T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 24-08-2011, n. 1271 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Attraverso una variante semplificata al PRG il Comune di Sarnico, con deliberazioni consiliari n. 16 del 25 marzo 2002 e n. 54 del 28 novembre 2002, ha rispettivamente adottato e approvato il piano di lottizzazione residenziale PL5 Sebina proposto dalla controinteressata S. srl.

2. Questi atti sono stati impugnati dalle società ricorrenti (proprietaria e utilizzatrice di un vicino compendio immobiliare avente destinazione produttiva) con atto notificato il 14 aprile 2003 e depositato il 18 aprile 2003 (ricorso n. 430/2003). Le censure riguardano (i) l’inserimento nel perimetro del piano adottato di aree demaniali e di aree di proprietà delle ricorrenti, (ii) l’incongruenza delle previsioni relative alle altezze e alle distanze degli edifici rispetto alla disciplina del PRG.

3. Il 10 settembre 2003 il Comune ha rilasciato alla controinteressata il permesso di costruire riguardante le opere di urbanizzazione del piano di lottizzazione e il 12 settembre 2003 ha autorizzato l’edificazione di una nuova palazzina in via Vittorio Venero (uno degli edifici previsti dal suddetto piano). Questi provvedimenti sono stati impugnati con atto notificato il 5 dicembre 2003 e depositato l’11 dicembre 2003 (ricorso n. 1478/2003). Le censure riprendono gli argomenti già trattati nel ricorso n. 430/2003, a proposito della natura demaniale di una parte delle aree interessate dalle opere di urbanizzazione e relativamente all’altezza del nuovo edificio e alla distanza dal confine.

4. Il Comune e la controinteressata si sono costituiti in entrambi i ricorsi chiedendo la reiezione delle domande delle ricorrenti.

5. Prima della conclusione dei lavori il Comune ha autorizzato in data 30 luglio 2004 una modifica al progetto della nuova palazzina per consentire il recupero del sottotetto. Quest’ultimo provvedimento è stato impugnato all’interno del ricorso n. 1478/2003 con motivi aggiunti notificati il 29 settembre 2004 e depositati l’8 ottobre 2004. Le censure si concentrano sul fatto che alla data di presentazione della domanda (18 maggio 2004) il sottotetto non poteva dirsi esistente, in quanto privo della copertura definitiva.

6. Dopo che il TAR Brescia con ordinanza cautelare n. 1698 del 29 ottobre 2004 ha sospeso il permesso di costruire del 30 luglio 2004 ritenendo non sufficientemente provata l’esistenza del sottotetto da recuperare, la controinteressata ha chiesto in data 26 novembre 2004 il rilascio di un permesso edilizio in sanatoria ex art. 36 del DPR 6 giugno 2001 n. 380. Tale permesso è stato concesso con provvedimento del 23 dicembre 2004, che è stato impugnato all’interno del ricorso n. 430/2003 tramite motivi aggiunti notificati il 24 febbraio 2005 e depositati l’8 marzo 2005. Le censure sviluppano quelle formulate in precedenza sui caratteri che il sottotetto deve necessariamente possedere per essere considerato esistente. Sono proposti inoltre nuovi argomenti contro l’intero piano di lottizzazione (presenza di pozzi, altezza della falda) e contro il progetto della nuova palazzina (superamento dell’altezza massima consentita).

7. Il permesso di costruire in sanatoria è stato sospeso dal TAR Brescia con ordinanza cautelare n. 343 dell’11 marzo 2005.

8. I due ricorsi devono essere riuniti per l’evidente connessione soggettiva e oggettiva delle vicende trattate.

9. Relativamente alle questioni urbanistiche e alla disciplina delle altezze e delle distanze si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) il coinvolgimento di tutti i proprietari delle aree nella predisposizione del piano di lottizzazione non è necessario, purché la loro posizione sia tutelata in un’altra fase della procedura (art. 28 comma 11 della legge 17 agosto 1942 n. 1150; art. 6 comma 3 della LR 23 giugno 1997 n. 23);

(b) nel caso in esame peraltro le aree demaniali sono state stralciate proprio con il piano di lottizzazione e sono state inserite in un comparto collegato, in relazione al quale il lottizzante ha contrattato specifici impegni per la realizzazione di opere di urbanizzazione (v. relazione doc. 9 del Comune). L’assunzione dei costi giustifica il fatto che le suddette opere siano poste anche al servizio della lottizzazione. Quanto alle aree delle ricorrenti originariamente inserite nel perimetro della lottizzazione, tra l’adozione e l’approvazione del piano sono state tolte (v. tavola 14 aggiornata al 27 giugno 2002 – doc. 10 del Comune). La suddetta modifica è una semplice correzione conseguente all’accoglimento di un’osservazione delle ricorrenti e non altera le caratteristiche del piano: non era quindi necessario iniziare nuovamente la procedura di adozione e approvazione;

