Cons. Stato Sez. V, Sent., 16-08-2011, n. 4786 Operazioni elettorali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Gli odierni appellanti, in qualità di cittadini elettori, proponevano ricorso in primo grado avverso il verbale dell’Ufficio Elettorale Nazionale presso la Corte Suprema di Cassazione relativo alle operazioni elettorali recante la proclamazione degli eletti al Parlamento Europeo – elezioni 6 e 7 giugno 2009, ivi compresi il verbale dell’Ufficio Elettorale Nazionale del 26 giugno 2009 e i verbali degli uffici elettorali delle circoscrizioni I, II, III, IV e V, lamentando la mancata assegnazione dei seggi alle liste "Sinistra e LibertàFederazione dei Verdi", Rifondazione Comunista – Sinistra Europea -Partito Comunisti Italiani, "Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella ", "La Destra", "Movimento per le Autonomie ", "Partito Pensionati", "Alleanza di Centro per la Libertà".

Con ordinanza collegiale n. 1650/2009, il Tribunale sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art.21, primo comma, n. 2 della Legge n. 18 del 1979, con riferimento agli artt. 1, 3, 11, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione, nonché al diritto europeo, in quanto la predetta norma "prevedendo la soglia nazionale di sbarramento nell’ambito di un sistema che già disciplinava l’attribuzione dei seggi su base circoscrizionale, senza stabilire alcun correttivo, anche in sede di ripartizione dei resti, comporta una irragionevolezza e non proporzionalità della previsione legislativa rispetto alle perseguite finalità di maggiore efficacia del sistema politico democratico nonché la violazione…..degli articoli 1, 3, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione, deve assicurare la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica nazionale nonché a quella delle Istituzioni comunitarie, alla stregua del richiamo operato dall’art. 11 della Cost…..".

Con sentenza n. 271 del 2010 la Corte Costituzionale dichiarava l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con la predetta Ordinanza.

A seguito della riassunzione del giudizio, infine, i Primi Giudici, con la sentenza gravata, respingevano il ricorso.

Gli appellanti contestano gli argomenti posti a fondamento del decisum di prime cure.

Si sono costituite le parti in epigrafe specificate.

Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.

All’udienza del 17 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. L’appello è infondato.

2.1. Le censure principali svolte in sede d’appello investono l’interpretazione e l”applicazione dall’art. 21, primo comma, n.2) della legge n. 18 del 1979 e succ. mod., il quale prevede che "si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale". Questa disposizione, ad avviso delle parti appellanti, imporrebbe di considerare, nell’assegnazione dei seggi che rimangono ancora da attribuire dopo che si è divisa la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per il quoziente elettorale nazionale, non solo le liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti, ma anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno partecipato all’attribuzione dei seggi non avendo raggiunto il quoziente elettorale nazionale, ossia delle liste che non hanno conseguito sul piano nazionale il 4 per cento dei voti validi e non hanno, dunque, partecipato all’assegnazione dei seggi a coefficiente c.d. pieno.

A sostegno di detta interpretazione le parti appellanti valorizzano la disciplina dettata dalla normativa europea, con particolare riguardo alla decisione del Consiglio del 20 settembre 1976 e succ. mod. n. 76/787/CECA/CEE/EURATOM, il cui articolo 2 così recita: "Gli Stati membri possono costituire circoscrizioni elettorali per le elezioni al Parlamento europeo o prevedere altre suddivisioni elettorali, senza pregiudicare complessivamente il carattere proporzionale del voto", mentre il successivo art. 7 stabilisce che la disciplina nazionale non deve "pregiudicare il carattere proporzionale del voto". In questo contesto, la previsione derogatoria dell’art. 2 -bis, laddove contempla la possibilità, per gli Stati membri, di prevedere la fissazione di una soglia minima, da stabilirsi in misura non superiore al 5% dei suffragi espressi; assume una caratterizzazione derogatoria che ne impone una lettura restrittiva. Deve allora accedersi ad una lettura comunitariamente e costituzionalmente orientata alla stregua della quale i seggi da assegnare con i resti vanno attribuiti alle liste che non abbiano raggiunto la soglia del 4%, nell’ipotesi che la loro cifra elettorale sia superiore ai resti delle liste che hanno ottenuto dei quozienti elettorali nazionali interi. L’opposta interpretazione porrebbe, d’altronde, problemi di compatibilità con l’architettura costituzionale in quanto comprimerebbe in modo intollerabile il cd. diritto di tribuna per le formazioni minori riservando la totalità dei seggi alle sole liste dei candidati che superino il 4 per cento dei voti validi espressi.

