Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-12-2011, n. 28079 Pensione di inabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20 febbraio 2006, la Corte d’Appello di Palermo respingeva il gravame svolto da D.F.B. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di pensione di inabilità per la quale aveva presentato domanda amministrativa il 20.12.2001. 2. La Corte territoriale, a sostegno del decisum, condivideva le valutazioni espresse dal consulente tecnico officiato in sede di gravame, compiute, con riferimento alle patologie accertate (broncopatia, patologia osteo-articolare, ipoacusia), pervenendo, in considerazione delle menomazioni coesistenti, ad un giudizio complessivo di percentuale invalidante del 90 per cento.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale D. F.B. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un articolato motivo. L’INPS ha resistito con controricorso, eccependo altresì l’inammissibilità del ricorso. Il Ministero dell’economia è rimasto intimato.

Motivi della decisione

4. Con l’articolato motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione artt. 112 e 434 c.p.c. e L.n. 118 del 1978, art. 12, artt. 2, 36 e 38 Cost. e difetto di motivazione. Si duole che corte merito abbia ritenuto vincolanti le tabelle ministeriali senza eseguire una valutazione globale delle affezioni sulla validità complessiva del soggetto e che la motivazione sia solo di stile. Si duole, inoltre, che il giudice del gravame, trattandosi di malattie coesistenti, ottenuto il danno globale con la tecnica valutativa a scalare non abbia considerato l’incidenza sulla validità complessiva del soggetto.

5. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

6. Come è stato ripetutamente affermato da questa Corte, e va qui ribadito, "qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, affinchè i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o nell’ omissione degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico; al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in un’inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice" (ex multis, Cass. 7341/2004, Cass. 16223/2003, Cass. 11894/2004).

7. Le conclusioni, quindi, del consulente tecnico d’ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate, in sede di legittimità, se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico- legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali che, in quanto tale, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico-legale e rientra tra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

(v., ex multis, Cass. 15796/2004).

8. Orbene nella fattispecie la Corte di merito, richiamate le conclusioni del CTU nominato in secondo grado e i chiarimenti resi in udienza con riferimento alle affezioni del D.F. – esiti di intervento di artroprotesi d’anca bilaterale a discreta incidenza funzionale; broncopatia cronica di tipo spastico; ipoacusia neurosensoriale bilaterale – e alla percentuale invalidante delle singole affezioni, ha ritenuto raggiunto, trattandosi di menomazioni coesistenti e applicando la formula scalare, un gradiente invalidante solo del 90 per cento.

9. La decisione della corte territoriale è, pertanto, immune da censure e il ricorso va quindi rigettato.

10. Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, nella specie inapplicabile ratione temporis; infatti le limitazioni di reddito per la gratuità del giudizio introdotte da tale ultima norma non sono applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del giudizio sia stato depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003 (ex multis, Cass. 4165/2004; S.U. 3814/2005).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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