinotto" e che era condonabile anche un ascensore".

L’oblazione, pertanto, veniva calcolata e pagata con riferimento alla tipologia di abuso 4, quali lavori di ristrutturazione edilizia (tabella D3 dell’allegato alla legge regionale n. 59 del 21 maggio 1980).

Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno accolto in parte il ricorso proposto dai fratelli Livio, F. e R. D. S. al fine di chiedere l’annullamento di detti avvisi di liquidazione degli oneri di urbanizzazione.

I Primi Giudici hanno respinto i motivi di ricorso volti a sostenere la tesi secondo cui gli oneri non erano dovuti, in ragione del tempo effettivo di realizzazione degli abusi e dello loro corretta qualificazione alla stregua di interventi di manutenzione straordinaria, mentre hanno accolto il quarto motivo subordinato di ricorso con il quale si era sostenuta l’applicazione della lettera D/1, e non D. lettera D/3, della tabella allegata alla legge regionale n. 59/1980.

Il Comune e i ricorrenti originari propongono rispettivamente appello principale ed appello incidentale avverso i capi sfavorevoli della sentenza.

2. Osserva, in via preliminare, il Collegio che è infondata l’eccezione di tardività del ricorso principale svolta dagli eredi di R. R. D. S.. Dagli atti di causa si ricava, infatti, che la sentenza è stata depositata il 3 luglio 1997 mentre l’appello è stato notificato il 3 ottobre 1998.

L’appello risulta quindi proposto l’ultimo giorno utile in ragione dell’applicazione, ai fini del calcolo del termine lungo annuale ratione temporis vigente, D. sospensione feriale di cui alla legge n. 742/1969 nella misura di 46 giorni (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1661, secondo cui al termine lungo di un anno per impugnare le sentenze di primo grado non notificate deve essere aggiunto il tempo corrispondente alla sospensione dei termini nel periodo feriale, che è di 46 giorni e non di 45 giorni, tanti essendo i giorni compresi nel periodo di sospensione che decorre dal 1 agosto al 15 settembre)

L’infondatezza dell’appello incidentale consente, invece, al Collegio di non affrontare la questione della tempestività di tale gravame sollevata dal Comune di Bagno di Ripoli.

3. Venendo al merito il Collegio osserva che devono essere esaminati in via preventiva i motivi di appello incidentale con cui le parti ricorrenti sostengono la tesi della non spettanza degli oneri di urbanizzazione in ragione dell’epoca alla quale si deve far risalire il frazionamento della villa e della non attendibilità delle attestazioni rese da ognuna delle parti in sede di domanda di concessione in sanatoria.

3.1. I motivi sono infondati.

Il Collegio, in adesione ai rilievi all’uopo svolti dal primo Giudice, osserva che gli stessi interessati, in occasione della presentazione delle domande di condono, hanno affermato che i lavori oggetto di sanatoria, qualificabili come ristrutturazione edilizia, sono consistiti nella suddivisione della villa in quattro unità immobiliari mediante la realizzazione di alcune tramezzature e di alcuni cucinotti o angoli cottura e sono stati ultimati nel 1971.

Dalle planimetrie allegate alla domanda si ricava, in definitiva, che un complesso immobiliare con una sola cucina, costituente una sola abitazione, è stato sostituito da una pluralità di unità immobiliari del tutto autonome ed indipendenti per il tramite della realizzazione di pareti divisorie e di angoli cottura.

Si deve soggiungere che, in assenza di evidenze probatorie di segno opposto l’amministrazione comunale, coerentemente con l’attenzione rivolta dalla legge n. 47/1985 al momento autocertificativo, ha fatto leva, ai fini della qualificazione dell’intervento e del conteggio degli oneri, sui dati forniti dai soggetti interessati che hanno evidenziato un aggravio urbanistico oggettivo rispetto alla situazione preesistente rispetto all’abuso. In questo quadro le argomentazioni svolte dagli originari ricorrenti in ordine agli aspetti civilistici della proprietà del manufatto di cui è causa, tese a retrodatare il frazionamento anche urbanisticoedilizio dell’immobile al 1963, ossia al momento dell’alienazione della villa da parte dell’unico proprietario originario ai cinque figli, non sono idonee ad introdurre elementi probatori decisivi viste le indicazioni di segno opposto unicamente ricavabili dalla relazione tecnica allegata dalla domanda di condono, dalle relative planimetrie, dalla dichiarazione di idoneità statica depositata al Comune il 18 gennaio 1988 e dalle planimetrie catastali del 18 novembre 1971, documenti tutti univoci nel ricondurre gli interventi di frazionamento al 1971.

3.2. Possono a questo punto essere esaminati i motivi del ricorso principale ed incidentale che toccano la questione della corretta qualificazione dell’intervento urbanistico, con le caratteristiche fattuali ricavabili dalla documentazione di cui sopra, alla luce della disciplina dettata dalla legge regionale.

Si deve analizzare a tale scopo la disciplina dettata dalla legislazione regionale.