2.2. Ai fini dello scrutinio delle censure in esame occorre prendere le mosse dall’esame della sentenza n. 271/2010 con la quale la Corte Costituzionale, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Primo Giudice.

La questione era stata prospettata dal Tribunale Amministrativo sulla base dei seguenti presupposti:

– l’applicazione dell’art. 21 della Legge n. 18/1979, nel testo sostituito dalla legge n. 10 del 2009, darebbe luogo ad effetti distorsivi dell’ iniziale ripartizione dei seggi tra i previsti collegi territoriali in quanto – pur mantenendo la suddivisione del territorio nazionale in più collegi territoriali – richiede il raggiungimento da parte di ciascuna lista di un rigido quorum minimo complessivo nazionale, per poi ripartire i seggi nuovamente su base territoriale, in relazione però alla cifra elettorale nazionale dei soli partiti che hanno superato la soglia di sbarramento. A questi ultimi vengono attribuiti – in sede di computo dei resti eccedenti il quorum elettorale intero, con riferimento a ciascun collegio territoriale – ulteriori europarlamentari sulla base di cifre elettorali più modeste rispetto a quelle riportate dalle liste che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4 % (escluse dalla norma anche dal predetto riparto dei resti);

– inoltre, la soglia rigida di sbarramento nazionale di cui al citato art. 21 della Legge n. 18/79, estesa alla ripartizione (prevista invece su base territoriale) dei resti eccedenti i quorum elettorali "interi", negherebbe il c.d. diritto di tribuna di una consistente parte dell’elettorato, impedendo l’accesso al rimborso delle spese effettuate dai partiti che abbiano partecipato con proprie liste alla competizione elettorale, ma che non abbiano raggiunto il quorum, con evidente disparità di trattamento e violazione dell’art. 49 della Costituzione;

– le illustrate conseguenze derivanti dalla norma potrebbero ritenersi non giustificate dalle dichiarate finalità di rafforzamento della stabilità delle maggioranze parlamentari in favore di più ampie aggregazioni politiche in sede comunitaria, atteso che tali esigenze vengono già assicurate con l’ esclusione delle liste minori dal meccanismo di ripartizione dei seggi fra le liste che hanno superato lo sbarramento del 4 %.

I Primi Giudici avevano quindi prospettato la violazione dei principi di cui agli artt. 1, 3, 48, 49, 51 e 97 Cost., applicabili, per il tramite degli artt. 10, 11 e 117 Cost, anche alle modalità di elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia,

La Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile la questione rilevandone la contraddittorietà della prospettazione offerta dal Giudice a quo, in quanto "il Collegio rimettente, da un lato, giudica manifestamente infondata una ipotetica questione di legittimità costituzionale riferita alla introduzione della soglia di sbarramento, per effetto della quale le liste che non raggiungono il 4% dei voti validi sono escluse dal riparto dei seggi; dall’altro lato, censura la disciplina relativa all’attribuzione dei seggi in base ai resti in quanto, in applicazione della previsione della soglia di sbarramento, esclude da tale attribuzione le liste che non l’abbiano superata. Di qui la contraddizione: se la soglia di sbarramento è legittima – come il giudice rimettente riconosce – allora non può censurarsi la conseguente scelta del legislatore di escludere dall’attribuzione dei seggi in base ai resti le liste che non l’abbiano superata; se, invece, la disciplina sul riparto dei seggi in base ai resti è illegittima, nella parte in cui esclude le liste che non abbiano superato la soglia di sbarramento – come il giudice rimettente lamenta – allora non può sostenersi che il legislatore possa legittimamente introdurre tale soglia".

