Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-06-2011) 28-07-2011, n. 30038 Concessione per nuove costruzioni modifiche e ristrutturazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 4.12.2019 la Corte di Appello di Lecce confermava la condanna alla pena dell’arresto e dell’ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a P.I. e a W.P. quali colpevoli dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c); D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 per avere concorso nell’esecuzione in zona soggetta a vincolo paesaggistico, senza permesso di costruire e senza nulla osta paesaggistico, di un fabbricato di circa 250 mq. in (OMISSIS).

Proponevano ricorso per cassazione gli imputati denunciando violazione di legge e vizio di motivazione:

– sulla disapplicazione della L. n. 326 del 2003 per non essere stata disposta la sospensione del procedimento al fine di attivare la procedura di sanatoria;

– sulla ritenuta configurabilità del reato poichè l’opera, eseguita previa demolizione di un fabbricato rurale costituito da vecchi trulli, era la mera riedificazione dell’edificio preesistente restauro e risanamento conservativo con le stesse dimensioni, sagoma e volumetria e con la trasformazione delle corti in servizi, sicchè non necessitava di permesso di costruire;

– sulla disposta demolizione con uso di potestà riservata dalla legge a organi amministrativi. Trattandosi d’intervento di restauro con aggiunta di servizi non poteva essere demolita l’intera opera, non essendo possibile ripristinare lo stato dei luoghi; non potendo i ricorrenti essere privati del diritto al mantenimento del fabbricato preesistente, la statuizione di ripristino poteva essere sostituita con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria secondo i parametri della L. n. 372 del 1978;

– sulla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive;

– sul diniego delle attenuanti generiche.

Chiedevano l’annullamento della sentenza.

1. Infondata è la censura sulla mancata sospensione del processo ai sensi della normativa sul condono edilizio perchè il giudice che disponga di elementi per escludere la sanatoria dell’abuso non ha ragione di sospendere il processo.

In tema di condono edilizio, sono demandati all’autorità giudiziaria i controlli ai fini della declaratoria di estinzione del reato.

Compete, quindi, al giudice penale il potere di accertamento di tutti gli elementi della fattispecie estintiva, fra i quali vi è l’osservanza del presupposto legale di fruibilità del beneficio.

Il controllo sulla loro ricorrenza non costituisce esercizio di una potestà riservata alla PA, cui competono tutti gli accertamenti sulla sanatoria "amministrativa", spettando al giudice penale il potere-dovere di svolgere ogni accertamento per stabilire l’applicabilità della causa di estinzione del reato, sicchè, quando risulti che il richiesto presupposto non sussiste, l’imputato non può beneficiare del condono edilizio con la conseguente estinzione del reato.

Pertanto, competeva ai giudici di merito la valutazione preliminare sulla condonabilità dell’abuso, commesso in zona vincolata e, quindi, il giudizio sulla sospensione del procedimento che è stato correttamente espresso, oltre che per la non ricorrenza del requisito temporale, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di reati edilizi, la sospensione del procedimento della L. 28 febbraio 1985, n. 47, ex art. 38 in relazione alla domanda di condono edilizio presentata D.L. 30 settembre 2003, n. 269, ex art. 32 convertito con modificazioni in L. 24 novembre 2003, n. 326, ex art. 32 non può essere disposta nel caso le opere abusive siano state realizzate su immobili sottoposti a vincoli.

Peraltro, l’eventuale sospensione disposta erroneamente dal giudice deve essere considerata come inesistente, con le ovvie conseguenze in tema di computo dei termini prescrizionali (Cassazione Sezione 3 n. 3350/2004; Lasi; RV. 227217).

Nella specie, è stata eseguita nell’anno 2006 una nuova opera edilizia in assenza di titolo abilitativo in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesaggistici e tale ipotesi è esclusa dal condono dalla L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 26, lett. a) che, invece, considera suscettibili di condono, relativamente alle zone soggette a vincolo paesaggistico, le opere di restauro e di risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria.

2. Sulla configurabilità del reato il ricorso non è puntuale perchè censura con argomentazioni giuridiche palesemente erronee e in punto di fatto la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell’imputato e confutata ogni obiezione difensiva.

