Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-05-2011) 28-07-2011, n. 30127

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 2 luglio 2010, decidendo a seguito di rinvio della Corte di Cassazione, che con sentenza del 17 giugno 2005 aveva annullato la sentenza emessa dalla medesima Corte di Appello il 3 novembre 2004 relativamente al corretto esercizio e proseguimento dell’azione penale (omessa richiesta di estradizione suppletiva) nei confronti di C. B. imputato del delitto di incendio aggravato in concorso con altri, ha confermato la sentenza annullata che lo aveva condannato alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentandone quale unico motivo la violazione dell’art. 192 c.p.p. con riferimento alla valutazione del materiale probatorio e in particolare alla chiamata in correità effettuata da S.L.C., collaboratore di giustizia.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è, in effetti, da rigettare.

2. Vanno, innanzitutto, ribaditi (v, da ultimo, Cass. Sez. 5 9 luglio 2010 n. 37239), in materia di disciplina ex art. 192 c.p.p., comma 3, i limiti del sindacato di legittimità sulla disciplina dell’indicato art. 192 c.p.p., comma 3, in termini di rigorosa non interferenza con le valutazioni fattuali del Giudice di merito, sulle circostanze caratterizzanti la credibilità soggettiva e l’intrinseca affidabilità del racconto del collaboratore di giustizia, nonchè in termini di verifica dell’applicazione della regola che impone l’accertamento dell’affidabilità dei riscontri esterni.

La chiamata in correità, comunque, in tanto può integrare una valida prova di responsabilità, in quanto, da un lato sia intrinsecamente affidabile in riferimento a tutte le fonti da cui promani e dall’altro sia sorretta da riscontri esterni di particolare spessore di convergenza e di collegamento con la persona dell’accusato.

Deve aggiungersi, poi, che, se è vero che per la valutazione delle chiamate in correità l’attendibilità della dichiarazione accusatoria, anche se esclusa per una parte del racconto, non coinvolga necessariamente l’attendibilità del dichiarante con riferimento a quelle parti del racconto che reggono alla verifica del riscontro oggettivo esterno, tuttavia, affinchè possa evocarsi siffatto canone della "frazionabilità" delle dichiarazioni, è necessario, in primo luogo, che non sussista un’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti, intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate e, in secondo luogo, che la falsità o l’inattendibilità di una parte della dichiarazione non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante (v. Cass. Sez. 1 18 dicembre 2000 n. 468 e da ultimo Sez. 6 28 aprile 2010 n. 20514).

3. Nella specie, questa volta in fatto, il ricorrente deduce, infatti, una mancanza ovvero illogicità di motivazione dell’impugnata decisione, in ordine alla valutazione delle dichiarazioni di chiamata in correità di S.L.C., soprattutto con riferimento alla circostanza che altri coimputati vennero assolti dai fatti loro ascritti sulla base delle dichiarazioni dello stesso collaborante.

Ma tale asserzione defensionale non coglie nel segno in quanto la Corte di merito, con motivazione che non può essere tacciata di illogicità ha expressis verbis risposto ai motivi di doglianza sul punto avanzati dalla difesa (v. pagina 4 della motivazione) sostenendo, nel caso di specie, la presenza di riscontri oggettivi che, al contrario, erano mancati nei confronti dei coimputati assolti.

A ciò si aggiunga come non risultino neppure enunciate ovvero evidenziate falsità o inattendibilità macroscopiche delle dichiarazioni del collaborante e tali da inficiare, secondo la giurisprudenza dianzi evidenziata, la chiamata in correità. 4. Il ricorso va, in definitiva, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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