Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-06-2011) 28-07-2011, n. 30030

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza del 17 novembre 2010, la Corte d’Appello di Milano riformava parzialmente, rideterminando la pena, la sentenza con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, D.F.M. era stato condannato per i reati di cui all’art. 609 bis c.p., comma 1, art. 609 ter c.p., comma 1, art. 609 septies c.p., comma 4, nn. 1 e 2, art. 61 c.p., n. 5, art. 527 c.p., e art. 61 c.p., nn. 2 e 5, concretatisi nell’aver costretto, all’interno di un bar ed alla presenza di più avventori, la figlia minore infraquattordicenne della propria convivente a subire atti sessuali consistiti in palpeggiamenti al petto, abbracci lascivi e toccamenti al fondoschiena ed al bacino con introduzione della mano all’interno dei pantaloni.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione con riferimento alla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale privilegiando le prove testimoniali rispetto alle riprese del sistema di videosorveglianza dell’esercizio commerciale presso il quale si erano svolti i fatti.

Aggiungeva che tale scelta interpretativa era smentita da altre disposizioni vigenti, quali quelle in materia di giustizia sportiva (art. 31 del Codice della Giustizia sportiva) che consentono di accertare violazioni attraverso le riprese video anche quando l’arbitro o i suoi assistenti non le hanno rilevate o quelle che prevedono la documentazione con videoriprese dell’incidente probatorio nel quale viene assunta la testimonianza del minore.

Con un secondo motivo di ricorso lamentava la carenza di motivazione in quanto i giudici dell’appello avevano omesso di argomentare in ordine alla contestazione circa la preferenza accordata alla prova testimoniale.

Con un terzo motivo di ricorso lamentava la contraddittorietà della motivazione laddove la Corte territoriale aveva rilevato che la ripresa video poteva non aver filmato in modo chiaro o completo quanto verificatosi all’interno dell’esercizio commerciale e nella parte in cui aveva avvertito l’esigenza di richiamare l’interpretazione del video offerta da un ufficiale di polizia giudiziaria operante.

Con un quarto motivo di ricorso deduceva l’erronea applicazione della legge penale nel mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, poichè la decisione non poteva essere fondata sull’età della vittima dell’abuso ed avrebbe dovuto tenersi conto del fatto che il non aver condotto la minore in luogo appartato era sintomo evidente di un minor grado di coartazione, in quanto all’interno del bar ove i reati si erano consumati la giovane avrebbe potuto richiedere l’intervento degli astanti.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

I primi tre motivi di ricorso vengono utilizzati per contestare la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito criticando la scelta di privilegiare le dichiarazioni testimoniali rispetto ai filmati del sistema di videosorveglianza dell’esercizio commerciale all’interno del quale sono avvenuti i fatti.

In realtà, come si desume chiaramente dal tenore del provvedimento impugnato, la Corte territoriale ha ricavato il proprio convincimento da un complesso di dati probatori opportunamente analizzati in un contesto unitario.

Viene infatti ricordato che fu un avventore, dopo aver visto il ricorrente palpeggiare la minore, a richiamare l’attenzione del titolare dell’esercizio commerciale il quale a sua volta, prese diretta visione di quanto stava accadendo, così come la cameriera che serviva al banco del bar.

Costoro, che la Corte d’appello riconosce come testi del tutto indifferenti e privi di possibili intenti calunniatori nei confronti dell’imputato, richiesero poi l’intervento delle forze dell’ordine.

La Corte, nel ricordare in premessa che la decisione del giudice di prime cure aveva valorizzato anche le parziali ammissioni dell’imputato, richiama il contenuto delle riprese dell’impianto di videosorveglianza evidenziando come, sebbene sfocati ed in modo non sempre chiaro, alcuni toccamenti sono pienamente visibili (vengono indicati anche i singoli fotogrammi).

Tali argomentazioni appaiono del tutto coerenti ed immuni da vizi logici e non risultano minimamente intaccate dalle deduzioni contenute in ricorso.

E’ di tutta evidenza, infatti, che un impianto di videosorveglianza, specie in un esercizio commerciale non esposto a particolari rischi, quale un bar, offre una ripresa fissa la cui nitidezza dipende anche dalla risoluzione dello strumento utilizzato e dal perimetro dell’area sorvegliata.

E’ dunque logico che riprese di questo genere possono validamente essere integrate attraverso le dichiarazioni testimoniali di quanti hanno assistito direttamente ai fatti come in effetti è avvenuto, tanto che la Corte territoriale ha così potuto superare le reticenze della piccola vittima pervenendo ad una ricostruzione della vicenda ritenuta esaustiva ai fini dell’affermazione di penale responsabilità.

Altrettanto correttamente la Corte ha valutato tutte le prove offerte alla sua attenzione e, contrariamente a quanto affermato in ricorso, non ne ha in alcun modo privilegiato alcune rispetto ad altre.

Parimenti infondato appare il quarto motivo di ricorso.

La Corte d’Appello ha infatti escluso l’applicabilità dell’ipotesi di lieve entità in considerazione del fatto che i palpeggiamenti erano era avvenuti in luogo pubblico, in orario notturno e da persona dedita all’alcool e che la bambina era visibilmente contrariata per quanto stava subendo.

Invero, come questa Corte ha avuto modo di osservare, l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3^ n. 40174, 6 dicembre 2006; n. 1057, 17 gennaio 2007; n. 45604, 6 dicembre 2007).

Alla luce dei summenzionati principi, che il Collegio condivide e dai quali non intende discostarsi, nessuna censura può muoversi alla impugnata decisione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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