Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-06-2011) 28-07-2011, n. 30027Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 giugno 2010, la Corte d’Appello di Cagliari confermava la sentenza emessa il 16 febbraio 2009 dal Tribunale di Oristano e con la quale U.G. era stato condannato per i reati di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale nei confronti della moglie.

Avverso tale decisione l’ U. proponeva, tramite il suo difensore, ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso denunciava la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nonchè violazione di legge con riferimento al reato di violenza sessuale, rilevando come l’analisi delle dichiarazioni della persona offesa apparisse incoerente ed illogica in quanto, alla luce delle testuali dichiarazioni rese, non era dato comprendere come la Corte territoriale fosse giunta ad affermare la sussistenza della violenza sessuale.

Mancava inoltre, secondo il ricorrente, ogni valutazione in merito alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato e sulla effettiva percezione della propria condotta come diretta a commettere una atto sessuale violento nei confronti della moglie.

Osservava che quest’ultima aveva escluso la violenza nei rapporti con il marito e che oggetto della contestazione erano esclusivamente due episodi verificatosi nell’arco di dieci anni di vita coniugale.

Con il secondo motivo di ricorso lamentava mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione dell’art. 609 bis c.p., u.c., e art. 133 c.p., perchè, emergendo dalle risultanze probatorie un graduato consenso della persona offesa durante i rapporti sessuali oggetto di giudizio, i giudici dell’appello avrebbero dovuto applicare la circostanza attenuante ad effetto speciale della "minor gravità" prevista dal menzionato art. 6096, comma 5 e ciò in quanto la libertà della vittima non era stata mai compressa in modo grave e non vi era stata alcuna coartazione all’atto sessuale, con riferimento particolare ad un rapporto anale.

Con il terzo motivo di ricorso denunciava la mancanza di motivazione con riferimento alla richiesta di assoluzione del pubblico ministero d’udienza.

Con il quarto motivo di ricorso evidenziava la violazione degli articoli 521 e 522 C.P.P. conseguente al rigetto, da parte dei giudici d’appello, dell’eccezione di nullità della sentenza sollevata in ordine alla omessa contestazione, quale fatto nuovo o reato concorrente rispetto ai maltrattamenti in famiglia, della violenza sessuale.

Rilevava, a tale proposito, che mancava in atti la documentazione relativa all’udienza preliminare, che la Corte d’appello avrebbe dovuto comunque acquisire e che la stessa Corte aveva comunque ritenuto erroneamente che il termine per la proposizione dell’eccezione fosse inutilmente spirato, mentre invece doveva essere individuato in quello fissato dall’art. 522 c.p.p., comma 2, rispettato dal ricorrente avendo proposto l’eccezione nei motivi d’appello.

Insisteva, pertanto, per l’annullamento della decisione impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va premesso che la consolidata giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p., dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 6^ n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6^ n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6^ n. 23528, Sez. 3^ n. 12110, 19 marzo 2009).

In altre parole, resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche.

Così delimitato l’ambito di operatività dell’art. 606 c.p.p., lett. e), si osserva che sotto tale profilo la sentenza impugnata risulta immune da censure avendo l’giudici operato un’accurata analisi delle ragioni poste a sostegno della decisione di primo grado e dei rilievi della difesa sviluppati nei motivi di appello con una valutazione complessiva degli elementi fattuali offerti alla loro attenzione del tutto priva di contraddizioni, con la conseguenza che ciò che il ricorrente richiede è, in sostanza, una inammissibile rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Invero la vicenda sottoposta all’attenzione della Corte territoriale riguarda, oltre al reato di maltrattamenti in famiglia posto in essere, durante il periodo di convivenza coniugale, dal ricorrente in danno della moglie, anche il reato di violenza sessuale riferito a due episodi in occasione dei quali era stato consumato un rapporto orale ed un rapporto anale.

La persona offesa, come riferito in sentenza, aveva delineato una situazione familiare decisamente compromessa, che vedeva la persona offesa oggetto di continue vessazioni che, pur non risolvendosi in atti di vera e propria violenza fisica, l’avevano resa comunque incapace di reagire.

Tale atteggiamento comportava anche una accentuata aggressività nell’ambito della sfera sessuale, in quanto l’ U. pretendeva di avere rapporti sessuali con la moglie anche quando la stessa espressamente manifestava il suo dissenso.

