Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-06-2011) 28-07-2011, n. 30151 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 29-6-2009 la Corte d’Appello di Milano, confermando quella del tribunale della stessa città in data 20-5-2008, riconosceva P.M., quale amministratore unico della società Grimsdyke Italia srl, dichiarata fallita il (OMISSIS), responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale, V.F., quale amministratore di fatto della stessa società, dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, di bancarotta semplice (ipotesi di cui alla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 4) e di falso in bilancio ( L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1).

L’attività della società, che produceva e commercializzava gomma di pneumatici da utilizzare per la fertilizzazione, era stata influenzata dal decreto c.d. Ronchi (n. 22/97) che aveva qualificato rifiuti gli scarti delle gomme, obbligando la società allo smaltimento del prodotto con costi rilevanti.

Il tribunale e la corte d’appello si basavano sui risultati della CT del PM. Quanto alla bancarotta documentale, risultava che la contabilità non era stata più tenuta dalla fine del 1999, mentre in precedenza era inattendibile risultando da essa crediti fittizi, atti a consentire agli imputati di continuare a fruire del credito bancario e quindi di ritardare il fallimento, attraverso lo sconto di fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti. La mancata tenuta determinò l’impossibilità di ricostruire i movimenti, ricostruzione che fu possibile solo attraverso CT. L’elemento psicologico del reato era ritenuto provato anche quanto alla P., che aveva ricoperto la carica di amministratore per dieci anni, con diretto coinvolgimento nelle attività gestite dal marito, anche a livello finanziario, conoscendo, almeno nelle linee generali, la condizione economica e finanziaria della società.

L’entità delle distrazioni, nella motivazione della sentenza di primo grado, era ridimensionata rispetto all’imputazione, escludendo le voci di 180 e 560 milioni circa, ritenute frutto di espedienti per "aggiustare" la situazione di bilancio, ma non oggetto di attività distrattiva, mentre quella di L. 616 milioni, per incasso vendita cespiti aventi tale costo storico al 31-12-99, era ritenuta provata e rappresentava la differenza tra il valore dei cespiti risultanti dal bilancio di quell’anno e il valore dei beni pervenuti al fallimento.

La bancarotta semplice e quella societaria erano ritenute sussistenti in quanto nel bilancio 1998 alcune voci di rilevante importo non erano state opportunamente svalutate e non era stato rilevato un ricavo di esercizio pari a 510 milioni, si da determinare un risultato di esercizio di circa L. sei milioni, a fronte di un reale patrimonio negativo di oltre L. un miliardo e duecento milioni. Il che, già alla fine dell’anno seguente, avrebbe dovuto indurre gli imputati a richiedere il fallimento essendo il capitale sociale del tutto azzerato.

Ricorrono V. e P. per il tramite del difensore avv. Francesco Frasca, con tre motivi.

1) Nullità della sentenza per mancanza della sottoscrizione del giudice. Infatti nell’intestazione è indicato come estensore il presidente, mentre in calce alla sentenza, oltre alla firma del presidente, figura quella di uno dei giudici a latere quale estensore.

2) Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2 e vizio di motivazione quanto al dolo, vizi entrambi dedotti in ordine alla posizione P.. Si richiama giurisprudenza di questa corte, secondo cui ai fini della responsabilità penale dell’amministratore di diritto, oltre all’accettazione formale della carica, occorre la dimostrazione effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari, e si contesta quanto acriticamente recepito nella sentenza di secondo grado, e cioè che la P. non fosse un mero prestanome del marito, in quanto l’istruttoria (esame del curatore e CT del PM, esame dell’imputato ha che escluso che la moglie si fosse ingerita nell’amministrazione della società) non avvaloravano tale conclusione, avendo evidenziato soltanto che l’imputata aveva ricoperto la carica per dieci anni.

3) Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla posizione V.. In ordine alla bancarotta fraudolenta documentale, la corte territoriale ha ignorato: a) che, secondo lo stesso curatore, la società era rimasta inoperativa nel periodo di mancata tenuta delle scritture e che, se talune forniture erano proseguite (il che peraltro l’accusa non aveva dimostrato), si trattava della prosecuzione della somministrazione di fertilizzanti oggetto di contratti in precedenza stipulati; b) che comunque le scritture erano nella disponibilità di un professionista esterno, onde gli imputati non sarebbero stati in condizione di sottrarle, mancando comunque lo scopo di profitto o di pregiudizio ai creditori, mentre non sussisteva la tenuta in modo da non rendere possibile la ricostruzione del movimento degli affari. Infatti era del tutto apodittica l’affermazione del giudice di secondo grado secondo cui le fatture utilizzate per lo sconto presso tre istituti bancari fossero fittizie, fittizietà desunta sostanzialmente solo dal fatto che le relative ricevute bancarie erano tornate in massima parte insolute, senza considerare l’impatto esercitato sull’attività di commercio degli scarti delle gomme dall’entrata in vigore del decreto Ronchi, e senza tener conto della lacunosità degli accertamenti del CT del PM che addirittura non aveva identificato i debitori della società.

Quanto alla bancarotta patrimoniale, la corte di Milano non si era accorta che il tribunale non l’aveva ritenuta sussistente.

Riguardo al falso in bilancio, il ricorso fa richiamo ai motivi di appello quanto alle quattro voci evidenziate per affermare la falsità del bilancio 1998 della società, ribadendo che 1) l’omessa contabilizzazione della fattura (OMISSIS) per L. 612 milioni non solo non è attribuibile con certezza agli imputati (visto che la tenuta della contabilità era affidata ad un professionista esterno), ma comunque non vi è l’incongruenza rilevata dal CT del PM; 2) l’inserimento della voce fatture da emettere per un miliardo e 300 milioni di lire, asseritamente sopravvalutata, oltre a non essere riconducibile ai prevenuti, è stata ritenuta fittizia dal CT del PM solo perchè non ha individuato i debitori, senza però valutare la plausibilità di tale voce in relazione a quelle che potevano essere le scorte di merce in carico alla società; 3) infine la mancata svalutazione delle rimanenze di magazzino per almeno 772 milioni e del credito verso Pneupress per L. 580 milioni – voci di bilancio pure oggetto di imputazione, non risulta dimostrata nè dagli atti nè dalle sentenze.

Era comunque da escludere il dolo in quanto risultavano procedimenti esecutivi che avevano portato alla vendita forzata dei beni sociali (i cespiti non rinvenuti).

Motivi della decisione

Il ricorso di entrambi gli imputati è tardivo.

Agli stessi, contumaci, veniva notificato l’estratto contumaciale della sentenza il 18-9-2009, ma il ricorso era proposto dal difensore il 20-10-2009, mentre il termine di trenta giorni, ex art. 585 c.p.p., comma 1, lett. b), era scaduto il 19-10-2009 (giorno successivo all’ultimo giorno utile, festivo). Alla declaratoria di inammissibilità seguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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