Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 28-07-2011, n. 30024

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 3.2.2011 il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, condannava T.F. alla pena di Euro 9.000,00 di ammenda per i reati di cui all’art. 110 c.p., L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), (capo a), art. 110 c.p., L. n. 963 del 1965, art. 15, comma 1, lett. c) e art. 24, comma 1, (capo b), artt. 110, 651 c.p. (capo c). Riteneva il Tribunale che dalle risultanze processuali emergesse la prova dei reati ascritti; dalla testimonianza del brig. dei Carabinieri G.A. e dalla documentazione in atti, risultava, infatti, che, in data 9.6,2006 in Lecce, il T., unitamente ad altro soggetto, fu sorpreso intento a vendere ricci di mare posti su un tavolino ai margini della strada e che, richiesto delle generalità, si era rifiutato, dandosi alla fuga.

2) Ricorre per Cassazione T.F. per mancanza e contraddittorietà della motivazione ed in particolare per l’omessa valutazione della testimonianza di Ga.Ma.. Il Tribunale non ha esaminato le prove a discarico; il teste M. aveva riferito che il T. si trovava sul posto per mera coincidenza. Il Tribunale ha omesso inoltre di valutare la stessa testimonianza del Brig. G., il quale aveva riferito di non aver accertato alcuna vendita dei ricci a terzi e di aver notato solo tre giovani (tra cui il T.) accanto alla bancarella. Tale presenza, però, non dimostrava la vendita dei ricci. Nè infine il Tribunale ha motivato in ordine alla tesi difensiva, secondo cui l’ordine di esibizione dei documenti era stato rivolto al conducente dell’auto ed il T. si era dato alla fuga perchè estraneo ai fatti. Denuncia ancora t’omessa motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generi che ed in relazione alla quantificazione della pena.

3) Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto propone censure in fatto già esaminate e correttamente disattese dal Tribunale.

Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto, invero, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.

Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006).

3.1) Il Tribunale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto pienamente provata la responsabilità dell’imputato in ordine a tutti i reati ascritti, implicitamente disattendendo la testimonianza a discarico. Ha infatti evidenziato che non potevano esservi dubbi in ordine alla destinazione alla vendita (non è necessario che avvenga la cessione a terzi) della merce sequestrata, che era posta su un tavolino in una strada pubblica. Quanto alla partecipazione del T. alle condotte di cui ai capi a) e b), ha sottolineato il Tribunale che egli si trovava vicino al tavolino su cui erano esposti i ricci ed alfa vista dei Carabinieri si diede alla fuga. In ordine, infine, al reato di cui all’art. 651 c.p., ha evidenziato che non poteva esservi alcun dubbio, essendo stato l’invito a fornire le generalità rivolto a tutti i soggetti ed essendo inequivoco il comportamento degli stessi ("..hanno buttato a terra i ricci, si erano imbarcati nella macchina, se ne stavano andando, non volevano darci i documenti, asserendo: se volete trovarci sapete dove trovarci"). Solo dopo essere stato bloccato, a seguito del tentativo di fuga, il T. si decideva ad ottemperare all’invito.

3.1.1) Il ricorrente, in violazione peraltro del principio di autosufficienza del ricorso (non essendo state allegate le dichiarazioni testimoniali richiamate), prospetta una diversa interpretazione delle risultanze processuali, come del resto si afferma esplicitamente nel ricorso, laddove si sostiene che la tesi prospettata dalla difesa è "certamente più corrispondente alle risultanze istruttorie". Nè, comunque, la motivazione della sentenza sopraindicata verrebbe scardinata dalla testimonianza di M. M., il quale secondo lo stesso assunto del ricorrente avrebbe fatto riferimento ad una presenza del T. sul posto "per mera coincidenza". 3.2) Il Tribunale ha poi correttamente esercitato il potere discrezionale riconosciuto ai giudici di merito nella determinazione della pena, avendo fatto riferimento ai precedenti penali dell’imputato per escludere le circostanze attenuanti generiche.

E’ pacifico, invero, che, ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, il giudice di merito deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tal fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso far riferimento. La concessione delle circostanze attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a far emergere, in misura sufficiente, la sua valutazione. La pena, infine, è stata determinata in misura equa ed adeguata all’entità del fatto ed alla personalità dell’imputato.

3.3) Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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