Tale situazione si era in particolare concretizzata in due occasioni, quando la donna era stata costretta dal marito, rientrato in casa in stato di alterazione, ad un rapporto orale consumato contro la sua volontà dopo averla afferrata per i capelli facendola inginocchiare.

Il secondo episodio riguarda un rapporto anale cui la donna era stata obbligata nonostante il dolore lamentato per la presenza di emorroidi, di cui soffriva, ed in conseguenza del quale aveva subito un prolasso emorroidario per il quale era stato consigliato il ricovero in ospedale, dalla stessa rifiutato.

Tale rapporto, secondo il racconto della donna, pur non essendo il risultato di una brutale costrizione, non era voluto e venne interrotto dallo stesso ricorrente dopo che la stessa si era lamentata per il dolore.

Le contestazioni mosse in sede di gravame dalla difesa circa la valutazione del quadro probatorio complessivo hanno trovato puntuale risposta nella sentenza impugnata, dove sono dettagliatamente indicate le ragioni per le quali la Corte d’appello non ha ritenuto di accedere alle istanze istruttorie formulate ed evidenziate le ragioni per le quali le prove acquisite in generale e, in particolare, le dichiarazioni della persona offesa (rese peraltro a distanza di tempo dai fatti, senza manifestare ostilità nei confronti dell’imputato) erano da ritenere pienamente credibili.

Il ricorrente insiste, però, nel ritenere tali dichiarazioni incompatibili con la negativa valutazione della sua condotta effettuata dai giudici del gravame, menzionando brani delle dichiarazioni della persona offesa (e così parcellizandone il contenuto, come già rilevato nel provvedimento impugnato) ed insistendo nell’evidenziare che la mancanza di violenza fisica ed il comportamento remissivo riferito dalla stessa vittima della violenza siano sintomo di un "graduato consenso".

Aggiunge, estrapolando alcuni brani della sentenza impugnata, che tale quadro probatorio si pone in contraddizione logica con le argomentazioni poste a sostegno di detta decisione, contraddizione che si evidenzia laddove i giudici dell’appello pervengono ad affermare la sussistenza della violenza sessuale pur valutando la deposizione della vittima come "benevola" nei confronti del marito.

Tale contraddizione, tuttavia, è del tutto inesistente, avendo i giudici correttamente illustrato, come si è già detto, l’iter logico seguito nel pervenire alla conferma della decisione di primo grado.

Altrettanto insussistente è la denunciata violazione di legge.

La decisione impugnata, infatti, ha correttamente confermato l’inquadramento dei due rapporti sessuali riferito dalla persona offesa quali ipotesi di violenza sessuale già effettuato dal giudice di prime cure.

Giustamente, infatti, è stato valorizzato il contesto entro il quale gli episodi sono avvenuti e, in particolare, la circostanza che la donna si trovasse in una condizione di totale soggezione che l’aveva resa incapace di reagire alle pretese del marito, che riusciva a contenere solo con un atteggiamento condiscendente, pur manifestando la contrarietà a determinati rapporti sessuali.

E’ di tutta evidenza che una condotta minacciosa e vessatoria renda addirittura del tutto irrilevante la mancanza di un esplicito dissenso e manifesta la consapevolezza dell’autore del reato circa il rifiuto implicito agli atti sessuali (si veda, con riferimento specifico al rapporto di coniugio, Sez. 3^ 16292, 9 maggio 2010).

Del resto, il comportamento oppressivo tenuto dal ricorrente verso la moglie rende evidente che il consenso eventualmente prestato non rappresenterebbe comunque il risultato di una libera determinazione.

Tale situazione può, tuttavia, essere eventualmente riferita al solo episodio del rapporto anale, in quanto, riguardo al rapporto orale, la decisione impugnata dà conto del dissenso esplicito e della costrizione fisica della persona offesa.

Per quanto attiene, infine, alla eccezione procedurale di cui al quarto motivo di ricorso, deve osservarsi che la Corte d’Appello ha fatto buon uso delle norme processuali applicate ed invero, risulta agli atti, compulsabili in sede di legittimità trattandosi di questione inerente l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, che il decreto che dispone il giudizio da atto dello svolgimento dell’udienza preliminare e contiene l’imputazione completa riferita ad entrambi i reati oggetto di contestazione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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