Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-05-2011) 28-07-2011, n. 30128

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 29 giugno 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno, Sezione Distaccata di San Benedetto del Tronto del 30 marzo 2007 con la quale N.M. era stato condannato per il delitto di furto aggravato in un supermercato.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) l’erronea applicazione della legge penale e quindi la nullità della sentenza di primo grado, con particolare riferimento alla notifica della diversa imputazione sorta in dibattimento al difensore di fiducia;

b) l’applicabilità, nel caso di specie, della figura del reato tentato piuttosto che di quello consumato;

c) l’erronea applicazione della contestata aggravante della destrezza;

d) l’acquisizione delle prove, in particolare a mezzo di videoregistrazioni, in violazione dell’art. 191 c.p.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. In primo luogo, perchè avanti questa Corte si prospettano le medesime questioni che hanno formato oggetto del giudizio di appello e sulle quali è stata data concreta risposta.

3. Quanto al primo motivo non è certo revocabile in dubbio la valenza del principio secondo il quale il termine previsto dall’art. 519, comma 2, con rinvio all’art. 429 e dall’ art. 520 c.p. sia funzionale all’esercizio del diritto di difesa, in relazione all’intervenuta modifica dell’imputazione, dovuta all’evenienza di un fatto diverso ovvero di un reato concorrente o di una circostanza aggravante non menzionati nel decreto che dispone il giudizio.

A quel diritto deve riconoscersi massima ampiezza di esplicazione ed è per questo che il legislatore prevede che, nella fissazione della nuova udienza, a seguito della sospensione del dibattimento, sia osservato un termine non inferiore a quello ordinario di comparizione, pari a giorni venti, e non superiore a quaranta giorni.

Parimenti, è innegabile che l’inosservanza del termine di comparizione configuri una nullità ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 180 c.p.p., in quanto incide sul diritto d’intervento dell’imputato nel giudizio, comprimendo indebitamente il tempo a lui concesso per la predisposizione della propria difesa.

Nondimeno, il chiaro disposto normativo, nel suo riferirsi ai casi di diversità del fatto o di insorgenza di reato concorrente o di circostanze aggravanti non contestate, e nella sottolineatura dell’esigenza di uno spazio temporale idoneo per l’organizzazione della difesa, allude alle ipotesi di sostanziale immutazione dell’originaria contestazione o di ulteriori addebiti sostanziali che rendano necessaria la particolare tutela del diritto di difesa.

La stessa ratio del meccanismo processuale rende, dunque, avvertiti che devono restare fuori della previsione di legge tutte quelle modifiche, che si risolvano in mere correzioni dell’originaria formulazione, senza toccare il nucleo sostanziale dell’addebito.

Ora, per quanto riguarda una circostanza aggravante, non è dato affermare in linea astratta che si tratti di un elemento accessorio dell’imputazione, non potendosi escludere che in determinate fattispecie l’esatta qualificazione di un fatto delittuoso possa assumere rilevanza persino decisiva ai fini della relativa individuazione e, per l’effetto, di un’eventuale ipotesi di colpevolezza.

Si tratta, allora, di verificare caso per caso l’incidenza della modifica della data nell’economia complessiva del fatto, dovendosi ad essa attribuire un rilievo marginale tutte le volte in cui la sua modifica non incida sulle possibilità dell’individuazione del fatto da parte dell’imputato e del conseguente esercizio del diritto di difesa. (v. Cass. 22 novembre 2001 n. 6972).

Nel caso di specie, comunque e sulla scorta dell’esame del verbale di udienza, la modifica della contestazione ha riguardato soltanto l’inserzione dell’articolo di legge relativo alla contestata aggravante della destrezza che, nei suoi elementi di fatto, era perfettamente ricavabile dal capo d’imputazione.

4. Quanto al secondo motivo all’imputato è stato correttamente contestato ed applicato il trattamento sanzionatorio relativo al delitto di furto consumato che, secondo la giurisprudenza di legittimità più aggiornata di questa stessa Sezione (v. Cass. Sez. 5 8 giugno 2010 n. 27631 e 13 luglio 2010 n. 37242), si verifica anche allorquando il fatto dell’impossessamento sia avvenuto nonostante il servizio di vigilanza posto in essere dalla parte lesa.

5. Con riferimento al terzo motivo del ricorso, per ciò che attiene all’affermazione della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4, del pari, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Sezione (v. da ultimo Cass. Sez. 5 16 marzo 2010 n. 16276) si è evidenziata la circostanza che il ricorrente avesse agito con modalità denotanti callidità ed astuzia, senza che, come è noto, fosse richiesto l’uso di una eccezionale abilità, essendo sufficiente che si sia approfittato, per configurare l’aggravante in esame, di una qualunque situazione, soggettiva od oggettiva, favorevole ad eludere la normale vigilanza dell’uomo medio, come è avvenuto nel caso di specie con le modalità di astuzia evidenziate dai Giudici di merito (occultamento della merce sottratta nella stessa busta ove era inserita altra merce già pagata).

6. Quanto al quarto e ultimo motivo, occorre premettere che, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., l’inutilizzabilità si riferisci alle prove acquisite "in violazione dei divieti" stabiliti dalla legge oppure, come sottolineato anche dalla giurisprudenza di questa Corte (v.

Cass. Sez. 5 5 dicembre 2006 n. 4430) in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione e, può aggiungersi, dei principi fondamentali delle fonti comunitarie immediatamente cogenti.

Invece, la sanzione della inutilizzabilità non colpisce le prove che sono in sè legittime e che sono state solo irritualmente acquisite.

Nella specie, il ricorrente lamenta la illegittimità del ricorso ad una utilizzazione di immagini riprese nel supermercato in ispregio delle norme a tutela della privacy (in particolare il mancato avviso a mezzo di appositi cartelli della esistenza di video-riprese).

Dimentica, però, il ricorrente nel citare la normativa del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 l’esistenza anche del citato art. 13, comma 5, lett. b), secondo il quale non è necessaria l’informativa allorquando i dati personali siano trattati per difendere un diritto in sede giudiziaria.

7. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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