Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-05-2011) 28-07-2011, n. 30130

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Catania con sentenza del 23 marzo 2010, ha sostanzialmente confermato, riducendo la pena per la concessione delle attenuanti generiche prevalenti alle contestate aggravanti, la sentenza del Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Paternò del 1^ dicembre 2009 con la quale D.L.R. era stato condannato per il delitto di furto aggravato di energia elettrica.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente lamentando: la mancanza di motivazione in punto di condotta causale e di nesso psicologico nonchè il mancato proscioglimento, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è all’evidenza inammissibile per un duplice ordine di motivi.

2. In primo luogo perchè il ricorrente non si discosta affatto da quanto già ha formato oggetto dei motivi di appello che sono stati disattesi dalla Corte territoriale.

3. In secondo luogo, come ribadito costantemente da questa Corte (v. a partire da Sez. 6^ 15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. 5^ 6 ottobre 2009 n. 44914), pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Nella specie la Corte di Appello ha logicamente fatto discendere dal complesso delle indagini istruttorie la penale responsabilità dell’imputato per i fatti ascritti e così come contestati.

In primo luogo, l’impossessamento dell’energia elettrica risulta per tabulas dall’accertamento del funzionamento degli apparecchi elettrici nell’abitazione del ricorrente anche dopo la rimessione in libertà dell’odierno imputato già detenuto per altri motivi.

Quanto, poi, all’elemento soggettivo dell’ascritto reato, l’esistenza di una pregressa morosità ben conosciuta per l’invio delle relative diffide nonchè la presenza dell’allaccio abusivo proprio in prossimità dell’abitazione lasciano legittimamente presumere, in capo all’odierno ricorrente, la coscienza e volontà di trarre illecito profitto dalla somministrazione di energia elettrica in mancanza del pagamento del corrispettivo.

Quanto fin qui espresso rende, in sostanza, del tutto logica la motivazione dei Giudici del merito che hanno ritenuto conforme a giustizia la condanna dell’imputato piuttosto che l’applicazione della formula assolutoria di cui all’art. 530 c.p.p., comma 2. 4. L’inammissibilità del ricorso determina, altresì, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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