Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 28-07-2011, n. 30142

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Venezia ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale K.E. era stato dichiarato colpevole del delitto di lesioni volontarie personali gravi in danno della sua fidanzata G.S.. Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione dell’art. 295 c.p.p., commi 1 e 2, in quanto il decreto di irreperibilità fu emesso in assenza dei presupposti legittimanti. Ciò ha inficiato l’intero rapporto processuale e, dunque, entrambe le sentenze di merito.

Subito dopo la denunzia dei fatti da parte della G., i CC si recarono a casa del K. e lo trovarono addormentato. Lo invitarono in caserma, dove lo generalizzarono, gli comunicarono che egli era indagato per il reato di lesioni, lo invitarono alla elezione di domicilio. Quindi lo rilasciarono. Solo in un secondo tempo, fu emesso o.c.c., che restò ineseguito; successivamente fu emesso decreto di latitanza. Tuttavia le ricerche non furono accurate (la recente giurisprudenza sostiene che, da questo punto di vista, la latitanza va assimilata alla irreperibilità) e, principalmente, non furono estese al paese di origine del K., l'(OMISSIS), pur essendo le autorità competenti a conoscenza del fatto che, con ogni probabilità, il K. era rientrato in patria. Nè è stata raggiunta la prova che il predetto fosse a conoscenza del fatto che a suo carico era stato emesso un provvedimento restrittivo e che dunque egli si sottraeva volontariamente alla cattura.

Deduce poi mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, atteso che la CdA, senza fornire alcuna coerente risposta alle censure poste con l’atto di appello, riproduce la motivazione del primo giudicante, affermando che, oltre alle dichiarazioni della G., esistano altri elementi di prova, che tuttavia indica nelle evidenze sanitarie e medicolegali. Queste ultime, ovviamente, stanno a provare che la G. riportò lesioni, ma non certo che dette lesioni furono provocate dal K.. Sono poi state arbitrariamente svalutate le considerazioni dell’appellante in ordine: a) al fatto che, per sua stessa ammissione, la G. perse i sensi e quindi il suo ricordo, presumibilmente, è confuso, b) al fatto che ella ha ammesso di avere avuto altri fidanzati, e dunque l’aggressione avrebbe potuto essere stata effettuata da altro uomo, che la stessa, per paura, non intende nominare, trovando più utile addossare la colpa al K., c) al fatto che la donna ha ammesso di aver fatto uso di sostanze stupefacenti.

Inoltre, la CdA crede di trovare utile elemento di riscontro nella condotta dell’imputato, sostenendo che costui si rese immediatamente irripetibile; circostanza, come si è anticipato (e come desumibile dagli atti), non rispondente al vero, atteso che lo stesso, nella immediatezza del fatto, fu trovato, dormiente, nella sua abitazione.

Motivi della decisione

La prima censura è infondata.

Ha ritenuto la giurisprudenza (ASN 201017703-RV 247061) che l’erronea dichiarazione di latitanza dell’imputato, siccome fondata su decreto invalido per assenza di ricerche, pur risultando dagli atti la stabile dimora all’estero dell’imputato medesimo, inficia la validità della citazione a giudizio che è da considerare tamquam non esset travolge ogni atto successivo, imponendo la regressione del procedimento. Con riferimento alla presenza all’estero dell’imputato/indagato, l’art. 169 c.p.p. prevede due ipotesi la prima si ha quando si conosca con precisione il luogo di residenza o di dimora in un altro Stato, la seconda, quando, pur non conoscendoli l’indirizzo, "risulti" che il predetto risieda o dimori all’estero.

Ebbene, nel caso in esame, certamente non si è verificata la prima ipotesi, ma, in realtà, neanche la seconda. Il fatto che "con ogni probabilità" (come si legge nel ricorso) il K. si fosse rifugiato in (OMISSIS),costituisce mera congettura e, come tale, non obbligava gli inquirenti o i giudicanti a seguire la procedura art. 169 c.p.p., ex comma 4.

Viceversa, il fatto che l’imputato si sia reso irreperibile subito dopo aver saputo che era indagato per le lesioni alla G., consente di ritenere, non illogicamente, che egli si sia volontariamente sottratto, con la fuga, alle indagini e al processo.

Anche la seconda censura è infondata.

Invero, in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della PO, sia quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che la deposizione della PO dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità, oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (ASN 1999O691O-RV 213613; ASN 199800788-RV 209404; ASN 199704946-ftV 208913). Nel caso in esame, la sentenza sostiene – nè il ricorrente, sul punto, la smentisce – che la G., appena riavutasi, si rifugiò in una casa nei pressi del luogo nel quale aveva subito l’aggressione. Quindi si pose in contatto con le FFOO, alle quali rese dettagliate dichiarazioni, che consentirono alle stesse la immediata identificazione della persona indicata dalla donna.

Non ha pregio, evidentemente, l’obiezione in base alla quale la stessa G. avrebbe riferito di aver perso i sensi (con la conseguenza che i suoli ricordi sarebbero offuscati), perchè la ragazza ha chiarito che i sensi ella li perse dopo e non prima dell’aggressione.

Puramente congetturali, poi, sono le considerazioni sopra riportate sub b); il ricorrente formula una mera ipotesi alternativa (la G. sarebbe stata aggredita da altri e avrebbe dato la colpa al suo fidanzato).

Quanto al fatto che la stessa avrebbe avuto altri fidanzati e avrebbe fatto uso di sostanze stupefacenti, è lo stesso ricorrente che, nel riportare le frasi attribuite alla ragazza, precisa che sia i legami sentimentali, che l’uso di stupefacenti si dovevano ritenere relativi a un tempo nettamente precedente rispetto a quello in cui si collocano i fatti per i quali è processo.

La dedotta illogicità di motivazione, pertanto, non sussiste.

Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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