La Corte ha soggiunto che "in ogni caso, ove pure si ammettesse che una clausola di sbarramento, che estrometta del tutto dall’attribuzione dei seggi le liste sotto il 4%, senza alcun correttivo, sia in contrasto con i parametri costituzionali indicati dal Collegio rimettente, va osservato che quest’ultimo domanda una pronuncia additiva. Il giudice a quo, infatti, chiede a questa Corte di introdurre un meccanismo diretto ad attenuare gli effetti della soglia di sbarramento, consistente nel concedere alle liste che non l’abbiano superata la possibilità di partecipare, con le rispettive cifre elettorali, alla aggiudicazione dei seggi distribuiti in base ai resti. Ma tale attenuazione non ha una soluzione costituzionalmente obbligata, potendosi immaginare numerosi correttivi volti a temperare gli effetti della soglia di sbarramento, a partire dalla riduzione della soglia stessa. Ne deriva, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che la questione sollevata, sollecitando un intervento additivo in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, deve ritenersi inammissibile (fra le più recenti, sentenza n. 58 del 2010; ordinanze n. 59 e n. 22 del 2010)".

2.3. Tale essendo il quadro di riferimento alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale, la Sezione reputa che le censure svolte dall’appellante non colgano nel segno.

2.3.1. Occorre prendere in esame il disposto dell’art. 20, comma 1 bis e 2 della legge n. 18/1979, secondo cui il riparto dei seggi viene effettuato tra le liste di cui al numero che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista. A tal fine il totale delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi è diviso per il numero dei seggi da attribuire, ottenendo così il quoziente elettorale nazionale.

La previsione di detta clausola di clausola di sbarramento, introdotta nella norma in questione, non collide con le coordinate costituzionali in quanto persegue la ragionevole finalità di evitare un’eccessiva frammentazione della rappresentanza parlamentare attraverso l’esclusione delle forze politiche che non dimostrino sul campo il possesso di un’adeguata rappresentatività. Detto meccanismo non collide neanche con la normativa comunitaria visto che, al contrario, la decisione del Consiglio 76/787 CECACEEEURATOM, come modificata dalla decisione 25 giugno 2002 e 23 settembre 2002, 2002/772/CE, riconosce la possibilità ai Paesi membri di introdurre una soglia minima di sbarramento per l’attribuzione dei seggi, entro il limite del 5% dei suffragi validamente espressi, senza prevedere alcun tipo di correttivo a beneficio delle forze politiche che non la raggiungano. Ne deriva che la normativa comunitaria, lungi dal considerare il principio di proporzionalità incompatibile con la fissazione di una clausola di sbarramento, considera l’introduzione del quorum quale correttivo utile onde accrescere la stabilità degli organi elettivi. Si deve aggiungere che la normativa comunitaria non fissa vincoli puntuali agli Stati membri nazionali in quanto rimette alla discrezionalità politica del legislatore nazionale la scelta circa l’an e le modalità di esercizio dell’opzione.

Non conduce ad un diverso esito la sottolineatura, operata in sede d’appello, dei principi di libertà, pluralismo e rappresentatività democratica sanciti dal Trattati di Nizza e di Lisbona, posto che detti cardini ordinamentali non toccano in modo specifico la materiale elettorale e, comunque, non ostano ad una scelta normativa tesa a razionalizzare la rappresentanza parlamentare con l’introduzione di un correttivo al principio di proporzionalità teso a scongiurare il rischio di dispersione del voto e di frammentazione delle forze politiche nazionali.

