T.A.R. Calabria Reggio Calabria Sez. I, Sent., 23-08-2011, n. 681 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente è società che all’epoca dei fatti, oggetto di controversia, era capogruppo di un’ATI impegnata nei lavori di "risanamento ambientale aree demaniali" del Comune di Rosarno; era altresì in corso di partecipazione alla gara bandita il 4 agosto 2010 per l’aggiudicazione dei lavori di consolidamento e risanamento ambientale Torrente Rosso per il Comune di Oppido Mamertina; era appaltatrice dei lavori di adeguamento dell’impianto elettrico presso l’Istituto d’Arte Guerrisi di Palmi, aggiudicati in data 16/06/2010 per l’importo di Euro.78.427,59 a seguito di procedura negoziata ai sensi dell’art. 57 comma 6 del D. Lgs. 163/2006.

Con nota prot. n. 0016337 del 10 agosto 2010, il Comune di Rosarno dava comunicazione alla BACAR S.r.l. di avvio della procedura di risoluzione del contratto di appalto, avendo avuto notizia con nota del 2 agosto 2010, prot. n. 211924, acquisita al protocollo dell’Ente in data 3 agosto 2010 al n. 16036, dalla SUAP di Reggio Calabria, dell’esistenza di informativa prefettizia interdittiva. Allo stesso modo, con nota prot. n. 216490 del 2 agosto 2010 la Provincia di Reggio Calabria comunicava l’esclusione della ricorrente dalla gara del 4 agosto 2010 relativa ai lavori di consolidamento e risanamento ambientale Torrente Rosso per il Comune di Oppido Mamertina.

Da ultimo, con nota prot. n. 238229 T 06 C. 11 – Fascicolo 23 sottoclasse 2 del 9 settembre 2010 – la Provincia di Reggio Calabria comunicava l’immediata risoluzione dell’appalto relativo ai lavori di "adeguamento dell’impianto elettrico presso l’Istituto d’Arte Guerrisi di Palmi", aggiudicati in data 16/06/2010 per l’importo di Euro. 78.427,59 a seguito di procedura negoziata

Il tenore dell’informativa interdittiva posta a base dei provvedimenti espulsivi e risolutivi era il seguente: "la complessiva valutazione di tutti gli elementi acquisiti mediante gli accertamenti disposti per il tramite delle forze di polizia, induce a ritenere sussistente il pericolo di tentativi di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 10 del dPR 252/98. E’ emerso infatti che la S.E. di T.F., nei cui confronti questa Prefettura ha emesso certificazione antimafia interdittiva, confermata dal TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, in esito a ricorso giurisdizionale, con sentenza n. 224/09, ha ceduto il ramo d’azienda relativo agli appalti pubblici di riferimento, alla B. Srl, di cui è amministratore unico la moglie non convivente, ma di fatto residente con il marito, del socio accomandatario della S.E.. Detta circostanza denota chiari rapporti di cointeressenza, nonchè possibili connessioni e collegamenti con la S.E., considerato altresì che attuali soci sono figli conviventi di ex socio della S.E……..".

Il gravame, oggetto di odierna valutazione, è articolato nei seguenti motivi:

1)Violazione dell’art. 7 della Legge 241/1990. L’informativa prefettizia non sarebbe stata preceduta dall’avviso di avvio del procedimento previsto dall’art. 7 della Legge 241/90;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del D.lgs. 490/1994 e dell’art. 10 D.P.R. 252/1998 – eccesso di potere per omissione di motivazione. Le amministrazioni interessate si sarebbero limitate a richiamare acriticamente la nota prefettizia senza nessun proprio apporto motivazionale, nonostante la stessa, sebbene di natura interdittiva, non potesse costituire ex se causa di recesso contrattuale;

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del D. lgs. 490/1994 e dell’art. 10 D.P.R. 252/1998 – violazione e falsa applicazione della Circolare del Ministero dell’Interno n. 559 del 1998 – eccesso di potere per carenza di istruttoria e travisamento dei fatti, irragionevolezza – omessa motivazione. L’informativa sembrerebbe ricondurre l’effetto interdittivo alla cessione, da parte della S.E. di T.F., di ramo di azienda. La cessione di un ramo d’azienda dalla S.E. alla B. sarebbe stata tuttavia posta in essere in data 6 luglio 2007, ossia prima che la S.E. venisse a conoscenza dell’informativa interdittiva emessa nei suoi confronti; inoltre si sarebbe trattato di un’operazione di natura puramente commerciale, giustificata dal progetto di sviluppo della B. srl, ed il rapporto di coniugio fra gli amministratori di S.E. e di B. non avrebbe rappresentato altro se non un’agevolazione della conclusione dell’atto di cessione.

