Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-05-2011) 28-07-2011, n. 30147 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 16 settembre 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma dell’8 novembre 2005 che aveva condannato D.F.A. alla pena di anni due di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta:

a) l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inammissibilità del mezzo istruttorio, ai sensi degli artt. 468 c.p.c., comma 1 e art. 173 c.p.p., comma 1, con riferimento all’ammissione di testi della parte civile, in violazione dei termini per la presentazione della relativa lista;

b) l’erronea applicazione della legge penale e la illogicità manifesta della motivazione in merito all’accertamento della penale responsabilità.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Quanto al primo motivo ritiene la Corte che nessuna invalidità si sia realizzata nel giudizio di primo grado in ordine alla pretesa inutilizzabilità delle testimonianze per tardività del deposito della lista testimoniale della parte civile.

La pacifica giurisprudenza di legittimità (v. a partire da Cass. Sez. Un. 6 novembre 1992 n. 11227 e 17 ottobre 2006 n. 41281 e ribadita da questa stessa Sez. 5^ 3 giugno 2010 n. 32742) che ha, altresì, superato il vaglio del Giudice delle leggi (v. Corte Cost.

10 febbraio 2010 n. 73) ritiene come non sussista alcuna nullità dell’ordinanza ammissiva di una prova tardiva, a cagione del potere officioso del Giudice ai sensi dell’art. 507 c.p.p. 3. Anche il secondo motivo del ricorso, relativo alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto, è infondato ai fini dell’affermazione della penale responsabilità della ricorrente.

La giurisprudenza di questa Sezione della Corte (v. 11 gennaio 2008 n. 7203 e da ultimo 19 febbraio 2010 n. 19049) ha formulato una distinzione in tema di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta evidenziando il diverso atteggiarsi dei criteri di imputazione di quella patrimoniale e di quella documentale, sotto il profilo soggettivo quando l’amministratore di diritto non sia anche quello effettivo ma risulti affiancato dalla figura dell’amministratore di fatto, eventualmente con esautorazione dei poteri del primo che per questo viene comunemente definito "testa di legno".

Ebbene, si è opportunamente affermato che, con riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione ovvero per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto "testa di legno"), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture.

Non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della bancarotta patrimoniale o per distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Ovviamente, per la figura dell’amministratore di fatto, accertata in riferimento alla posizione dell’odierna ricorrente, vale il principio della assoluta equiparazione alla figura dell’amministratore di diritto quanto a doveri, sicchè si è rilevato che l’amministratore "di fatto", in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 c.c., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40 c.p., comma 2.

In fatto, questa volta, i Giudici del merito hanno dato logicamente conto dell’attività posta in essere dalla imputata D.F. ai fini del compimento dell’attività distrattiva posta in essere e sulla base proprio delle deposizioni testimoniali di cui, con il primo motivo di ricorso, si era chiesta l’inammissibilità.

Una diversa rilettura delle risultanze processuali non è, però, consentita a questa Corte di legittimità di fronte alla logica motivazione dei Giudici del merito.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato e la ricorrente condannata, altresì, al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo, in favore della parte civile costituita.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alle spese di P.C., che liquida in Euro 1.500,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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