Detta opzione risulta immune ai rimproveri costituzionali rivolti dall’appellante in quanto la democraticità ed il pluralismo del sistema rappresentativo non sono lesi dalla previsione di quorum elettorali o di limitazioni alla rappresentanza delle forze politiche concorrenti in una competizione elettorale. Il sistema della proporzionalità pura è, infatti, uno dei possibili sistemi utilizzabili dal legislatore, suscettibile di deroga mediante temperamenti alla fedele traduzione in seggi dei consensi che favoriscano la governabilità e la razionalizzazione del consenso.

La scelta di prevedere detta soglia di sbarramento nella misura del 4% non inficia poi l’eguaglianza del diritto di voto ex art. 48 Cost e non innesca una disparità di trattamento dei candidati in contrasto con l’ art. 51 Cost. La differenziazione operata tra i candidati e le liste di appartenenza non è, infatti, frutto di una discriminazione legislativa aprioristica ma rappresenta la conseguenza fisiologica dell’espressione della volontà sovrana degli elettori.

Alla stregua di dette coordinate non può ritenersi che il "il diritto di tribuna", ossia l’ assegnazione dei seggi anche ai raggruppamenti politici che non hanno raggiunto la soglia minima, costituisca una pretesa qualificata sul piano costituzionale o comunitario in quanto la scelta di fissare una soglia di rappresentatività mira al ragionevole scopo di assicurare la presenza in Parlamento europeo di forze politiche che abbiano un ruolo adeguato nel sistema politico nazionale e che, come tali, siano idonee a concorrere in modo adeguato al processo di formazione delle scelte politiche in ambito europeo.

2.3.2. Non coglie nel segno neanche la prospettazione dell’appellante secondo cui il primo comma, n. 2, del citato art. 21, laddove prevede che si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale, andrebbe interpretato nel senso del riconoscimento di un vero e proprio "diritto di tribuna" grazie al quale anche le liste escluse dalla soglia di sbarramento di partecipare sarebbero ammesse all’assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti.

La Sezione osserva che la tesi svolta dall’appellante è imperniata sull’indebita sovrapposizione del il concetto di "cifra elettorale nazionale" (presupposto previsto, nel minimo del 4%, per l’ammissione al riparto dei seggi) con quello di "quoziente elettorale nazionale" (frutto di un’elaborazione matematica per l’assegnazione in concreto dei seggi).

Il mancato conseguimento della cifra elettorale nazionale impedisce in via radicale, sulla base della lettera della normativa dettata dai commi 1 bis e 2 dell’art. 21 cit, come mod. dalla legge n. 10/2009, e della ratio che la anima, l’accesso al riparto dei seggi, senza distinzione tra il riparto principale operato mediante la divisione delle cifre elettorali nazionali per il quoziente elettorale nazionale, ed il riparto successivo attuato per il tramite dell’assegnazione dei seggi rimanenti alle liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti o, in caso di parità di resti, a quelle liste che abbiano avuto la maggiore cifra elettorale nazionale.

Posta tale premessa dell’impossibilità di accedere al riparto da parte delle liste che non abbiano conseguito il quorum, si deve ritenere che il riferimento della norma in parola al mancato raggiungimento del quoziente elettorale nazionale ("Si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale") non possa essere esteso al mancato raggiungimento del "quorum" elettorale nazionale del 4% da parte di una lista, stante l’impossibilità concettuale di assimilare le liste che non hanno raggiunto un quoziente elettorale nazionale intero nel meccanismo di ripartizione dei seggi alle liste che, non avendo raggiunto il quorum minimo del 4% dei voti validi espressi, non possono partecipare affatto all’attribuzione dei seggi.

In definitiva, va condiviso l’assunto fondamentale sostenuto nella sentenza gravata, fondato sul non equivoco dato legislativo, secondo cui "si ricorre ai maggiori resti per l’attribuzione eventuale dei seggi che non si siano potuti assegnare con i quozienti interi, ma senza con questo poter derogare alla esplicita previsione normativa dello sbarramento del 4 %: nel senso che partecipano all’assegnazione con i resti solo quei partiti o gruppi che, pur avendo superato il 4%, non abbiano eventualmente raggiunto un quoziente elettorale intero, ovvero abbiano i maggiori resti tra i voti riportati dai partiti ammessi all’assegnazione dei seggi per aver superato il 4%".

