Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 28-07-2011, n. 30144

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CdA di Reggio Calabria, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la sentenza del Tribunale di quella stessa città, con la quale F.N. è stata condannata alla pena di giustizia perchè riconosciuta colpevole del reato L. n. 575 del 1965, ex art. 3 bis, comma 4 e succ. mod., perchè sottoposta a misura di prevenzione, non ottemperava all’obbligo di versamento della cauzione entro giorni 10.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce omessa, illogica motivazione e violazione di legge, in quanto fu provata la impossibilità della F. a far fronte all’obbligo a lei imposto, rappresentando la situazione di grave indigenza del suo nucleo familiare (marito detenuto, ella disoccupata e madre di due bambini). Secondo i giudici di merito una tale situazione non prova, di per sè, lo stato di indigenza, ma si tratta di valutazione arbitraria e priva di qualsiasi fondamento logico.

Subordinatamente si deduce errata valutazione dell’art. 62 bis c.p., atteso che nessuna motivazione è stata prodotta in ordine al diniego delle attenuanti generiche. Non è stata infatti minimamente considerata la giovane età della donna, il fatto che ella, come detto, è madre di due figli in tenera età.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e merita rigetto.

La ricorrente va condannata alle spese del grado.

Invero, premesso che l’imputato è certamente facultato a provare anche nel processo di cognizione (e non solo innanzi al giudice delle misure di prevenzione) la sua eventuale impossibilità a far fronte al versamento impostogli (e in tal senso va Corretto" il dictum del giudice di secondo grado, di talchè la mancata, tempestiva segnalazione della predetta impossibilità, ovvero la mancata richiesta di revoca, ovvero ancora la mancata richiesta di alternativa modalità di versamento, assumono valore meramente sintomatico della originaria volontà di non adempiere all’obbligo), resta il fatto che la CdA ha affermato che, anche a voler considerare lo stato di disoccupazione della F. e lo stato di detenzione del marito, queste non sono circostanze che, di per se sole, testimoniano la impossibilità di versare la somma di Euro 1.500,00.

Ebbene, l’argomentazione non è illogica, posto che la capacità reddituale non deriva solo (può non derivare solo) da compensi per attività lavorativa. Per altro, per quanto si legge in sentenza, tali argomentazioni furono svolte anche dal giudice di primo grado e, ad esse, evidentemente, la imputata non ha replicato con i motivi di appello.

Quanto alla misura del trattamento sanzionatorio, la CdA ha fatto riferimento alla motivazione del primo giudice, che ha dichiarato di condividere. In merito si rileva che il Tribunale ha tenuto in conto i precedenti penali della donna, dando in tal modo una giustificazione, sia pur sintetica, della adozione dei criteri ex art. 133 c.p..

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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