L’allegato alla legge regionale n. 59 del 21 maggio 1980 recante norme per gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente prevede tre categorie di ristrutturazione edilizia:

a) la D1 caratterizzata da opere che comportino anche la riorganizzazione funzionale interna delle singole unità immobiliari con modifiche agli elementi verticali non strutturali;

b) la D2 contrassegnata da opere che comportino la riorganizzazione funzionale interna delle singole unità immobiliari e il loro adeguamento igienicosanitario con modifiche non incidenti anche sugli elementi verticali strutturali.;

c) la D3, contrassegnata da opere che comportino la ristrutturazione e la modifica anche degli elementi strutturali orizzontali dell’edificio, fino allo svuotamento dell’involucro edilizio".

Ora un attento esame della documentazione versata in causa permette di accertare come la ristrutturazione operata abusivamente dalla ricorrente (e oggetto della domanda di condono) appartenga alla terza delle suindicate categorie, dal momento che nella specie si assiste alla creazione di quattro unità immobiliari in sostituzione dell’ unità originaria, con il conseguente aggravio del carico urbanistico.

A sostengo dell’assunto si pone la decisiva considerazione che le categorie D1 e D2 si riferiscono alla riorganizzazione funzionale delle singole unità esistenti mentre nella specie viene in rilievo la realizzazione di nuove unità immobiliari per effetto del frazionamento di cui si è precedentemente detto, frazionamento che non può che appartenere alle terza e residuale categoria.

In definitiva, sia sul piano letterale che sotto il profilo teleologico, l’intervento in esame, essendosi sostanziato nella modificazione del numero delle unità immobiliari mediante una diversa distribuzione ed articolazione dei volumi e delle superfici, non può che ricondursi alla tipologia D3.

A conferma di questa interpretazione si pongono anche le indicazioni fornite dal Consiglio di Stato che, con la decisione 26 aprile 2005, n. 1867 resa dalla V sezione, ha avuto modo di precisare quanto segue: "le conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza appellata non possono, dunque, essere condivise, innanzitutto perché in aperto contrasto con gli elaborati grafici allegati alla istanza di sanatoria, i quali evidenziano la realizzazione di opere miranti, non alla conservazione della struttura relativa ad una porzione immobiliare già autonoma, dal resto dell’immobile in cui è inserita (la Villa medicea di Lappeggi), bensì alla trasformazione funzionale dell’immobile, al fine di rendere autonoma detta porzione: essi infatti consistono in interventi di demolizione per rendere possibili nuovi accessi ai locali ed una differente distribuzione degli spazi, nell’apertura di finestre e nella creazione di locali (cucina e bagno) non prima esistenti.

Dalla originalità di tali locali rispetto a quanto al preesistente occorre muovere per negare che alle opere realizzate possa annettersi caratteristica di mera manutenzione straordinaria.

Ed invero, il rinvenimento di un ingresso autonomo non può costituire di per sé indizio della autonomia, non essendo insolito che grandi strutture, come quella della quale di discute, abbiano pluralità di ingressi secondari. Ciò può avere favorito, contrattualmente, il frazionamento di fatto, all’atto dell’acquisto della proprietà da parte dell’attuale resistente, ma non conferma affatto la previgente distribuzione della villa in appartamenti, che, al contrario, a parte il dato storico – desunto da un testo sulle Ville del territorio fiorentino – non trova conferma ed è anzi smentito da tutta la documentazione planimetrica, che descrive l’immobile nella sua consistenza unitaria, come del resto si rinviene in catasto, sia nella certificazione risalente al 1951 sia in quella successiva.

Sono, infatti, coincidenti per tale profilo gli estratti di mappa alla data anzidetta, la relazione tecnico descrittiva del 20 marzo 1986, allegata all’istanza in sanatoria e l’estratto della partita in data 20 settembre 1991.

L’esistenza di scarichi e di condutture idriche non lascia presumere l’indipendenza degli elementi all’interno del complesso immobiliare, né, tanto meno, che, nella porzione acquistata dalla ricorrente, vi fosse un preesistente vano cucina a servizio di detta porzione e di essa soltanto.

Tale presunzione è, fra l’altro, smentita dalla domanda presentata dall’istante nel corso del 1973, nella quale, al fine di ottenere l’autorizzazione all’esecuzione dei lavori, è fatto riferimento soltanto alla "sostituzione parziale e messa in opera di elementi necessari per i bagni ed i wc, usufruendo per gli scarichi e le adduzioni di quanto già esistente in opera".

L’insieme di tali elementi, correlati alla documentazione di parte, connotano dunque l’intervento nell’ambito di quanto indicato alla lettera d)dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978 ("interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistemativo di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti"), ed in tale ambito, nella categoria D/3 "della classificazione contenuta nell’allegato alla legge della Regione Toscana 21 maggio 1980 n. 59, applicabile alla fattispecie ("Opere che comportino la ristrutturazione e la modifica anche degli elementi strutturali orizzontali dell’edificio, fino allo svuotamento dell’involucro edilizio").

Va soggiunto, al fine di disattendere la censura all’uopo svolta dagli appellanti incidentali, che la sentenza impugnata ha confutato in modo espresso, a pagina 14, anche il quinto motivo di ricorso con il quale le parti ricorrenti si erano dolute dell’applicazione del contributo di urbanizzazione anche sulla porzione rimasta indivisa tra i ricorrenti.

4. Le considerazioni che precedono impongono l’accoglimento dell’appello principale e la reiezione dell’appello incidentale.

Ne consegue la reiezione integrale del ricorso di primo grado.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare tra le parti le spese e competenze del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

accoglie l’appello principale, respinge l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge integralmente il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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