Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-05-2011) 28-07-2011, n. 30133 Falsità ideologica in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 10 gennaio 2011, ha confermato la sentenza del GUP presso il Tribunale di Monza del 1^ ottobre 2009 che aveva condannato R.G. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il delitto di falsità ideologica in atto pubblico, in relazione alla sua funzione di testimone dell’atto 5 dicembre 2003 a mezzo notaio V., con il quale si dava atto del conferimento di una procura generale da parte di F.M.R., soggetto, viceversa, incapace d’intendere e di volere per motivi di salute al coniuge B.P..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, con unico motivo che lamenta la manifesta illogicità della motivazione e l’inosservanza della norma di cui all’art. 192 c.p.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è da rigettare.

2. L’unico motivo del ricorso, infatti, costituisce una vera e propria rilettura delle evidenze probatorie dei giudizi di merito e si caratterizza, pertanto, per l’assoluta genericità. 3. D’altra parte, allorquando si contesti la valutazione operata nella fase di merito di una determinata e risolutiva testimonianza, nella specie quella della F.M., occorre tenere presente i seguenti principi ricavabili dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte.

Pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del Giudice.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

L’illogicità della motivazione, come vizio denunziabile, deve essere poi evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (v. a partire da Cass. Sez. Un. 16 dicembre 1999 n. 24 e 23 giugno 2000 n. 12).

Inoltre, secondo giurisprudenza costante di questa Corte le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i Giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal primo e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità, a maggior ragione ove i motivi di gravame non hanno riguardato elementi nuovi, ma si sono limitati a prospettare situazioni già esaminate e discusse in prima istanza (v.

Cass. Sez. 3^, 1^ febbraio 2002 n. 10163 e Sez. 2^, 10 gennaio 2007 n. 5606).

Tutto ciò premesso, in punto di diritto, deve osservarsi, questa volta in fatto, come nei giudizi di merito siano state correttamente esaminate:

a) le deposizioni testimoniali, in particolare quella della badante della persona pacificamente (come da attestazioni mediche e deposizioni testimoniali) incapace d’intendere e di volere;

b) siano state espresse logicamente le argomentazioni per le quali alcune deposizioni risultassero attendibili ( F.M. e Fa.) ed altre meno ( Ve.).

Di fronte ad un quadro processuale di tale fatta non può, per quanto diffusamente dianzi espresso, proporsi a questa Corte di rileggere il contenuto delle deposizioni testimoniali nei minimi aspetti fattuali senza evidenziare, di converso, una palese illogicità della motivazione che allo stato non è dato evidenziare.

4. Dal rigetto del ricorso deriva, in conclusione, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè a rifondere alla parte civile le spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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