La prescrizione dell’obbligo di munirsi del permesso di costruire persegue le finalità di controllo del territorio e di corretto uso dello stesso ai fini urbanistici e edilizi, sicchè sono assoggettati al regime del permesso di costruire tutti gli interventi che incidono sull’assetto del territorio, comportando una trasformazione urbanistica e edilizia del territorio comunale, donde l’infondatezza dei rilievi dell’appellante secondo cui l’esecuzione delle suddette opere era penalmente irrilevante, essendo la stessa una nuova costruzione per la quale occorre, D.P.R. n. 389 del 2001, ex art. 10, comma 1, lett. a) il permesso di costruire, come per "le opere di ogni genere con le quali s’intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilita non va confusa con l’irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione a essa assegnata, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori. ossia nell’attitudine a un’utilizzazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea e contingente" Cassazione Sezione 3 n. 12022/1997, Fulgoni, RV. 209199.

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno assolto l’obbligo della motivazione spiegando esaurientemente le ragioni del proprio convincimento e ritenendo infondati i rilievi dell’imputato secondo cui per l’esecuzione dell’opera non occorreva il permesso di costruire, trattandosi, invece, di un nuovo organismo ottenuto previo abbattimento di un manufatto preesistente di mq 246, di cui 80 mq di veranda, totalmente difforme dal precedente per estensione, volumetria e sagoma che ha determinato immutazione dell’assetto urbanistico del territorio.

3. Secondo l’orientamento di questa Corte, l’ordine di demolizione L. n. 47 del 1985, ex art. 7 (ora D.Lgs. n. 380 del 2001, art. 31, n. 9), che ha natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio, è un provvedimento giurisdizionale dovuto, privo di contenuto discrezionale e necessariamente consequenziale alla sentenza di condanna o ad altra alla stessa equiparata cfr.

Cassazione Sezione 3 n. 64/1998, Corrado, RV. 210128; Cassazione SU, n. 15/1996, Monterisi, RV. 205336, sicchè palesemente infondata la censura difensiva che muove dall’insussistente presupposto che, nella specie, sia stato attuato, su un edificio demolito, un restauro o un risanamento conservativo trattandosi, invece, di una nuova costruzione abusiva che è interamente investita dal suddetto ordine.

Nella categoria degli "interventi di restauro o di risanamento conservativo", per i quali non occorre concessione, possono essere annoverate soltanto le opere di recupero abitativo, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle quali apportano o un consolidamento o un rinnovo di elementi costitutivi, anche attraverso l’inserimento di nuovi, sicchè la demolizione dell’intero fabbricato non consente la sua ricostruzione, senza la necessaria verifica da parte dell’autorità amministrativa nell’ambito del procedimento concessorio e nel rispetto della normativa urbanistica vigente al momento del rilascio del provvedimento abilitativo cfr. Cassazione Sezione 3 n. 10392/1997 RV. 209414. 4. In tema di reati edilizi è legittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena all’esecuzione della demolizione da parte del condannato, come affermato dalle S.U. di questa Corte n. 714/1997, Luongo, V. 206659 che ha risolto in tal senso l’esistente contrasto giurisprudenziale considerando che l’ordine di demolizione ha una funzione ripristinatoria del bene offeso il territorio, e che, quindi, si riconnette all’interesse sotteso all’esercizio stesso dell’azione penale con la conseguenza che la clausola normativa "se non altrimenti eseguita" la demolizione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 7, u.c. ora D.Lgs. n. 380 del 2001, art. 31, u.c., non attiene a un limite estrinseco al potere del giudice tale da influenzarne la natura, ma considera l’eventualità del suo esercizio che può considerarsi inutiler datum quando l’offesa sia rimossa anche mediante acquisizione del bene al patrimonio del Comune.

5. E’ generica la censura sul diniego delle attenuanti generiche.

Le attenuanti generiche hanno lo scopo di adeguare la pena in senso favorevole al reo in considerazione di particolari circostanze o situazioni che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere, sicchè le stesse possono essere riconosciute quando siano provati elementi favorevoli all’imputato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti di fare emergere sufficientemente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo.

Il giudice, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, valutando globalmente i dati processuali, è sufficiente che indichi quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri.

Nella specie, il Tribunale, esclusa la valenza positiva degli elementi indicati dalla difesa, correttamente ha dedotto prevalenti significazioni negative, anche con riferimento all’intensità del dolo collegato all’imponenza dell’abuso e all’assenza di segni di resipiscenza.

Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *