Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-06-2011) 28-07-2011, n. 30150

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.F. è stato riconosciuto colpevole dal Tribunale di Crotone con condanna inflitta il 30.10.2007, confermata dalla Corte territoriale di Catanzaro in data 6.5.2010, di falso in certificazione per avere apposto sulla propria patente di guida (alida sino al 2.10.1998) un talloncino (proprio della patente di guida della madre), portante un diverso numero identificativo del documento e idoneo ad una più lunga validità nel tempo (validità sino al 19.1.2006).

Ha interposto ricorso la difesa del prevenuto dolendosi:

– della carenza di motivazione sulle obiezioni sollevate con il gravame, operando la giustificazione con il mero richiamo per relationem al primo provvedimento giudiziale, soprattutto per quanto riguarda l’identificazione dell’autore dell’illecito;

– violazione della legge penale per il mancato riconoscimento dell’assenza dei tratti di rilevanza penale del fatto in ragione della grossolanità del falso realizzato.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e versato in fatto.

Il primo motivo trascura l’osservazione, ragionevole ed espressamente annotata dai giudici di appello, per cui non soltanto il primario interesse all’artefazione era riferibile all’attuale imputato (eppertanto nella traccia del logico paradigma dimostrativo del cui podest?), ma anche che il documento da cui fu estratto il talloncino – strumento della commissione del delitto – apparteneva alla moglie del ricorrente, elementi che consentono, al di là di ogni ragionevole dubbio, di convalidare il giudizio reso nelle fasi del merito.

Pure manifestamente infondato è il secondo mezzo: la modalità della falsificazione era riconoscibile soltanto comparando il reale numero della patente di guida, composto di più cifre e lettere, con quella del talloncino artificiosamente apposto al documento, un’operazione che avrebbe richiesto attenzione.

Pertanto, la fattispecie dettata dall’art. 49 c.p., comma 2 è esclusa poichè non è dato ravvisare reato impossibile per grossolanità del falso qualora la difformità dell’atto dal vero non sia riconoscibile ictu oculi, in base alla sola disamina dell’atto stesso, come esattamente già osservato dalla decisione impugnata.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue non soltanto la condanna alle spese processuali ma anche al pagamento della sanzione ex art. 616 c.p.p. che si ritiene equo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa per le Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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