(c) l’altezza della nuova palazzina non supera il limite di 9 metri previsto dall’art. 24 delle NTA. Al riguardo si osserva che l’altezza di 3,30 metri per piano indicata nella tavola 14 del permesso di costruire del 12 settembre 2003 (doc. 21 del Comune) non corrisponde all’altezza effettiva ma a quella virtuale (che deve essere utilizzata per il calcolo del volume, indipendentemente dall’altezza effettiva, in base all’art. 10.5 delle NTA);

(d) l’altezza effettiva misurata con il metodo dell’art. 10.8 delle NTA corrisponde alla distanza tra lo spiccato del marciapiede pubblico più basso e l’intradosso del solaio dell’ultimo piano abitabile (se i luoghi non sono pianeggianti si misura la distanza massima tra l’intradosso e le sue proiezioni sul terreno naturale). Nella tavola 8 del piano di lottizzazione (doc. 24 del Comune) il terreno naturale è a quota 190,50 e lo spiccato del marciapiede pubblico più vicino (peraltro non molto vicino, ma comunque nel punto più basso di via Vittorio Veneto) a quota 191,50. Nella tavola 12 del permesso di costruire del 12 settembre 2003 (doc. 22 del Comune) l’intradosso è rappresentato a quota 199,30 e pertanto l’altezza rispetto al terreno naturale è di 8,80 metri (e di 7,80 metri rispetto al marciapiede pubblico). La misurazione della quota naturale del terreno a posteriori, quando ormai sono stati da tempo eseguiti i lavori di scavo e reinterro, non offre sufficienti garanzie di una ricognizione esatta dei luoghi originari e quindi non può essere considerata una metodologia più attendibile delle indicazioni inserite nelle cartografie del piano di lottizzazione e del permesso di costruire;

(e) appare rispettato anche il limite massimo di 3 piani, in quanto il sottotetto e il seminterrato devono essere considerati a parte. È vero che in molti casi il seminterrato può dare l’impressione di essere in realtà un piano ulteriore, ma si tratta di valutazioni che dalla materia edilizia si spostano in quella del paesaggio (v. TAR Brescia Sez. II 17 maggio 2011 n. 731) e quindi fuoriescono dal presente giudizio. Non essendo un piano computabile, il seminterrato non rileva neppure ai fini della distanza minima dal confine. Per quanto riguarda il sottotetto si rinvia al successivo punto 10;

(f) in relazione al mancato rispetto della distanza dalle pareti finestrate ex art. 9 del DM 2 aprile 1968 n. 1444 (censura che risulta precisata solo in prossimità dell’udienza pubblica, e in particolare con la perizia depositata dalle ricorrenti il 6 aprile 2011) si osserva che anche verso il lato esterno dei piani attuativi la deroga alla distanza minima può essere considerata ammissibile quando in concreto non vi siano pericoli di peggioramento delle condizioni igienicosanitarie nelle abitazioni servite dalle finestre (v. TAR Brescia Sez. II 17 maggio 2011 n. 730; TAR Brescia Sez. I 27 agosto 2010 n. 3240; TAR Brescia Sez. I 3 luglio 2008 n. 788). Nello specifico non è stato provato che l’interesse pubblico di natura igienicosanitaria sia esposto a rischi;

(g) vi è poi l’asserita violazione dell’art. 45.6 delle NTA, norma che vieta ogni nuova costruzione a meno di 50 metri da zone di captazione pubblica (sorgenti e pozzi). In effetti a circa 20 metri dalla palazzina della controinteressata il Comune ha realizzato i pozzi W (n. 1) ed E (n. 2). Si tratta però di strutture rimaste a lungo prive della concessione alla derivazione. In effetti uno dei due pozzi è stato realizzato senza titolo e l’altro sulla base di un’autorizzazione allo scavo rilasciata il 15 giugno 2001 dalla Regione. Il vero e proprio procedimento di autorizzazione dei pozzi a fini di captazione è iniziato in sanatoria con la conferenza di servizi tenutasi a cura della Provincia di Bergamo il 14 gennaio 2005 (doc. 14 delle ricorrenti). Nella stessa data il Comune ha ufficializzato la captazione a uso potabile delle acque dei suddetti pozzi (e l’immissione nella rete dell’acquedotto comunale) con apposita ordinanza del sindaco (doc. 15 delle ricorrenti), emessa sulla base dell’impulso e della preventiva approvazione della conferenza di servizi;