Si deve convenire con gli appellanti nel senso che l’evenienza prefigurata dalla norma alla stregua dell’interpretazione ora sostenuta – ossia il mancato raggiungimento del quoziente nazionale da parte della lista che abbia superato il quorum del 4%- sia di impossibile verificazione pratica sul piano matematico visto che la legislazione vigente prevede l’elezione di 72 rappresentanti italiani.

E tuttavia occorre osservare che la clausola invocata dai ricorrenti era già presente nel testo della legge elettorale prima dell’introduzione, con la citata legge n. 10/2009, della soglia del 4%, ed è stata mantenuta, nella complessiva riformulazione dell’articolo interamente novellato, come norma di chiusura del sistema destinata ad avere una concreta operatività in futuro in caso di modifiche del numero dei parlamentari europei assegnati all’Italia. Depongono in questo senso le risultanze della relazione introduttiva al disegno di riforma in Commissione Affari Costituzioni del Senato, che qualifica la previsione del recupero delle liste sotto il quoziente nazionale quale "norma di chiusura anche dopo l’introduzione dello sbarramento del 4%. Infatti, non essendo il numero dei seggi spettanti all’Italia inserito nella legge, che opera un rinvio alle fonti europee, in via meramente astratta, a sbarramento invariato, potrebbe essere ipotizzabile una diminuzione del numero dei rappresentanti italiani al di sotto dei venticinque. In tal caso, in assenza dell’ultimo periodo, vi sarebbe il rischio di ritenere escluse dall’assegnazione dei resti anche liste che avrebbero superato lo sbarramento, ma che non avrebbero raggiunto il quoziente elettorale nazionale, che in quel caso sarebbe superiore al 4%".

Va soggiunto che, in ogni caso, detta difficoltà di applicazione non consente di accedere ad un’interpretazione correttiva che stravolga la non equivoca scelta legislativa di concepire re il quorum del 4% alla stregua dei soglia ostativa all’accesso al Parlamento europeo.

2.3.3. L’interpretazione offerta del meccanismo di ripartizione dei resti sfugge anche ai dubbi di costituzionalità sollevati con riferimento agli artt. 3, 48, 49, 51 e 97 Cost.

Si è già osservato, in precedenza, che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 271 del 2010, ha affermato che i profili di incostituzionalità di cui si discute richiederebbero un intervento sostitutivo del legislatore in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità in mancanza di un’opzione costituzionalmente obbligata.

Attesa la riconosciuta compatibilità con la Costituzione della clausola di sbarramento, sulla quale ci si è prima soffermati, deve poi reputarsi che attribuzione di seggi non assegnati alle sole liste che hanno superato la soglia del 4 % costituisca attuazione della previsione della soglia stessa in quanto il perseguimento delle finalità a fondamento dell’innesto della clausola di sbarramento sarebbe pregiudicato ove si consentisse anche alle liste minori di concorrere, pur se in via residuale, all’assegnazione dei seggi.

Il problema del riconoscimento delle minoranze linguistiche al pari di ulteriori problemi tecnici connessi alla legislazione settoriale – quali anche i contestati effetti dello sbarramento con riferimento al rimborso delle spese per le campagne elettorali (in disparte i profili di difetto di legittimazione e di interesse) – non possono mettere in discussione la scelta legislativa di limitare l’elezione alle sole liste maggiormente rappresentative nell’ambito di un meccanismo elettorale in questione che prevede un collegio unico nazionale pur se articolato in cinque circoscrizioni.

4. Alla luce delle superiori considerazioni il ricorso in quanto infondato va respinto.

La peculiarità della materia giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *