Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 28-07-2011, n. 30135

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Lecce, provvedendo sull’istanza di riesame proposta da P.M., in parziale accoglimento, ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari disposta nei suoi confronti dal g.i.p. del Tribunale di Brindisi con ordinanza dell’11 novembre 2010 per il reato di truffa aggravata ai danni della A.s.l. di Brindisi, con la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio delle funzioni di infermiera professionale alle dipendenze di enti pubblici.

Avverso l’affievolimento del regime cautelare ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi, deducendo la manifesta illogicità della motivazione ed evidenziando che la decisione di sostituire la misura cautelare degli arresti domiciliari con altra meno afflittiva sarebbe in netto contrasto con la gravità della condotta criminosa, ritenuta in vari passaggi della motivazione dallo stesso tribunale del riesame.

In particolare, nell’ordinanza impugnata, con riferimento al pericolo di reiterazione del reato, si dà risalto alla "elevatissima intensità del dolo", desunta da molteplici circostanze, e ciò sarebbe in contraddizione, secondo i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità delle misure cautelari, con la decisione di sostituire gli arresti domiciliari con la riferita misura interdittiva.

Il p.m. ha inoltre censurato il provvedimento impugnato, sempre sub specie di mancanza o manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui ha escluso il pericolo di inquinamento delle prove, in considerazione dell’imponenza del materiale già raccolto a carico della prevenuta, senza considerare che persisterebbe tuttora il rischio di alterazione della genuinità di una prova dichiarativa resa da soggetto in condizioni di soggezione psicologica.

Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze innanzi rappresentate, infatti, attengono unicamente al merito della decisione, non danno luogo a censure che possano trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262).

In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Tale vizio non ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di merito ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di macroscopiche discontinuità logiche.

Il tribunale del riesame ha, in particolare, escluso il rischio di inquinamento delle prove, essendo stato ormai raggiunto un abbondante supporto probatorio a sostegno dell’accusa.

La valutazione circa la ricorrenza dell’esigenza cautelare di specie trova fondamento nell’apprezzamento di merito sull’adeguatezza e la solidità del materiale probatorio acquisito e, pertanto, non è suscettibile di censure in sede di legittimità, se non negli stringenti limiti sopra rappresentati.

Il p.m. sostiene che il tribunale del riesame avrebbe sottovalutato il rischio di alterazione della genuinità della prova dichiarativa resa da alcuni dipendenti di una ditta di pulizia esterna alla struttura sanitaria, che hanno sostenuto di essere stati in condizione di soggezione rispetto al personale dipendente ed ai medici dell’A.s.l., tanto da non poter negare la "cortesia" di marcare il badge per loro conto.

In realtà, tale atteggiamento reverenziale è stato indicato dagli stessi dichiaranti a parziale giustificazione della condotta agevolatrice da loro posta in essere, a suo tempo, a favore del personale strutturato dell’A.s.l.; non vi è, quindi, alcun argomento per inferire che quell’atteggiamento di compiacenza (piuttosto che di sudditanza psicologica) si perpetui tutt’oggi, in relazione alla prova assunta, e si traduca nel concreto rischio di alterazione della stessa.

Il tribunale del riesame ha invece affermato il rischio di reiterazione del reato, sottolineando la sistematicità della falsa marcatura del badge e la particolare accondiscendenza della prevenuta nei confronti di chiunque fra i dipendenti intendesse adottare la medesima condotta, nel quadro di una sorta di mercato di scambio di favori illeciti e di condotte agevolatoci reciproche.

In ordine alla graduazione della misura cautelare, si è limitato ad un generico richiamo ai criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità.

Ma dal corpo dell’intera motivazione si ricava comunque che la condotta incriminata, pur se testualmente apostrofata in termini di gravità, evidentemente non è apparsa idonea a generare un allarme sociale talmente serio da giustificare l’adozione di una misura restrittiva della libertà personale: la circostanza che il reato si sia consumato nel contesto di un rapporto di prestazione d’opera alle dipendenze della struttura sanitaria pubblica fa sì che per scongiurare la reiterazione del reato risulta sufficiente la recisione di quel rapporto mediante l’adozione della sola misura interdittiva.

Il ricorso, pertanto, sostanziandosi in valutazioni in fatto, va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso del p.m..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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