(h) la presenza di pozzi non ancora autorizzati (e nemmeno inseriti nelle cartografie del PRG) non integra un diritto di prevenzione in senso proprio e non determina quindi una fattispecie di inedificabilità assoluta ex art. 45.6 delle NTA (v. anche l’art. 5 del DPR 24 maggio 1988 n. 236 e l’art. 21 comma 4 del Dlgs. 11 maggio 1999 n. 152) ma crea piuttosto una zona di rispetto che ricade nella disciplina della DGR n. 7/12693 del 10 aprile 2003. Quest’ultima direttiva, essendo sopravvenuta, è applicabile al caso in esame non direttamente ma come parametro di confronto per la sua rilevanza tecnica, in quanto si tratta di una normativa puntuale espressamente elaborata in attuazione dell’art. 21 comma 6 del Dlgs. 152/1999. Utilizzando questo parametro la posizione della controinteressata appare giustificata. All’interno delle zone di rispetto sono infatti possibili nuove edificazioni, sia pure con l’osservanza di specifiche cautele. In particolare è consentita la realizzazione di fognature (v. punto 3.1 della DGR n. 7/12693 del 10 aprile 2003). Peraltro la verifica dell’efficacia delle tecniche costruttive può essere condotta dal Comune anche nel corso dei lavori o dopo l’ultimazione dell’opera, in quanto l’esigenza di tutelare le acque sotterranee non decresce per il decorso del tempo o in seguito alla modifica dei luoghi;

(i) le costruzioni all’interno delle zone di rispetto devono mantenere un distacco minimo di 5 metri dalla falda freatica oggetto di captazione (v. punto 3.2 della DGR n. 7/12693 del 10 aprile 2003). Nel caso in esame tale prescrizione non può essere rispettata a causa della vicinanza del lago, che eleva il livello della falda, come evidenziato nella relazione del geologo Paolo Grimaldi depositata dalle ricorrenti l’8 marzo 2005 (doc. 16). Tuttavia anche in questo caso il fatto che la ricognizione in via amministrativa dei pozzi sia avvenuta solo successivamente all’approvazione del piano di lottizzazione impone di fare salvo l’affidamento della controinteressata. Resta però salvo anche il potere di controllo del Comune sull’efficacia dell’impermeabilizzazione dell’edificio. In proposito la controinteressata ha depositato il 10 marzo 2005 una relazione del progettista (doc. 8) che descrive le tecniche seguite.

10. Per quanto riguarda il recupero del sottotetto si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) il provvedimento che ha autorizzato preventivamente il recupero del sottotetto è contestato perché sarebbe stato rilasciato prima del completamento del tetto. La documentazione fotografica prodotta dalle ricorrenti (doc. 11) mostra in effetti che la copertura non aveva le caratteristiche descritte nella tavola 12 del permesso di costruire del 12 settembre 2003. La controinteressata replica però che le fotografie riportano impressa la data dell’8 settembre 2004 e quindi non rifletterebbero la situazione esistente al momento della richiesta del permesso di costruire (18 maggio 2004);

(b) a conferma la controinteressata ha depositato (doc. 9) una fattura che contiene anche la voce "smontaggio struttura tetto B9" (lavori eseguiti in economia nel periodo 22 luglio 2004 – 31 agosto 2004). Sostiene la controinteressata che in realtà il tetto sarebbe stato rimosso dopo la richiesta di recupero del sottotetto;

(c) sul punto non è possibile raggiungere alcuna sicurezza, mentre si può considerare certo, osservando la documentazione fotografica prodotta dal Comune (doc. 8) e dalla controinteressata (doc. 2) che alla data del 26 novembre 2004 il sottotetto era già stato recuperato in modo pressoché definitivo;

(d) tuttavia nessuno dei due percorsi proposti dalla controinteressata (permesso di costruire rilasciato in via anticipata, permesso di costruire in sanatoria) legittimava all’epoca il recupero del sottotetto;

(e) anche ammettendo che esistesse un sottotetto alla data del 18 maggio 2004, il rilascio di un permesso di costruire finalizzato al recupero dello stesso non era possibile perché la normativa regionale consentiva di recuperare solo i sottotetti esistenti da un certo tempo (sottotetti storici) e non quelli realizzati nel corso di una nuova costruzione;

