Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-06-2011) 28-07-2011, n. 30149 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorso di G.L. si appunta sulla sentenza della Corte d’Appello di Ancona che ha confermato la condanna del Tribunale anconetano del 20.9.2007, inflitta essendo egli ritenuto responsabile del reato di diffamazione aggravata dal mezzo della stampa in pregiudizio del magistrato Dr. R.P..

Invero, con un volantino egli, dolendosi di pretese angherie subite dal giudice, rivelò situazioni famigliari del giudice e suoi rapporti amorosi pregiudizievoli per la reputazione di questi (circostanze non obiettivamente contestate dal ricorrente).

L’impugnazione interposta dalla difesa dell’imputato si duole:

– della violazione della legge penale attesa la mancanza della diffusione del volantino;

– della mancata prova della provenienza del foglio, non essendovi dimostrazione della paternità del prevenuto nella sua redazione;

– dell’erronea valutazione sulla portata offensiva della reputazione della persona offesa ed in ogni caso della ricorrenza della esimente della provocazione, quantomeno putativa.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè generico.

Esso ripercorre le stesse doglianze avanzate con il gravame di appello, senza tenere conto della motivazione resa dalla decisione della Corte anconetana.

Trascura il fatto che i giudici di appello hanno accertato l’effettiva distruzione del foglio incriminato (all’interno del tribunale) come anche riconosciuto dal ricorrente (e dunque, la comunicazione diffusiva del dato diffamatorio), dell’ammissione All’imputato di esser l’autore dello scritto; della corretta considerazione del tratto offensivo dello scritto, anche perchè privo di interesse per il pubblico trattandosi di vicende coinvolgenti la vita privata del magistrato e risultando la narrazione lontana dalla verità (la relazione sentimentale del magistrato risulta avviata successivamente al divorzio dal coniuge).

L’assenza della prova circa la quasi contestualità (subito dopo) tra il fatto ritenuto ingiusto e la reazione diffamatoria, nonchè l’assoluta mancanza di dimostrazione dell’ingiustizia del comportamento del magistrato, per il quale – al fine di dimostrare l’angheria – occorrerebbe la prova di un trattamento vessatorio ulteriore alla consueta afflizione che discende dalla sottoposizione a processo penale oltre che l’accertamento della ricorrenza di un consapevole arbitrio che potrebbe rendere ingiusto il tratto giudiziale, esclude la possibilità di ravvisare l’invocata esimente (erroneamente valutata in atti, quale mera diminuente ex art 62 c.p., n. 2).

Alla dichiarazione di inammissibilità segue non soltanto la condanna alle spese processuali ma anche al pagamento della sanzione ex art. 616 c.p.p. che si ritiene equo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa per le Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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