Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-06-2011) 28-07-2011, n. 30156

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 16 marzo 2010, su impugnazione del Pubblico Ministero ha riformato la sentenza del Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Belpasso del 12 giugno 2009 e ha condannato S.G. per i delitti di furto aggravato e di simulazione di reato.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando sia una violazione di legge in ordine all’affermazione della penale responsabilità che la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto della quantificazione della pena, con particolare riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è, all’evidenza, da rigettare.

2. In primo luogo e in diritto giova rammentare, come ribadito costantemente da questa Corte (v. a partire da Sez. 6 15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. 5 6 ottobre 2009 n. 44914), pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, come il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato debba essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Orbene, questa volta in fatto, il ricorrente con le proprie doglianze tende proprio ad accreditare una rilettura delle risultanze probatorie (in particolare dello stato dell’autovettura adoperata per la commissione del furto nonchè della presenza dell’imputato nella propria abitazione all’atto della prima visita dei Carabinieri) che i Giudici di merito di secondo grado hanno, di converso, correttamente valutato, tenendo del pari conto della versione alternativa fornita dalla difesa e giungendo alla logica conseguenza del ribaltamento della decisione di prime cure sul punto dell’affermazione della penale responsabilità del ricorrente stesso.

3. Quanto al secondo motivo del ricorso, del pari, si osserva come la Corte etnea abbia, in primo luogo, correttamente valutato in senso quantitativo la pena da infliggere all’imputato secondo i parametri di cui all’art. 133 c.p., con particolare riferimento al notevole danno economico subito dalla parte offesa nonchè alla commissione dell’ulteriore delitto di simulazione di reato che denota una indole non corretta dell’imputato.

A ciò si aggiunga, con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, come le stesse non siano state neppure richieste in sede di appello, tant’è vero che la difesa dell’odierno ricorrente ebbe solo a richiedere il rigetto dell’appello del Pm senza alcuna specifica richiesta in ordine al trattamento sanzionatorio.

4. Il rigetto del ricorso determina, in conclusione, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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