Si è costituita, per il Ministero dell’Interno, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, depositando i rapporti informativi degli organi di polizia sulla base dei quali l’informativa è stata emessa. Ciò ha dato occasione per la presentazione di motivi aggiunti attraverso i quali la ricorrente deduce ulteriori censure:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, septies, del D.L. n.629/1982, dell’art. 4 del D. Lgs. n. 490/1994 e dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998 -Violazione e falsa applicazione della Circolare del Ministero dell’Interno n. 559 del 1998 – Violazione dell’art. 24 della Costituzione per illegittima soppressione del Diritto alla Difesa – Eccesso di Potere per assenza di istruttoria, travisamento dei fatti, irragionevolezza, carenza di motivazione. Il contenuto del rapporto informativo redatto dai Carabinieri e posto dalla Prefettura a fondamento della propria informativa si presenterebbe viziato poiché, fra l’altro, sarebbero del tutto assenti gli elementi di fatto e di diritto che dovrebbero costituire il presupposto minimo per un legittimo esercizio dei poteri interdittivi previsti dalla legislazione antimafia.

Si sono costituiti anche la Provincia di Reggio Calabria ed il Comune di Rosarno.

La prima eccepisce in via preliminare il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in quanto la volontà manifestata dalla P.A. non potrebbe che collocarsi nell’ambito dell’agire iure privatorum. Entrambe invocano il rigetto del ricorso in quanto infondato.

La causa, alla pubblica udienza del 6 luglio 2011, è stata trattenuta in decisione.

Nessun dubbio ovviamente sussiste, in punto di giurisdizione, in relazione all’informativa antimafia. I dubbi, astrattamente prospettabili in ordine al successivo recesso delle amministrazioni dai contratti in essere, sono stati sciolti dalla Corte regolatrice della giurisdizione, la quale ha chiarito che "il recesso dal contratto di appalto allorché, non trova fondamento in inadempienze verificatesi nella fase di esecuzione del contratto, ma è consequenziale all’informativa del Prefetto ai sensi dell’art. 10 D.P.R. n. 252 del 1998, è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali fra i soggetti indicati nell’art. 1 dello stesso D.P.R. e imprese nei cui confronti emergono sospetti di collegamenti con la criminalità organizzata; conseguentemente, la controversia in ordine alla verifica della legittimità del recesso stesso è, in questo caso, devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo" (Cfr. Cassazione civile, sez. un., 29/08/2008, n. 21928)

Nel merito, il ricorso è infondato.

Deve essere in particolare respinta la censura avente ad oggetto il difetto di comunicazione di avvio del procedimento.

Può escludersene, con il conforto della giurisprudenza prevalente, la necessità, atteso che trattasi di procedimento di natura cautelare caratterizzato da celerità e riservatezza, nonché per l’effetto interdittivo e vincolante per l’Amministrazione, la quale è tenuta doverosamente a procedere al ritiro dell’aggiudicazione o alla risoluzione del contratto medio tempore stipulato (ex multis, cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 18/08/2010, n. 5879).

Anche le censure stigmatizzanti il difetto di motivazione dei provvedimenti adottati dalle stazioni appaltanti a seguito della comunicazione dell’informativa antimafia devono essere respinte.

La stazione appaltante non ha né il potere né l’onere di verificare la portata ed i presupposti dell’informativa antimafia, poiché la competenza è esclusivamente del Prefetto, il quale dispone di mezzi tecnici, operativi, professionali e di indagine finalizzati al prescritto esame. Pertanto, il provvedimento di diniego di stipula del contratto o di prosecuzione del rapporto deve ritenersi sufficientemente motivato "per relationem" essendo riservato alla stazione appaltante un margine assai ristretto di valutazione discrezionale, mentre il dovere di ampia motivazione sussiste solo nel caso della scelta della prosecuzione del rapporto per inderogabili ed indeclinabili necessità della prestazione, non altrimenti assicurabile (In termini, T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 27/12/2006, n. 2538).

Venendo all’esame delle censure indirizzate ai contenuti dell’informativa prefettizia ed alla relativa base istruttoria, la questione che si pone è se l’effetto interdittivo conseguente a pregressa informativa prefettizia ed operante nei confronti della S.E. di T.F. & C., anche a seguito di pronuncia del Tribunale passata in giudicato, possa ragionevolmente e legittimamente estendersi anche alla B. srl, cessionaria del ramo di azienda già gestito dalla S.E.. E’ infatti innegabile che questa sia la tesi di fondo sostenuta dall’amministrazione, avvalorata da indizi che lasciano individuare la natura elusiva della cessione, quali la circostanza che amministratore unico della B. Srl sia la moglie del socio accomandatario della S.E. e che gli attuali soci della B. siano figli conviventi di ex socio della S.E..

All’interrogativo occorre dare risposta alla luce delle peculiarità del caso concreto, non potendo astrattamente sostenersi un effetto "contaminante" della cessione aziendale. E sono proprio le circostanze dei tempi e delle modalità della cessione che inducono a ritenere non manifestamente irragionevole la valutazione in concreto operata dall’amministrazione: la cessione è stata operata nell’imminenza del provvedimento interdittivo ed in favore di soggetti legati al dominus dell’impresa cedente da strettissimi vincoli familiari; il che lascia presumere secondo l’id quod plerumque accidit che essa avesse carattere fittizio, facendo residuare poteri di influenza in capo all’impresa cedente ed al suo amministratore in particolare. Non sono in proposito sufficienti le difese svolte dalla ricorrente in ordine alla natura puramente commerciale della cessione, poiché non è emersa, neanche a seguito delle stesse, una causa concreta (civilisticamente intesa) che potesse giustificare convincentemente l’operazione, con riguardo ad interessi non coincidenti o non connessi con l’effetto interdittivo dell’informativa.

Del pari non possono porsi dubbi in ordine alla validità e perdurante efficacia dell’informativa che ha interdetto alla S.E. l’attività contrattuale con la Pubblica Amministrazione.

L’impugnativa della stessa è stata respinta dal Tribunale con sentenza n. 224/09, ormai passata in giudicato. In quell’occasione il Tribunale ha constatato l’esistenza di "…elementi plurimi che, considerati tutti insieme e riferiti al socio della impresa, denotano una evidente possibilità di condizionamento, perché concretizzano un contesto ambientale niente affatto indifferente per l’impresa, e suscettibile di condizionarne l’operato……. avendo il socio accomandatario della società avuto, nel tempo, una serie reiterata e costante di frequentazioni, accompagnate da offerte di lavoro e dunque di relazioni non meramente occasionali, con esponenti della locale malavita mafiosa, tali da rappresentare, se non una condotta di rilevanza penale la cui rilevanza non può essere acclarata in questa sede, di certo una contiguità che, di per sé, è indicatore oggettivo di possibile comunanza di interessi e tanto basta a giustificare la misura interdittiva impugnata".

Nessuna contraddizione può del resto individuarsi nella pronuncia di diverso tenore recentemente adottata dal Tribunale in relazione ad altra informativa, questa volta "atipica" avente ad oggetto sempre la S.E. (Cfr. sent. n. 372/2011); innanzitutto perché trattasi di informativa precedente, poi superata dalla successiva informativa tipica, e poi perché in quell’occasione gli organi di Polizia e la Prefettura non avevano ancora fornito elementi oggettivi significativi e sintomatici dell’infiltrazione, ed anzi, tra le righe di una motivazione sicuramente perplessa sembravano espressamente escluderla.

Il ricorso, in conclusione, deve essere respinto.

Avuto riguardo alla natura e peculiarità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Il pagamento del contributo unificato rimane a carico della parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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