Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-12-2011, n. 28072 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Q.L., dipendente della Telecom Italia s.p.a. dal 1988, da ultimo con qualifica di impiegato di 4^ livello e mansioni di "permutatorista", riceveva in data 24 novembre 2003, contestazione disciplinare del seguente tenore: "il giorno (OMISSIS) alle 08,10 la Polizia Postale ha fatto irruzione nei locali della Centrale di (OMISSIS), ove ella in quel momento operava, in seguito ad una nostra denuncia per frodi di traffico telefonico che si consumavano, a danno di numerazioni-clienti attestati su tale centrale, mediante connessione, con carattere di sequenzialità, verso i prefissi 899 … . In tale circostanza Ella veniva trovata da sola all’interno dei locali sociali mentre, in piedi sulla scala, teneva il Suo microtelefono collegato all’utenza (OMISSIS).

Abbiamo successivamente appurato che dalle numerazioni che di seguito elenchiamo, attestate una di seguito all’altra, sulla medesima "striscia" dove era attestata anche l’utenza (OMISSIS), era stato generato traffico fraudolento mediante connessione con il n. (OMISSIS)". "Considerato che Ella stava operando sul citato (OMISSIS), mentre avrebbe invece dovuto operare, fin dalle 08.00 (ora di presa in carico), sul n. (OMISSIS), collocato su una attestazione di rete distante circa mt. 3 dal posto dove Ella veniva individuato, Le rappresentiamo che tali comportamenti, costituendo violazione dei Suoi obblighi contrattuali, sono passibili di sanzione disciplinare. … Nel contempo disponiamo con la presente, con effetto immediato, il Suo allontanamento cautelare dal servizio ai sensi e per gli effetti dell’art. 49 dei vigente CCNL".

Ritenute inidonee le sue giustificazioni, il Q. veniva licenziato in data 13 dicembre 2003.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 26 ottobre 2006, respingeva la domanda con cui il lavoratore chiedeva la declaratoria di illegittimità del licenziamento, con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 30 maggio 2008, respingeva il gravame proposto dal Q..

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultimo, affidato a due motivi.

Resiste la società Telecom Italia con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. – Con primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 5 nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 18 in relazione agli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. ed all’art. 116 c.p.c..

Lamentava il ricorrente che la corte territoriale aveva ritenuto sussistere una giusta causa di licenziamento, sulla base di una ricostruzione dei fatti meramente logica ed indiziaria, senza considerare che tale prova doveva invece basarsi su elementi certi (Cass. n. 23546 del 2006), che ben potevano provenire, come nella specie avvenuto, anche dalle difese del lavoratore, applicando in modo comunque erroneo i principi in tema di prova presuntiva e senza adeguatamente considerare le emergenze di causa, ed in particolare le prove testimoniali acquisite.

Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto:

"Accerti la Corte ecc.ma adita se, a norma dell’art. 116 cod. proc. civ. in combinato disposto con gli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ. si può far ricorso alla prova presuntiva ovvero indiretta circa la sussistenza della giusta causa di licenziamento ex art. 2119 cod. civ., nonchè L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 5 in presenza di prova diretta contraria emergente dall’istruttoria testimoniale peraltro verificabile attraverso la comune esperienza (nella fattispecie con l’utilizzo di un qualsiasi comune apparecchio telefonico che nella tastiera riporti con i tasti R ed RP) ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto nell’interesse della legge". 2. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 2697 c.c., circa la prova della insussistenza della giusta causa di licenziamento (fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5)".

Lamentava una insufficiente motivazione della corte territoriale circa la prova che il Q. fosse l’autore della condotta illecita ascrittagli, non risultando dal suo microtelefono la composizione di alcun numero prima del fermo da parte della Polizia postale, come pure emergeva dalle deposizioni testimoniali assunte.

Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto:

"Accerti la Corte ecc.ma adita se, a norma dell’art. 116 cod. proc. civ., la prova della giusta causa di licenziamento può anche essere raccolta per presunzioni, ma senza certezze, attesa la rilevanza del bene della vita sul quale va ad incidere ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto nell’interesse della legge". 3. – I due motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano inammissibili.

Deve innanzitutto evidenziarsi che, applicandosi nella specie l’art. 366 bis c.p.c. (essendo stata la sentenza impugnata depositata il 26 ottobre 2006), "la decisione della Corte di cassazione deve essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione", Cass. sez. un. 9 marzo 2009 n. 5624.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, "Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge" (Cass. 17 luglio 2008 n. 19769), ovvero, come nella specie, un inammissibile riesame del fatto (Cass. 28 settembre 2007 n. 20360).

Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale infatti alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo C? o giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500). Come recentemente notato da questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata (Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

Per inciso va rimarcato che questa Corte, anche nella sentenza n. 23546 del 2006 citata dal ricorrente, non esclude che la prova della giusta causa di licenziamento possa avvenire per presunzioni, che la corte territoriale, sulla scorta delle plurime circostanze di fatto emerse (la successione sequenziale delle chiamate; l’esistenza di un traffico anomalo verso la direttrice (OMISSIS) proveniente dalla centrale di (OMISSIS); l’accertata – dalla polizia postale intervenuta sul luogo – presenza ivi del solo Q., che aveva in mano un telefono di servizio Telecom e che avrebbe invece dovuto trovarsi in altra postazione; l’accertamento del traffico illecito contestato – nonostante un primo riscontro negativo, dipeso dal fatto che l’incaricato ebbe a digitare il tasto R anzichè RP; che era risultata priva di fondamento la tesi del Q. secondo cui tale traffico anomalo sarebbe potuta avvenire anche dalle centraline Telecom collocate sulla pubblica via, etc.), ha correttamente e logicamente valutato.

4. – Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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