(f) è vero peraltro che la suddetta normativa non era propriamente esplicita al riguardo. L’art. 1 comma 4 della LR 15 luglio 1996 n. 15 definiva i sottotetti come i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici residenziali "dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura". Per "sottotetto esistente" l’art. 1 della LR 23 novembre 2001 n. 18 intendeva quello esistente "al momento della presentazione della domanda di concessione edilizia ovvero della denuncia di inizio attività". Mancava però una data a cui agganciare l’esistenza dell’edificio, e questo ha determinato alcune difficoltà applicative;

(g) l’interpretazione preferibile tuttavia era quella più severa (ammissibile il recupero dei soli sottotetti storici): il legislatore si è infatti preoccupato di evidenziare che il recupero del sottotetto appartiene alla categoria dei lavori di ristrutturazione e non a quella delle nuove costruzioni (v. l’art. 3 comma 2 della LR 15/1996). Questo implica sul piano logico che il recupero del sottotetto deve avvenire con un intervento edilizio distinto e successivo rispetto a quello riguardante la costruzione dell’edificio, altrimenti i due interventi si fonderebbero in quello di nuova costruzione. In altri termini il recupero del sottotetto non può essere equiparato a una variante in corso d’opera (diversamente vi sarebbe un sottotetto meramente virtuale, al quale verrebbe applicato un bonus edificatorio allo scopo di superare gli indici edilizi valevoli per il progetto originario);

(h) in questa prospettiva il recupero del sottotetto meramente virtuale non è possibile neppure utilizzando lo strumento del permesso di costruire in sanatoria. La materiale esistenza del sottotetto da recuperare (delimitato stabilmente dal rustico e dal tetto) è una componente della conformità urbanistica al cui rispetto è subordinata l’ammissibilità della sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001. La deroga agli indici edilizi è infatti prevista solo per il recupero di un sottotetto che si possa definire esistente. Quando i lavori presentati come recupero del sottotetto sono in realtà un’espansione del progetto originario (scollegata da qualsiasi finalità di ristrutturazione) la deroga agli indici edilizi non è più consentita, e così neppure la sanatoria;

(i) la medesima impostazione della LR 15/1996 è stata inizialmente ripresa nella nuova disciplina urbanistica (v. art. 63 comma 1 della LR 11 marzo 2005 n. 12);

(j) in corso di causa (e successivamente alle ordinanze cautelari richiamate sopra) la situazione normativa si è però evoluta in senso favorevole alla controinteressata. L’art. 63 comma 2 della LR 12/2005 (come sostituito dall’art. 1 della LR 27 dicembre 2005 n. 20) ha infatti permesso in via transitoria di effettuare il recupero anche di sottotetti meramente virtuali purché inerenti a edifici assentiti in base a permessi di costruire rilasciati entro il 31 dicembre 2005. In tale ipotesi è sufficiente in definitiva che il sottotetto esista nel progetto assentito: su questo presupposto il proprietario è autorizzato a effettuare il recupero con gli ampliamenti previsti dalla legge regionale. Al contrario, per i permessi di costruire successivi alla fase transitoria, ossia rilasciati a partire dal 1 gennaio 2006, l’art. 63 comma 4 della LR 12/2005 (anche in questo caso nel testo sostituito dall’art. 1 della LR 20/2005) accentua la qualificazione di intervento di ristrutturazione imponendo per il recupero del sottotetto un tempo di attesa di 5 anni non solo dall’ultimazione dell’edificio ma dalla data di conseguimento dell’agibilità. Il punto di equilibrio individuato dal legislatore regionale tra disciplina a regime e fase transitoria è stato ritenuto esente da profili di illegittimità costituzionale (v. TAR Brescia Sez. I 12 gennaio 2007 n. 11);

(k) nello specifico, poiché il permesso di costruire relativo alla palazzina è del 12 settembre 2003, la controinteressata ricade nella più favorevole disciplina del periodo transitorio. Pur trattandosi di norme sopravvenute l’applicazione con effetto sanante è possibile proprio per il fatto che il rapporto urbanistico non è ancora definito a causa della pendenza del contenzioso. Conseguentemente si consolida il provvedimento di sanatoria del sottotetto.

11. In conclusione entrambi i ricorsi devono essere respinti. La complessità di alcune questioni e la circostanza che per il sottotetto si debba fare riferimento a una normativa sopravvenuta consentono l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, respinge i ricorsi riuniti. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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