Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-06-2011) 28-07-2011, n. 30028 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’1 luglio 2010, la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza con la quale, l’11 dicembre 2009, R. L.C. era stato condannato per i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, illecita cessione di sostanze stupefacenti, lesioni personali e minaccia.

Lo stesso era infatti accusato di aver sottoposto la moglie I. S. ed i figli a ripetute vessazioni per un lungo periodo di tempo, nell’arco del quale aveva ceduto alla donna stupefacenti, l’aveva costretta a rapporti sessuali non voluti minacciandola e percuotendola tanto da procurarle, in una occasione, la frattura del setto nasale.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione con riferimento alla violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, rilevando che gli episodi contestati erano riconducibili al solo anno 2006 durante il quale, per ammissione della stessa I., ella non aveva consumato droga in quanto in attesa di un figlio che successivamente aveva allattato, era stata ospitata presso un centro di accoglienza ed aveva assunto stupefacenti solo in occasione del suo compleanno, il (OMISSIS).

Aggiungeva che la decisione dell’acquisto dello stupefacente era comunque maturata nel contesto familiare, cosicchè poteva ritenersi effettuato di comune accordo fra i coniugi.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione con riferimento al reato di violenza sessuale, evidenziando che l’affermazione di responsabilità si basava sulle sole dichiarazioni della persona offesa, non supportate da alcun riscontro esterno e connotate da imprecisioni e contraddizioni, tanto che la donna non aveva mai indicato tempi e particolari delle violenze asseritamente subite e mai denunciate prima ed aveva posto in essere comportamenti, quali la protrazione della convivenza con il marito anche in Tunisia, dove lo aveva raggiunto.

Con un terzo motivo di ricorso rileva che il reato di maltrattamenti era in realtà riconducibile ad un unico episodio e che la contestazione poteva al più riguardare i reati di minaccia e percosse.

Con un quarto motivo di ricorso rilevava che la violenza sessuale, se ritenuta sussistente, avrebbe dovuto essere inquadrata nell’ipotesi di minore gravità di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Va preliminarmente rilevato che lo stesso risulta quasi esclusivamente basato su questioni di fatto, collocandosi ai limiti della inammissibilità.

Ciò posto deve rilevarsi, con riferimento al primo motivo di ricorso, che correttamente la Corte territoriale ha escluso che lo stupefacente potesse ritenersi acquistato dai coniugi per la consumazione in comune, difettando il preventivo accordo all’acquisto.

Precisa la Corte territoriale che la I. ha decisamente escluso tale circostanza, pur ammettendo altri comportamenti ritenuti biasimevoli e riguardanti l’uso da parte sua di sostanze stupefacenti, apparendo sul punto pienamente credibile.

Tale dato fattuale, accertato mediante apprezzamenti immuni da vizi logici e, come tale, incensurabili in questa sede di legittimità, appare correttamente inquadrato dai giudici del merito i quali hanno chiarito espressamente che la contestazione riferita al ricorrente non riguardava l’induzione all’uso di stupefacenti quanto, piuttosto, la cessione.

Le conclusioni cui giungono i giudici dell’appello appaiono peraltro conformi alla lettura delle disposizioni applicate fornita dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha sempre richiesto la prova rigorosa dell’acquisto in comune della droga, con il denaro cioè di tutti i partecipanti al gruppo ed allo scopo di destinarla al consumo esclusivo dei medesimi (v. tra le più recenti, Sez. 4^ n. 37389, 3 ottobre 2008; Sez. 4^ n. 35682, 28 settembre 2007; Sez. 4^ n. 4842, 6 febbraio 2004; Sez. 4^ n. 12001, 22 novembre 2000).

Tale circostanza, come si è detto, è stata tuttavia esclusa dai giudici di merito.

Parimenti infondati risultano anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso.

La Corte territoriale ha ampiamente valorizzato le dichiarazioni della persona offesa riconoscendone la piena attendibilità.

Viene evidenziato, anche in questo caso con motivazione ineccepibile, lo stato di totale soggezione che caratterizzava il rapporto della I. con il coniuge, risultante non soltanto dalle dichiarazioni della donna, ma anche da quelle della responsabile del centro di accoglienza cui la stessa si era rivolta per ottenere assistenza.

La teste ha descritto non solo le condizioni fisiche della donna, che si presentò presso il centro di accoglienza con il volto completamente tumefatto ed il setto nasale fratturato, ma anche le confidenze dalla stessa ricevute e l’atteggiamento di timore manifestato dai suoi figli per le possibili reazioni violente del padre nei confronti loro e della madre.

I giudici dell’appello evidenziano anche come la dedotta contraddittorietà del comportamento della persona offesa risulti, al contrario, pienamente giustificabile anche alla luce delle risultanze processuali, dalle quali era emerso che tale atteggiamento era inequivocabilmente finalizzato a salvaguardare comunque il rapporto coniugale.

Anche sul punto la Corte di merito fornisce ampie e articolate considerazioni che resistono agevolmente alle flebili contestazioni mosse in ricorso.

Parimenti dimostrata appare la totale mancanza di consenso ai rapporti sessuali che il ricorrente imponeva alla moglie, come dalla stessa descritto con dovizia di particolari che i giudici dell’appello indicano quale sintomo evidente della spontaneità e veridicità delle dichiarazioni.

A conclusioni analoghe deve giungersi, infine, anche con riferimento al quarto motivo di ricorso.

Invero, come questa Corte ha avuto modo di osservare, l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3^ n. 40174, 6 dicembre 2006; n. 1057, 17 gennaio 2007; n. 45604, 6 dicembre 2007).

Alla luce dei summenzionati principi, che il Collegio condivide e dai quali non intende discostarsi, nessuna censura può muoversi alla impugnata decisione.

I fatti accertati dai giudici di merito sono stati infatti ritenuti come connotati da una condizione di totale dominio psico-fisico imposta dal ricorrente alla moglie, la quale veniva costretta ad avere rapporti sessuali anche durante il periodo del ciclo mestruale e tale situazione, protrattasi per lungo tempo, non poteva certo essere considerata come episodio di lieve entità, riconducibile nella fattispecie di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

Il ricorso, conseguentemente, va dichiarato inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, di Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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